INTRODUZIONE: mondo arabo e mondo africano
Prima ancora che arrivino gli Europei colonizzatori, in Africa hanno il sopravvento gli Arabi, anche se la loro occupazione iniziale, in termini militari, più che religiosi, si limita alla fascia mediterranea e al deserto del Sahara. Poi, immediatamente dopo la prima ondata “liberatrice”, questi territori si governano autonomamente, anche se la religione islamica, che si è imposta ed è stata anche imposta, ha creato una certa simbiosi con il mondo arabo, come se fossero gli Arabi ad aver occupato e gestito questi territori, in cui la religione ha preso piede con l’apparato culturale che la caratterizza e quindi anche con la lingua. Bisogna riconoscere che per una certa somiglianza con il mondo del deserto, anche le popolazioni nomadi del Sahara hanno facilmente inteso le proposte maomettane, che riflette-vano le condizioni delle tribù arabe, alle quali si cercava di dare una identità e una risposta confacente con la situazione vissuta dalle diverse tribù locali. Così la religione è divenuta il collante che ha dato una identità agli Arabi, e, con loro, ai diversi abitanti del deserto che si estendeva nel continente africano. Di fatto la religione islamica non sarà mai vissuta totalmente, per il fatto che ancora rimangono eredità del mondo animista, e nel contempo, per una certa lontananza con il mondo arabo, non tutto viene osservato con rigore. Tuttavia, sia per una certa affinità, sia per quel genere di penetrazione che lascia spazio ad interpretazioni diverse della legge coranica, c’è la possibilità di seguire una dottrina e una pratica religiosa che ha sempre bisogno di interpretazioni più chiare. Non si può pensare che le popolazioni berbere e magrebine siano le sole fedeli ad una certa forma religiosa; anche nel mondo nero si fanno strada i libri e i dettami coranici, perché i diffusori non provengono propriamente da un mondo ritenuto lontano ed estraneo al proprio vivere. Così l’Islam viene considerato qualcosa di locale o di corrispondente al proprio mondo culturale. Queste affinità fanno considerare l’Islam come un fenomeno proveniente dal cuore del deserto: la ragione per la quale Maometto (570-632) elabora una nuova religione è quella di unificare le tribù del deserto arabico, che si scontrano sulla base delle diverse divinità locali. Il profeta non è certo alla ricerca di una diffusione del proprio credo religioso, se non quando le resistenze locali lo spingono allo scontro diretto per imporre ciò che viene rifiutato.
Maometto, come Cristo, non ha scritto nulla. I suoi detti e altre parole, raccolte nel Corano, sono proposte di vita essenziali, sono facilmente comprese e attuate tra gente che rivendica una propria identità, e soprattutto si rivelano capaci di attirare gente che vive nel deserto e di compattarla. Il profeta suggerisce le sue proposte di vita come se dovessero costituire una sorta di sintesi delle religioni del libro, o delle religioni rivelate, i cui personaggi principali trovano spazio anche nel Corano. Egli si aspettava un consenso più ampio dentro una religiosità rigida e tuttavia essenziale. Ed invece gli ostacoli furono numerosi durante la sua esistenza. La reazione, che Maometto mise in campo per dare una identità alla popolazione della penisola arabica, ebbe poi come conseguenza quello spirito combattivo che mosse le armate locali e spingersi verso territori con popolazioni della medesima razza o caratterizzate da una situazione molto simile a quella vissuta nel deserto arabico. Di qui la penetrazione nel mondo africano, che risultava affine al territorio desertico di cui l’Arabia era di fatto la continua-zione. Poi le scorrerie nella fascia costiera mediterranea proseguirono, in parte verso l’Europa nel territorio iberico, per le sue affinità con il mondo occupato dai Vandali (di qui il termine “Wandalus”, da cui poi deriva l’Andalusia, regione spagnola), in parte oltre il Sahara verso il sud, raggiungendo così, nel deserto e oltre, le popolazioni, che nella parte nubiana avevano sempre più il colore nero della pelle. Così l’Islam si impone, anche se, lontano dai luoghi di partenza, esso, almeno inizialmente non è vissuto nella maniera integrale. Si deve sempre riconoscere che l’Islam, nato in Arabia e per quelle tribù, non si identifica comunque con loro: come religione essa va ben oltre i territori in cui si è affermata, ed oggi appartiene a popolazioni molto diverse e che non potranno mai essere definite arabe. Questo vale per quanti vivono sulle coste africane che si affacciano sul Mediterraneo, anche se essi vengono assimilati agli arabi, parlando la loro lingua e appartenendo alla stessa razza semitica. Gli stretti contatti dei Berberi e affini con coloro che sono di pelle nera, conduce ad immaginare anche costoro affini al mondo arabo. Ma qui l’Islam assume connotati particolari, per quanto inizialmente queste zone dipendano politicamente dai califfati della regione mediorientale. Occorre dunque precisare che l’Islam, religione tipicamente araba, pur conservandosi nelle sue essenzialità anche in Africa, lì di fatto si presenta con caratteristiche particolari, che finiscono per condizionare una notevole area geografica del continente nero.
