La Russia verso l’Europa.

LA RUSSIA E IL MONDO CIRCOSTANTE

Nel corso della sua storia la Russia si presenta “tirata” ad oriente e ad occidente, perché il suo immenso territorio la spinge o da una parte o dall’altra in base alle convenienze del momento e soprattutto alle scelte politiche che vengono operate da chi la guida. Ovviamente le motivazioni sono da ricercarsi soprattutto nell’ambito economico, perché le sue risorse e le sue esigenze la spingono nell’una o nell’altra direzione in cerca di materie prime, ma anche di manufatti da vendere, soprattutto, o da acquistare. A dominare la scena in questo, sono ovviamente coloro che detengono gli interessi di natura economica, che tuttavia sono pur sempre una parte minima della popolazione: i ceti sociali più numerosi sono di fatto in prevalenza i lavoratori della terra, e sopra di loro ci sono i grandi latifondisti in possesso di estensioni notevoli di terreni da coltivare. La classe che noi definiamo “borghese”, quella cioè che troviamo nei “borghi”, nelle città, a capo di attività manifatturiere, è minoritaria, anche perché le città che si sviluppano sul criterio prevalente nel resto dell’Europa, e cioè sul ricorso al denaro, appaiono veramente poche e in prevalenza sono quelle che stanno maggiormente vicino ai Paesi dell’Europa occidentale. In particolare sono in contatto con le città baltiche, le sole dotate di un certo spirito imprenditoriale, ma comunque dislocate su un mare interno, dove si affollano altri competitori. L’espansione, poi, di natura territoriale, come succede nel medesimo periodo anche per altri Paesi europei, esige che ci sia pure l’esercito ben organizzato e tenuto efficiente anche con armamenti adeguati. Se per i Paesi europei occidentali la conquista di nuove terre richiede una buona rete di colonizzatori, che aprano nuove strade, ma soprattutto che siano in grado di sfruttare al massimo le regioni acquisite, altrettanto si deve dire per la Russia in espansione ad est. Ovviamente l’espansione richiede anche il supporto dell’esercito, che, anche a non essere composto di un numero cospicuo di soldati, deve comunque risultare dotato di mezzi che permettano di imporsi su una popolazione non ancora in grado di opporre strumenti adeguati. Lo Stato europeo in genere interviene garantendo la difesa, ma anche controllando con le “Compagnie” tutti gli affari economici che si possono aprire e incrementare. Il medesimo fenomeno si ha in Russia. Anche qui le imprese di tipo coloniale appartengono a buoni imprenditori che hanno investimenti da fare; essi però dicono di farlo in nome dello Stato a cui appartengono.

E così il sovrano del momento si trova ad estendere il proprio dominio, che spesso diventa impero, senza aver determinato l’impresa stessa, senza, soprattutto averla finanziata. Nel caso concreto della Siberia, che viene affrontata negli anni di Ivan IV, si deve all’intraprendenza della famiglia Stroganov, se qualcuno si mosse in quella direzione per allargare l’impero.

Ivan accolse con piacere la decisione di conquistare la Siberia, ma offrì poco aiuto. Gli Stroganov avrebbero potuto fare conquiste a loro rischio e pericolo. A capo della spedizione misero Ermak Timofeevic, che in precedenza si era guadagnato da vivere facendo il brigante sui tratti inferiori del Volga. Aveva una faccia piatta, una grossa barba nera, spalle larghe e si atteggiava ad autorità. Il suo esercito era formato da 540 cosacchi e 300 volontari, tutti armati di moschetto, che disponevano anche di tre cannoni da campo. Gli Stroganov li rifornirono anche di cibo e stendardi raffiguranti immagini sacre. Il costo totale della spedizione fu di 20.000 rubli. Ermak partì per la Siberia il 1 settembre 1581 … Per motivi suoi, Ermak non mandò subito un rapporto a Ivan … La lunga lettera, che aveva impiegato due mesi a scrivere, giunse finalmente a Ivan alla fine di gennaio o all’inizio di febbraio del 1583. Le campane delle chiese suonarono, ci furono funzioni di ringraziamento per celebrare la nuova conquista. Per le vie di Mosca la gente si congratulava con le parole: “Dio ha dato un nuovo regno alla Russia” … La Siberia divenne proprietà dello zar. Il vescovo di Vologda dovette mandare dieci preti, con le loro famiglie, in Siberia. (Payne-Romanoff, p. 395-397)

Dal breve racconto della prima conquista di ciò che sta appena oltre gli Urali, si evince che anche qui, come nelle colonie spagnole, si ribadisce la presenza dello Stato con il possedimento di un territorio che viene assegnato allo zar. E in più abbiamo anche un gruppo di preti inviati della gerarchia ecclesiastica, che vuole affermare la sua presenza, ma soprattutto la sua azione colonizzatrice in nome del Cristianesimo. Anche qui, dunque, Stato e Chiesa affermano con estrema chiarezza la loro funzione di conquista e di assimilazione, soprattutto laddove si tratta di territori da occupare e non propriamente di luoghi su cui sviluppare una attività produttiva caratterizzata dal lavoro, dalla imprenditoria, dal commercio, come invece succede nella parte occidentale, la quale è a più diretto contatto del mondo europeo. Quando prevale, soprattutto nell’interesse del potere politico, l’attenzione verso l’Europa, allora la Russia si rivela sempre più una potenza competitiva con l’Occidente e si apre lo spazio per una penetrazione che mira ad avere sbocchi sui mari, il Baltico, a nord, e il mar Nero, verso sud.