Comunque bisogna riconoscere che gli elementi essenziali dell’Islam sono presenti dappertutto e hanno plasmato molte popolazioni che occupano la vasta area desertica del Sahara.
Essenza dell’insegnamento di Maometto è che un uomo è un vero credente, un muslin – una persona che si è sottomessa alla volontà di Dio ed è in pace con essa –, se fa la grande professione di fede – esiste soltanto un unico dio ed è attraverso Maometto che il volere di questi è rivelato – e inoltre se mantiene quattro principali impegni rituali. Il primo è che, noncurante di dove si trova e indipendentemente da ciò che sta facendo, ogni giorno preghi Dio in cinque momenti prestabiliti. Va ricordato che si tratta di una preghiera privata: ci sono anche preghiere collettive, il venerdì a mezzogiorno, ma sono dirette da un direttore della preghiera (imam) piuttosto che da un sacerdote. Non c’è l’idea di un clero organizzato che funga da intermediario tra Dio e il singolo. Il secondo impegno è quello di fare elemosine. Ma questo, nelle comunità musulmane, fu presto sostituito dalla riscossione di un contributo regolare, zakat, al fine di costituire un fondo non soltanto per i poveri e bisognosi, ma anche per l’avanzamento dell’Islam e del suo governo. In terzo luogo, i musulmani, come gli ebrei e i cristiani, sono tenuti a digiunare ed è obbligatorio osservare il digiuno dall’alba al tramonto durante il mese di Ramadan. Infine ogni musulmano è tenuto, se possibile, a fare il pellegrinaggio (hajj) alla Mecca almeno una volta in vita. Purché si siano sottomessi alla volontà dell’unico Dio, tutti gli uomini sono uguali davanti a lui e nell’Islam tutti gli uomini sono veri e propri fratelli, che condividono imparzialmente il dovere di pregare, di fare elemosine, di digiunare e di fare il pellegrinaggio alla Mecca, senza discriminazioni di status, di ricchezza, di parentela o di razza.(Fage, p. 175)
Una simile descrizione degli elementi essenziali dell’Islam riguarda già i primi aderenti alla religione, che appartengono al mondo arabo e alle terre limitrofe del Medio Oriente. Ma dovunque gli islamici arrivano, fanno conoscere queste realtà che devono essere assunte, se uno aderisce a questa fede, ben sapendo che una certa lontananza può impedire di fatto il pellegrinaggio a La Mecca, diversamente dai nostri tempi in cui gli spostamenti sono meno problematici. Eppure anche in tempi lontani c’era chi aveva lo scrupolo nell’osservanza dei precetti, e perciò non mancava al pellegrinaggio, come risulta a proposito dell’Imperatore del Mali, con il suo viaggio accompagnato da un numero esorbitante di servi e soprattutto di quantità di oro. Questo viaggio avviene in un Medio Evo inoltrato.
LE VIE E LE MODALITA’
DELL’ESPANSIONE ISLAMICA
Nel periodo iniziale dell’espansione islamica in Africa troviamo lo svilupparsi di vie diverse e nel contempo di modalità diverse, con cui rag-giungere i capi e la gente del luogo. Nella prima fase, immediatamente dopo la morte di Maometto (632), quando c’era da assumere l’eredità e non si trovava un personaggio riconosciuto da tutti e che divenisse responsabile religioso e politico, si assiste ad un lotta di potere tra i familiari e i seguaci diretti del profeta. In questo momento già si vive una sorta di scissione, che fa nascere la componente sciita: in Iran questa componente prevale e costituisce un elemento di totale diversità da rendere avversari politici, ancora oggi, i due gruppi, gli Iraniani sciiti e gli Arabi sunniti.