L’avventura siberiana, aperta negli ultimi anni del regno di Ivan IV, avrà sviluppi maggiori in seguito. Ora invece, anche in seguito ai “torbidi” che si scatenano alla morte di Ivan, la Russia è di fatto trascinata in contesa con i suoi vicini occidentali, che sempre più competono sul medesimo territorio confinante, senza particolari strutture geografi-che in grado di segnare ben netti confini, e più ancora con la Svezia, che invece vuol giocare un ruolo di supremazia sul Mar Baltico. Dai “torbidi” (così viene chiamato il periodo della fine del XVI secolo e degli inizi del XVII) per una evidente crisi dinastica, costante problema dei regni e in particolare della Russia, viene fuori una nuova dinastia, che saprà imporsi fino alla sua scomparsa nella rivoluzione bolscevica.

L’EPOCA DEI TORBIDI

La parola usata per descrivere il trentennio dice con chiarezza che lo Stato è sottoposto a continue tensioni e che queste dipendono dal fatto che vengono a mancare figure forti al vertice dello Stato. La dinastia di Ivan IV, che viene fatta risalire a Vladimir della Rus’ di Kiev, di fatto si esaurisce e tra i boiari si scatena una lotta feroce per trovare il successore.

BORIS GODUNOV (1598-1605)

Tra di essi spicca la figura di Boris Godunov (1551-1605), che di fatto fu zar dal 1598 alla sua morte.

Negli anni seguenti combatté con successo contro la Svezia, stimolò il commercio estero aprendo almeno parzialmente le frontiere russe agli stranieri, inviò diversi giovani a studiare in Europa, avviò lavori di restauro e nuove costruzioni nel Cremlino moscovita. Si dimostrò spietato con le famiglie di boiari che gli si opposero. Nel 1604, l’opposizione di parte dei boiari unita all’insoddisfazione popolare sfociarono in una rivolta sostenuta dalla comparsa di un falso discen-dente di Ivan IV (falso Dimitri I), veicolo anche di ingerenze dell’aristocrazia polacca; ne seguì l’inizio di un periodo di crisi politica detto “Periodo dei Torbidi”. (Wikipedia)

È interessante la segnalazione che le sue mire sono verso la Svezia, e che comunque egli aspirava ad uno Stato da rinnovarsi con elementi giovani che avessero una preparazione adeguata nelle scuole migliori d’Europa. Questa fa supporre che il suo programma andava nella linea di una più efficace modernizzazione, che era possibile solo con l’apertura all’Occidente.

Il personaggio storico ha avuto poi il suo trasferimento nell’ambito letterario, dove assume una fisionomia, che non coincide con quella storica: diventa il personaggio centrale nel dramma teatrale di Puskin (1799-1837), capolavoro del romanticismo russo. Di lì venne l’ispirazione a Mussorgskij (1839-1881) per la sua opera lirica, che ebbe sempre un grande successo. Boris Godunov appare più conosciuto a partire da questi testi, che non per ciò che effettivamente egli fu nel corso della storia russa.

BORIS GODUNOV

Sotto il profilo storico, questo periodo, per quanto sia stato tormentato fino al punto da far temere il collasso dello Stato stesso, rivela comunque quale possa essere la reale intenzione della Russia nel dare la sua svolta. L’apertura all’Occidente sarà impresso con Pietro il Grande e tuttavia, già fin d’ora si intuisce che la Russia cerchi un suo ruolo mediante la competizione con i vicini, soprattutto con la Polonia, a cui si deve unire la Lituania e il territorio della Livonia (oggi fa parte della Lettonia). Se di fatto questa politica non riesce, almeno in questo periodo, ciò è dovuto al fatto che il governo centrale non ha il controllo dell’immenso territorio russo.

Il governo centrale aveva perso il controllo della situazione e aveva abbandonato a loro stesse le province, alcune delle quali riconoscevano l’autorità dei governatori mandati da Mosca ma altre no. I governatori, del resto, scoprirono ben presto che, anche con il sostegno delle popolazioni locali, erano di fatto lasciati a se stessi e costretti a improvvisare come meglio potevano. Numerose bande armate cominciarono a scorazzare per il paese, incluse quelle di polacchi e ucraini, entrati in Russia al seguito di Dmitrij, e di cosacchi russi, molti dei quali non erano altro che banditi locali. I vari governi che si alternarono per breve tempo a Mosca cercarono di radunare un esercito in grado di riprendere il controllo ma invano. (Bushkovitch, p.67)

Alla morte improvvisa di Boris Godunov successe ancora un periodo più torbido, perché il “falso Dimitrij”, che si presentava come figlio di Ivan IV, ebbe la meglio, appoggiato, come era, dalla Polonia; ma anche il suo regno ebbe vita breve. Seguì un periodo ancora più turbolento, dove la Russia sembrava destinata a sparire per la presenza invadente di Polacchi e di Svedesi, insieme con bande armate, senza più alcun controllo. L’unica ancora di salvezza era rappresentata dalla Chiesa ortodossa, la sola che poteva avere il compito di riconoscere e di benedire il potere politico.

CHIESA LATINA E CHIESA ORIENTALE

Proprio in questi anni la Chiesa russa assume progressivamente la coscienza di essere essa stessa depositaria di un potere che la rende completamente autonoma sia da Roma, sia da Costantinopoli. Con Roma già era stata consumata la divisione sin dalla metà dell’XI secolo; ora però si avvia il processa di completa autonomia da Costantinopoli che nel frattempo era di fatto asservita al potere imperiale turco. Con la coscienza che Mosca aveva acquisito di essere la “Terza Roma” e con l’assunzione del titolo di zar da parte del principe di Mosca, riconosciuto e incoronato come tale dal patriarca, anche la Chiesa vuole giocare un ruolo primaziale che la metta alla pari con quella di Costantinopoli, già limitata nei suoi movimenti dalla sua sottomissione al sultano. Nasce qui la leggenda – che tale è – della evangelizzazione della Rus’ da parte di S. Andrea …

È lo stesso Ivan il Terribile che nel suo incontro con il Possevino (sacerdote gesuita, plenipotenziario del Papa in diverse missioni di recupero al Cattolicesimo nei territori del nord Europa) nel 1582, pochi anni prima della istituzione del Patriarcato di Mosca, sostiene che la fede dei russi è la vera fede cristiana,argomentando con queste parole: “Noi abbiamo creduto non nei greci, ma in Cristo; noi abbiamo ricevuto la fede cristiana all’inizio della Chiesa di Cristo, quando Andrea, fratello dell’apostolo Pietro, è venuto in queste terre, per poi andare a Roma … Pertanto noi in Moscovia abbiamo preso la fede nello stesso tempo che voi in Italia e da allora l’abbiamo conservata intatta”. (Codevilla, p. 54)

Queste modalità, anche a risultare per nulla credibili, servono allo scopo di giustificare quell’accresciuta consapevolezza che potere politico e potere religioso vogliono accampare per accreditarsi non solo all’interno, nei confronti della popolazione, ma anche dentro i rapporti con gli altri detentori di potere in Europa, che pure cercano di qualificarsi in modo assoluto. È interessante che un simile fenomeno si costruisce anche in Russia, non solo per cercare uno spazio vitale dentro il mondo ortodosso orientale, ma ora anche nei confronti di quello occidentale che sembrava voler allargarsi verso oriente, l’obiettivo che si pretendeva di raggiungere un po’ dovunque nel mondo, anche grazie alle scoperte geografiche di quel periodo. In modo particolare sembrava che lo stesso mondo cattolico, già perdente nel centro Europa, con la dilatazione del fenomeno luterano, cercava un allargamento più ad oriente. Qui infatti si costruisce l’Unione di Brest (1596).

Per Unione di Brest si intende la decisione adottata dal Sinodo dell’episcopato ortodosso ruteno (ucraino e bielorusso), tenutosi nel 1596, di rompere il rapporto di soggezione al Patriarcato di Costantinopoli e di subordinarsi all’autorità del papa di Roma, a coronamento di un processo assai complesso, le cui radici risalgono al Concilio di Firenze, che giunge a maturazione dopo un secolo e mezzo. Merita qui ricordare che la Chiesa di Kyiv non si è mai staccata formalmente da Roma e che l’aspirazione alla riunione delle Chiese non era mai svanita … (Codevilla, p. 55-56)

Si deve aggiungere che la gerarchia rutena che si unisce a Roma non ha alcuna intenzione di staccarsi dalla Chiesa orientale, ma al contrario, intende continuare a farne parte … Nella Confederazione polacco-lituana del XVI secolo il desiderio di realizzare l’unione con l’ortodossia è avvertito anche negli ambienti cattolici latini … Vero è che la speranza di far rivivere l’Unione fiorentina viene fatta naufragare da Roma, la cui insistenza nel voler rompere la comunione con il patriarca scismatico di Costantinopoli è totalmente contraria alla tradizione kieviana.

La scelta operata a Brest costituisce un punto nodale fondamentale nella storia della Chiesa russa e in quella dei rapporti tra cattolicesimo e ortodossia: essa non può essere semplicistica-mente spiegata come il risultato di manovre politiche in cui l’episcopato ruteno svolge il ruolo di comparsa. (Codevilla, p. 58)

(C’è) uno stretto nesso anche tra l’idea della Terza Roma e l’Unione di Brest: ambedue esprimono una aspirazione non marginale e periferica, ma universale della Russia e della sua Chiesa, la quale dopo la fine della dominazione tatarica matura la convinzione di essere la vera e unica Chiesa. L’idea di Mosca Terza Roma, sorta alla fine del XVI secolo e consolidata nel successivo, non deve essere vista solamente come la mera manifestazione di una acquisita autocoscienza nazionale tout court, ma anche e soprattutto come ricerca di un valore universalista che riguarda l’intera umanità. (Codevilla, p. 72)

Non è facile seguire il percorso accidentato della Chiesa in Russia in questo periodo già caratterizzato da torbidi nell’ambito politico. Non mancano neppure nell’ambito religioso, proprio per lo stretto intreccio che esiste fra Chiesa e Stato. Vittima di queste tensioni particolarmente accese è colui che nella Chiesa cattolica viene considerato un santo e un martire, mentre nel mondo ortodosso c’è chi lo descrive come un traditore e un crudele e implacabile persecutore dell’ortodossia: è S. Josafat Kuncevyc, arcivescovo di Polock, ucciso il 12 novembre 1623.

S. JOSAFAT KUNCEVYC

Giovanni (così venne chiamato nel battesimo ortodosso) era nato nel 1580 da genitori appartenenti alla nobiltà ucraina e ferventi ortodossi. Si formò a Vilnius (nell’odierna Lituania) in un periodo caratterizzato dallo scontro fra ortodossi tradizionalisti e uniati di rito greco, i quali sulla scia del Concilio di Firenze (1439) si erano congiunti alla Chiesa cattolica con l’Unione di Brest, riconoscendo al Papa il ruolo di guida di tutta la Chiesa. Inviato ancora giovanissimo, a Vilnius per impratichirsi nel commercio, assistette alle lotte fra Ruteni uniti e dissidenti. Dopo profonda riflessione, decise di aderire ai greco-cattolici. Divenne monaco nel 1604 e assunse il nome di Josafat. Qui diede inizio alla riforma della vita monastica vivendo per alcuni anni da eremita. Scrisse alcune opere per dimostrare l’origine cattolica della Chiesa rutena e la sua dipendenza dalla Santa Sede e per propugnare la riforma dei monasteri di rito bizantino ed il celibato dei preti. Ci fu una forte adesione alla vita monastica e lui dovette fondare nuovi monasteri per accogliere chi voleva seguire la vita monastica. Nel 1617 fu nominato vescovo di Vitebsk e poi di Polock. Fu indubbiamente molto intransigente con i preti rimasti fedeli all’ortodossia. E questo scatenò la rivolta che portò alla sua uccisione: il 12 novembre 1623, mentre usciva dalla chiesa, dove aveva celebrato la messa, Josafat fu ucciso e il suo corpo, massacrato, fu gettato nel fiume. I resti sono stati portati al tempo di Paolo VI in Vaticano. (Wikipedia)

È dunque un periodo davvero segnato da torbidi notevoli, che turbano fortemente la Russia e il territorio confinante, andando a coinvolgere sia i vertici politici, sia quelli religiosi. Insieme comunque escono da questo sconvolgimento grazie alla famiglia dei Romanov, la quale arriva ad occupare i primi posti sia nella Chiesa sia nello Stato: a Mosca diventa Pa-triarca Filarete (che governa la Chiesa dal 1619 al 1633), dopo essere stato perseguitato ed essere costretto a farsi monaco dal suo rivale, Boris Godunov, mentre sul trono di Mosca arriva, all’età di sedici anni, il figlio Michail, che dà inizio alla dinastia dei Romanov.

MICHAIL ROMANOV (1613-1645)

La santa alleanza fra potere politico e potere religioso siglata fra padre e figlio ebbe i suoi frutti, perché la Russia uscì in questo periodo dai suoi torbidi, anche se di fatto non risultava ancora chiara la collocazione della Russia sul panorama europeo. Filarete, il patriarca, era decisamente con-tro i Polacchi e perciò indirizzava il figlio Michail a combattere contro i nemici occidentali, considerati come i rivali che impedivano alla Russia il suo sviluppo.

Alla morte del padre, il figlio abbandona questa politica e preferisce consolidare i confini meridionali e orientali, dove si ha il controllo di un territorio che appare produttivo e tale da garantire un certo sviluppo alla Russia, dopo gli sconvolgimenti del periodo precedente.

MICHAIL ROMANOV

Il ritorno dell’ordine e della pace consentì al paese di rimarginare le ferite e alla morte di Michele la maggior parte dei danni causati dall’Epoca dei Torbidi era stata ormai riparata. La grande opera realizzata durante il regno del nuovo zar furono le numerose file di fortezze erette nei punti in cui i fiumi principali erano guadabili e sulle alture lungo la frontiera meridionale … Queste difese rappresentarono una straordinaria impresa edilizia che si estendeva per migliaia di chilometri, dal confine polacco fino agli Urali. Lo scopo era quello di tenere lontani i predoni tatari e la linea difensiva funzionò così bene da permettere a contadini e piccola nobiltà di spostarsi verso sud e coltivare per la prima volta le fertili terre nere della steppa. Ai soldati di guardia alle fortezze lo zar concedeva terre in abbondanza, trasformandoli così in coloni.

Lungo la linea fortificata si crearono pertanto comunità di piccoli nobili e di contadini-soldati, mentre nella steppa al di là delle fortificazioni, proprio di fronte alla minaccia tatara, i cosacchi pattugliavano il corso meridionale dei grandi fiumi come il Don, il Volga e lo Jaik (odierno Ural). Cento anni dopo le conquiste di Ivan il Terribile, le steppe meridionali cominciavano finalmente a garantire alla Russia forza e ricchezza. (Bushkovitch, p.72-73)

Così, con il nuovo zar, ormai libero dall’abbraccio del padre di fare la sua politica, si ha uno sviluppo che finora la Russia non aveva conosciuto: esso dipende in gran parte dalle risorse che le derivano dalla campagna. Se evidentemente conosce anche un certo livello di ricchezza, comunque sempre molto relativo, ciò dipende dalla possibilità di tenere aperti i commerci, soprattutto con il resto d’Europa. Per attivare e sviluppare questi commerci è necessario che la Russia rimanga aperta al resto dell’Europa e che dagli altri Paesi arrivino agenti di commercio, che si insediano soprattutto a Mosca per poter tenere, dalla capitale, relazioni utili a sviluppare la domanda e l’offerta. Così anche a Mosca si insediano gruppi di stranieri, che in genere cercano di creare quartieri dove si possano avere le caratteristiche proprie della terra d’origine. Questo però consente anche da parte dei cittadini moscoviti la conoscenza di usanze diverse, di stili di vita nuovi. Vengono così incrementati anche i contatti con gli altri Paesi, dove qualche russo cerca fortuna, cerca soprattutto di sviluppare quelle conoscenze che allargano la visuale. Evidentemente non manca pure il desiderio di continuare la tradizione di coloro che secoli prima a-vevano cercato di svilupparsi a contatto con le città sul Baltico. Qui, però, manca quel tipo di insediamento russo che può ulteriormente incrementare un modo di essere e di operare che si avvicina a quello di stampo occidentale.

L’incremento demografico, il commercio e l’attività dello stato resero rapidamente Mosca una grande città che, verso la metà del XVII secolo, ospitava forse tra le sue mura centomila abitanti. Metà di questi moscoviti facevano parte dell’esercito e dell’amministrazione di corte … L’altra metà della popolazione della capitale era costituita da cittadini veri e propri, tra cui ricchi mercanti, innumerevoli artigiani di ogni tipo, sacerdoti, monaci, lavoratori salariati, mendicanti e ogni genere di abitante che si possa trovare in qualsiasi grande città. Tutti abitavano in stradine strette e tortuose fiancheggiate da piccole case in legno che rendevano la città estremamente vulnerabile agli incendi. Solo le chiese più impostanti erano in pietra e soltanto i boiari, insieme con qualche alto funzionario di corte e qualche ricco mercante, possedevano case in pietra e laterizio …

All’e-sterno delle mura della città, verso nord-est, sorgeva un intero insediamento di stranieri … il sobborgo tedesco, in cui abitavano mercanti, ufficiali di truppe mercenarie e molti altri forestieri occupati a soddisfare le loro necessità … I “tedeschi” (categoria che per il popolo includeva anche olandesi, inglesi e scozzesi) rappresentavano il gruppo straniero più numeroso e destinato a diventare anche il più importante. Mosca era comunque una città cosmopolita: monaci e sacerdoti ucraini vivevano nelle chiese e nei monasteri della città e portavano in Russia una nuova variante della confessione ortodossa; le strade erano anche popolate di greci, che avevano il loro monastero, e da armeni e georgiani provenienti dalle regioni del Caucaso; abitanti più esotici arrivavano dalle frontiere meridionali e dalle terre più a oriente … (Bushkovitch, p.74-75)

La presenza dei “tedeschi”, che erano di fatto tutti gli stranieri, appartenenti in genere al nord dell’Europa, garantiva quel minimo di contatto con il mondo europeo che era nell’interesse della Russia coltivare, non solo per garantirsi uno sviluppo economico, raggiunto mediante l’attività commerciale, ma anche per snellire il sistema di governo che da Mosca doveva irradiarsi su un territorio molto vasto e soprattutto non facilmente controllato e controllabile, se mancavano le infrastrutture necessarie. L’ausilio degli stranieri permetteva allo Stato russo di uscire dalla sua arretratezza e nello stesso tempo di avviare una serie di riforme che permettessero di stare al passo con gli altri Paesi europei, dove l’assolutismo regio del secolo XVII creava nuovi apparati di controllo e di sviluppo. Uno Stato centralizzato, in cui il sovrano vuol governare in maniera diretta e assoluta, ha bisogno di una efficiente rete di funzionari, preparati per svolgere i compiti delicati della tassazione e della giustizia, togliendo sempre più spazio vitale ai nobili, chiamati poi a corte in una vita gaudente e dispendiosa. La vita a corte della nobiltà garantiva al sovrano il controllo di una aristocrazia spesso ribelle o comunque alla ricerca di autonomia nel governo locale. Ciò che si vede fare nell’ambito dello Stato francese da parte di Luigi XIV, alle prese con la “Fronda”, all’inizio del suo regno, succede pure nella Russia degli zar, dove i boiari contendono da sempre il potere a colui che si fregia del titolo di zar. E lo zar, se tale vuole essere e restare, ha bisogno di controllare sempre più il potere aristocratico, che approfitta della debolezza del sovrano, soprattutto se ancora giovane e inesperto, per trovare spazio.

I Romanov giunti al vertice devono proprio riorganizzare lo Stato, se vogliono governare senza i condizionamenti di un sistema feudale che va tenuto sotto controllo. In questi anni avvengono quelle riforme che possono fare della Russia uno Stato più moderno …

Come nella maggioranza dei primi stati moderni, l’amministrazione russa si concentrava innanzi tutto sul prelievo fiscale, sulla giustizia e, quando era necessario, sulla leva militare. Date le condizioni generali del paese si trattava di compiti scoraggianti. (Bushkovitch, p.75)

Il fisco, se ben costruito e controllato, deve servire a dare allo Stato ciò che serve per un suo efficiente governo, sia nell’ambito della costruzione delle infrastrutture necessarie al buon funzionamento dello Stato stesso, sia per il mantenimento di un esercito efficiente e subito pronto da mettere in campo per le numerose guerre scatenate lungo i confini. Per arrivare ad un lavoro serio in questi ambiti, si dovrà aspettare il regno di Pietro il Grande, con il quale vengono create le strutture necessarie a far divenire la Russia una grande potenza, soprattutto nell’ambito militare: qui ci voleva la genialità di quell’uomo che impone le sue radicali riforme per fare della Russia uno Stato moderno capace di competere con le altre potenze europee. Per il momento vengono avviate quelle strutture che servono ad un prelievo fiscale in grado di avere le casse erariali ben rifornite.

Allo scopo di riscuotere le tasse dai contadini, i funzionari di Mosca cercavano di stabilire e registrare la quantità e la qualità della terra posseduta da ogni nucleo famigliare. L’autorità centrale disponeva delle risorse per effettuare un censimento della popolazione a fini fiscali ogni quindici o vent’anni, nella migliore delle ipotesi e non certo nel modo più efficiente … Tutti, naturalmente, tanto il proprietario terriero quanto i contadini, avevano interesse a dichiarare in difetto i loro beni, che i funzionari erano in grado di verificare soltanto nei casi più clamorosi di evasione fiscale. Erano sempre gli anziani della comunità a riscuotere concretamente le tasse, spesso pagate in natura. L’unica fonte sicura di entrate era l’imposta sulle vendite e il monopolio della corte sulla produzione della vodka e di altre bevande alcoliche – una riscossione sicura perché effettuata direttamente nelle città e sui mercati e spesso appaltata a mercanti e altri imprenditori. (Bushkovitch, p.75- 76)

Un altro ambito nel quale era necessario intervenire era quello della giustizia, che risultava meglio esercitata nella capitale, mentre fuori tutto dipendeva dai governatori locali.

ALESSIO I ROMANOV (1645-1676)

Proprio i temi di natura fiscale e quelli legati alla giustizia esplodono con il successore, che diventa zar a 16 anni, come già il padre. Ovviamente costui, Alessio I, deve rimettersi al tutore, il potente boiaro, Boris Morozov, che ebbe una buona influenza sul sovrano. Ma soprattutto aveva di mira una politica estera senza contraccolpi e una politica interna protesa verso le riforme in linea con quelle già presenti nel resto d’Europa. Mirando ad uno Stato meglio organizzato e più efficiente, era necessario un sistema fiscale ben costruito e tale da far entrare nell’erario più denaro. Questo sistema odioso, un po’ sempre e un po’ ovunque, fece scatenare la rivolta.

ALESSIO I ROMANOV

Ben presto, il progetto di tassazione ideato da Morozov, che sostituiva alle consuete imposte sulle vendite una tassa molto elevata sul sale, innescò una crisi. Nel luglio del 1648 i moscoviti insorsero nella cosiddetta “rivolta del sale”, uccidendo molti dei boiari e funzionari più illustri e chiedendo la testa di Morozov. Come parte del compromesso che ne risultò fu indetto un nuovo Zemskij Sobor che avrebbe dovuto approvare un nuovo codice di leggi. Nel 1649 la stamperia del Cremlino pubblicò … il nuovo Codice giuridico della Russia. (Bushkovitch, p.77)

Si dovrebbe pensare che finalmente la Russia abbia un Codice di leggi di carattere civile; in realtà le cose non stanno propriamente in questo modo, perché questo Codice si presenta come adatto a garantire la Chiesa, che lo zar successivamente considererà come “instrumentum regni”, cioè una istituzione a servizio dello Stato, proprio nel momento in cui la Chie-sa stessa invece cerca di affermare il suo primato e la sua superiorità rispetto allo Stato. Con il figlio di Alessio I, Pietro il Grande, si arriverà all’affermazione dello Stato come dominatore, che non cerca assolutamente il conflitto con la Chiesa, bensì il suo asservimento a favore del potere politico. Insomma si va sempre progressivamente verso l’affermazione di un potere assoluto, del resto in linea con quanto avviene anche negli altri Paesi europei. Negli stessi anni si consuma lo scontro fra il re e il Parlamento in Inghilterra, con la condanna a morte del re Carlo I, il quale viene decapitato, anche se poi l’istituto monarchico tornerà, seppur ridimensionato, a governare. In Russia, invece, è lo zar che ha la meglio e che riesce a prevalere su qualsiasi altra istituzione di governo.

Il nuovo Codice pone nella massima evidenza i crimini contro la Chiesa, considerati equivalenti a quelli commessi contro lo Stato, e, infatti, il primo capitolo porta il titolo “Dei sacrileghi e dei sediziosi contro la Chiesa”, in cui si tratta di tutti gli atti contro la fede e la Chiesa, compresa l’attività di disturbo durante i servizi liturgici, e solo successivamente si occupa “Dell’onore del Sovrano e di come proteggere la sua regale salute”. (Codevilla, p. 83)

Se sulla base di queste considerazioni si ha l’impressione che sia il clero a comandare in Russia, poi però si avverte che nello scontro con il potere civile è quest’ultimo ad avere la meglio. E questo avviene sulla base del controllo di quanto la Chiesa detiene nell’ambito economico, sia per le proprietà terriere, sia anche per le offerte che raccoglie. Progressivamente il governo interviene sui privilegi accumulati.

La docilità del nuovo zar salito ancora giovanissimo al trono per la prematura morte del padre nel 1645, non è destinata a durare a lungo e, infatti, nel volgere di pochi anni Aleksej Michajlovic che per la sua fede e la pietà religiosa è chiamato il piccolo monaco e anche lo zar mitissimo … nonostante il suo carattere iracondo e impulsivo, che gli vale l’altro soprannome di zar irrequieto, muta atteggiamento, manifestando forte curiosità per istituti e costumi dell’Europa occidentale, privilegiando gli interessi e il rafforzamento dello Stato, riducendo progressivamente l’attività degli zemskie sobory e iniziando a considerare la Chiesa come instrumentum regni; prepara in tal modo la strada all’era di suo figlio Pietro il Grande. (Codevilla, p. 84)

Come si può notare, continua il lavoro di avvicinamento allo spirito occidentale da parte degli zar di questa dinastia, che avrà il suo coronamento con Pietro. Questa scelta che vuole portare la Russia in Europa o comunque farla diventare una nazione alla pari con le altre del continente, si scontra di fatto con la Chiesa ortodossa, che legge una simile inclinazione come una interferenza della Chiesa cattolica romana, sempre pronta, soprattutto con i gesuiti, a tentare contatti per recuperare, quello che ha perso con il Protestantesimo. È una strada non facile e tuttavia da perseguire, se la Russia vuol rivaleggiare con gli altri Stati assoluti che si affermano nel medesimo periodo storico. I freni a questa operazione sono tutti interni alla Russia stessa e provengono in modo particolare dalla Chiesa, che rappresenta l’anima, la garanzia della fedeltà alla propria storia e alla propria tradizione. Lo scontro avviene con il patriarca Nikon, nominato nel 1652 dallo stesso zar.

Nato in una famiglia contadina, uomo di grande intelligenza e di profonda cultura, sinceramente devoto alla Chiesa, nonché tenace difensore delle prerogative e dei diritti di questa, Nikon aspira vivamente al rinnovamento della vita ecclesiastica e pone un’attenzione particolare alla revisione dei testi liturgici: infatti, la ritualità russa si era non poco allontanata da quella greca e le traduzioni dei libri sacri erano state spesso approssimative e poco accurate. L’obiettivo di Nikon è quello di trasformare la Chiesa e lo Stato russi nell’unico vero Regno ortodosso. (…) La volontà di rivedere i sacri testi è interpretata da molti come esplicita ammissione che l’ortodossia russa aveva deviato dalla fedeltà al messaggio di Cristo e ciò crea una gravissima frattura non solo nella Chiesa, ma più ampiamente nella cultura russa: la revisione dei testi è, infatti, considerata non solo un sacrilegio, ma anche un’offesa del sentimento nazionale. (Codevilla, p. 86.88)

Lo scontro sembra inizialmente tutto interno alla Chiesa, con scambi di reciproche accuse dalle parti contrapposte. Poi gli animi si scaldano e comincia la repressione che assume anche forme violente. Nikon diventa sempre più impetuoso e manifesta idee che lo zar considera pericolose, perché affermano la dipendenza dello zar dall’autorità religiosa: in tal modo ci si avvia a creare uno Stato di tipo teocratico. Sulla base di ciò che scrive, Nikon non voleva certo ridimensionare l’autorità civile nel suo ambito, ma di fatto egli si considerava comunque legittimato ad una presentazione della sua autorità che, quanto meno, lo doveva far stare alla pari con lo zar, con una sua corte, una sua struttura giuridica, una sua polizia, un suo patrimonio economico su cui lo zar non doveva esprimere alcuna interferenza. E così si arriva alla contrapposizione netta: lo zar non partecipa più ai riti religiosi e il patriarca si ritira in un suo monastero. Seguono sommosse diffuse un po’ ovunque …

Le sommosse … sconvolgono l’intero Paese ed esprimono l’inquietudine di vari strati della popolazione per i mutamenti determinati dalla riorganizzazione del commercio, i contatti con l’Europa occidentale, l’istituzione di un esercito permanente, i cambiamenti culturali, come quello rappresentato dalla nuova pittura profana realistica che si contrappone all’antica arte teologica del dipingere le icone … La sconfitta di Nikon segna la definitiva subordinazione della Chiesa allo Stato; il prestigio del Patriarcato è umiliato e compromesso; si preparano così i tempi della sua futura abolizione, alla quale provvederà Pietro il Grande, figlio di Aleksej Michajlovic … La subordinazione servile della Chiesa al potere civile è confermata anche dai patriarchi orientali, i quali non esitano ad affermare: “Lo zar è l’unico ed assoluto sovrano in tutte le questioni concernenti il suo regno; il patriarca gli è soggetto perché lo zar personifica la suprema autorità” … In tal modo vengono meno i presupposti della libertà morale della gerarchia della Chiesa russa e si confermano le basi dell’autocrazia zarista, erede di quella bizantina: “Il gran principe di Mosca sarà, come l’imperatore di Bisanzio, il vicario di Dio sulla terra e il suo potere sarà assoluto parimenti a quello di Dio; opporsi al suo potere non sarà da meno che opporsi a Dio stesso”. (Codevilla, p. 93-95)

Se di fatto la superiorità politica sarà palese con il figlio, comunque già in questo periodo prendono il sopravvento idee e forme di governo di stampo assolutista, come si registra contemporaneamente in altri Paesi europei.

Nella politica estera Alessio gioca la carta del consolidamento dei confini, che egli persegue favorendo le bande di cosacchi e insieme i contadini ucraini di fede ortodossa, che si vedevano ostacolati dalla Polonia, confederata con la Lituania e protesa ad allargare la sua influenza lungo il Dnepr, che estende il suo corso nell’attuale Ucraina fino al mar Nero. 

IL CORSO DEL DNEPR NEGLI STATI ATTUALI

Il re polacco favoriva gli Uniati, fedeli cattolici di rito bizantino e tendeva a mandar via gli ortodossi irriducibili. Solo dopo estenuanti trattative e solo quando si sentiva sicuro per aver fatto fronte alle questioni interne, Alessio si presentò come il difensore degli Ucraini ortodossi contro la Polonia cattolica e ne nacque un conflitto aperto. Anche questo scontro è importante nella storia russa, perché lo zar sente il bisogno di organizzare meglio il suo esercito, se vuole raggiungere risultati sicuri. E la migliore organizzazione è quella di apprendere gli schemi tattici e i nuovi strumenti di guerra dal mondo occidentale. Egli inizia questo genere di riforma che poi sarà perseguita con maggior tenacia e con migliori risultati dal figlio Pietro.

Logica conseguenza dell’accordo (fra l’atamano ucraino e lo zar russo) fu la guerra tra la Russia e la Polonia, un conflitto che avrebbe ridefinito radicalmente gli equilibri di potere nell’Europa orientale.

La guerra durerà tredici anni, fino al 1667. Alessio schierò in campo un nuovo esercito e assoldò degli ufficiali occidentali affinché organizzassero i reggimenti russi secondo la pratica europea … la Russia e la Polonia giunsero a un trattato nel 1667. Anche se il regno polacco recuperava molti suoi territori, l’accordo di pace costituiva senza dubbio una vittoria della Russia: la città di Smolensk tornava ad essere russa, e all’Ucraina a est del fiume Dnepr, inclusa la città di Kiev, veniva riconosciuto lo status di etmanato autonomo ma sotto lo scettro dello zar. (Bushkovitch, p.78-79)

L’annessione dell’etmanato ucraino ebbe profonde ripercussioni sulla Russia poiché rafforzò i legami tra Mosca e Kiev in un momento in cui la Chiesa ortodossa russa di Mosca stava vivendo profondi cambiamenti … I maggiori contatti con gli ortodossi dell’Ucraina avevano diffuso tra i russi nuove idee, soprattutto perché i fedeli ucraini erano impegnati in una continua battaglia per difendere l’ortodossia e rafforzarne il credo nelle menti e nei cuori dei credenti. Presso l’Accademia teologica di Kiev si impartiva al clero ucraino un’istruzione di nuovo tipo, sconosciuta ai russi e derivata dai modelli educativi dei gesuiti. Essa poneva l’accento sull’apprendimento della lingua, dei modelli retorici e dell’arte della persuasione, come anche della filosofia. Gli studenti dell’Accademia di Kiev non studiavano solo lo slavo ecclesiastico ma anche il latino, considerato ancora la lingua franca del mondo accademico europeo, sia cattolico, sia protestante. (Bushkovitch, p.81-82)

CONCLUSIONE

Dalla morte di Ivan IV a quella di Alessio I Romanov (1676) passa circa un secolo, in cui non spiccano figure di rilievo, come quelle che invece trovano spazio anche nei nostri libri di storia. E tuttavia questo periodo è importante, se non altro perché rivela l’interesse che la Russia coltiva per il mondo occidentale, non perché ne voglia dipendere, ma neppure perché desideri entrare in conflitto con esso. Anzi; si potrebbe dire che molte delle caratteristiche, che qui sono evidenziate, rendono la Russia, nelle questioni e nelle dinamiche politiche, economiche e religiose, in tutto simile alle coeve nazioni dell’Occidente. Qui si afferma il sistema della monarchia assoluta, come è nel resto d’Europa. Qui il potere assoluto del re viene contrastato dal mondo aristocratico o dai sistemi di tipo assembleare, che pure dobbiamo registrare altrove, seppur con esiti diversi (in Francia la nobiltà, che tenta la Fronda, viene costretta a vivere a corte; in Inghilterra il Parlamento, sulla spinosa questione delle tasse, si contrappone militarmente al re che ne esce perdente). Qui si cercano innovazioni un po’ in tutti i campi, per far fronte ad un mondo divenuto complesso, laddove troviamo diverse forme religiose non assimilabili e diverse etnie (si pensi alle colonie), da cui è opportuno garantirsi l’accesso delle materie prime, lì scoperte. Nonostante gli attriti e soprattutto le grandi diatribe di natura religiosa, che sconvolgono la Russia – il fenomeno era pure presente nell’occidente europeo dove erano in corso le guerre di religione (si pensi alla guerra dei Trent’anni tra il 1618 e il 1648) – non mancavano comunque i contatti anche con le diverse scuole di pensiero: e qui, come sentiamo narrare a proposito delle scelte fatte dai due zar Romanov, l’incontro con la cultura europea occidentale veniva ricercata, anche per modernizzare le strutture dello Stato russo. L’impronta in questo senso sarà più marcata e decisiva con la figura di Pietro il Grande. Tutto ciò dimostra che, nel corso della sua storia, la Russia ricerca i contatti, anche e soprattutto di natura culturale con l’Europa; e questo lo dovremmo considerare una costante della sua storia. E la dovremmo valutare in termini positivi anche oggi, nonostante che certe scelte portino a pensare diversamente. Aver ignorato il corso della storia russa, aver spesso sottovalutato quanto di più significativo emerge anche da quel mondo nell’ambito religioso e culturale, ci ha portato a credere di trovarci in presenza di una realtà che non ci appartiene, che è totalmente diversa e distante, come se non ci riguardasse. Soprattutto si è ingenerata l’idea di un mondo segnato dal caos, dalla violenza più brutale, da una visione, della società e del potere politico, segnata da sistemi che non rientrano nei nostri, quando invece pure lì c’è la ricerca di un processo di sviluppo, da sostenere e da incoraggiare …

BIBLIOGRAFIA

  1. Paul Bushkovitch, BREVE STORIA DELLA RUSSIA, Einaudi, 2013

2. Giovanni Codevilla, CHIESA E IMPERO IN RUSSIA, Jaca Book, 2011

3. Robert Payne – Nikita Romanoff, IVAN IL TERRIBILE, Sugarco, 1981