Volendo seguire l’espansione in Africa della religione islamica, si riconoscono due modalità per la sua penetrazione nel continente: il gruppo più a nord avanza con la spada, senza trovare valida resistenza anche oltre il territorio africano e ad esso si unisce il gruppo che si inoltra nel Sahara meridionale, a contatto con i “camiti neri”; poi è da considerare la popolazione nera, sudanese e somala, raggiunta con la via commerciale.
I conquistatori musulmani in Africa del Nord esercitarono il controllo politico sui territori, creavano quadri militari e fondavano comunità nelle quali la vita sociale, politica, economica, culturale era informata ai valori islamici. In queste aree la pressione all’islamizzazione delle popolazioni assoggettate fu molto forte. La venerazione del Libro dà il segno della differenza tra le religioni indigene e lo stesso Islam. Tuttavia anche quando fu “guerriera”, la conquista non fu mai un processo di conversione forzosa all’Islam. Gli Arabi desideravano più dominare che convertire. Le conversione, per lo più spontanee, erano anche più o meno interessate, considerando i vantaggi derivanti dal divenire musulmani, inseriti a pieno titolo nel sistema dominante (in termini di prestigio sociale, di accesso alle cariche o di esenzione dalle imposte gravanti sui non musulmani. I mercanti, invece, tendevano a creare basi accanto ai più importanti centri del commercio africano e a fondare città, esercitando la loro influenza culturale sulle élites urbanizzate locali, forti di una cultura scritta e di un’organizzazione complessa. Solo di rado le comunità mercantili islamiche si organizzarono politicamente nella forma imperiale, tipica invece delle conquiste territoriali islamiche, e lo fecero solamente quando il territorio africano non esprimevano consistenti realtà statali autonome (che i mercanti musulmani non sarebbero stati in grado di sfidare). (Calchi Novati, p. 81)
MAPPA DELLE LINEE DI DIFFUSIONE
DELL’ISLAM IN AFRICA
LA VIA DEI GUERRIERI
L’immagine, che ci è data dalla storia tra noi diffusa, è quella di un Islam guerriero che conduce una guerra di conquista e che genera spavento e incapacità reattiva da parte delle popolazioni collocate sulle strade dell’espansione che appare di natura religiosa. Originariamente la Jihad (= guerra santa) non è propriamente l’incitamento a muovere contro le religioni avverse all’Islam, ma è piuttosto l’impegno a diffondere l’Islam stesso. In presenza di una opposizione o addirittura di uno scontro che potremmo definire “civile” per la rivalità tra i familiari di Maometto a proposito della successione, si arrivò alla guerra e con essa all’espansione e alla conquista, che dapprima riguardò il Medio Oriente e poi si spinse dall’Egitto su tutte le coste africane del Mediterraneo.
L’Islam arrivò in Africa con le incursioni nelle terre a nord del Sahara di combattive bande di arabi provenienti dalla Siria e dall’Arabia. Queste bande erano spesso molto piccole. ‘Amr ibn al-‘Ar, ad esempio, fu capace di conquistare l’Egitto, un paese forse di 15 milioni di abitanti, disponendo di forze che probabilmente non superarono mai le 12.000 unità circa.
Questa prima conquista in realtà fu possibile soltanto perché gli Arabi non combatterono contro gli Egiziani, ma contro le forze dell’impero bizantino e i sovrani bizantini dell’Egitto non erano amati dagli Egiziani autoctoni. Questi sovrani erano degli stranieri che cercavano di sfruttare la terra e il popolo egiziano per i propri fini e per il proprio interesse. Anche il loro Cristianesimo era straniero perché ritenevano eretica la Chiesa monofisita copta locale e quindi cercarono di sostituirla con la propria Chiesa melchita imperiale.
(Fage, p. 178-179)
Questo primo impatto militare, associato alla volontà di convertire all’I-slam, ha fatto pensare ad un disegno preciso in questa direzione e quindi ad una forma di imperialismo, se costoro escono dai propri confini o dal proprio habitat naturale. Ma da parte degli Arabi, se non in misura limitata, esisteva questo obiettivo e questa visione imperialista, di natura politica o culturale. Era semmai un imperativo categorico religioso nella stessa linea del Cristianesimo, che ha in sé la natura missionaria ed evangelizzatrice. Ovviamente qui, almeno nel primo momento, emerge questa visione religiosa associata al ricorso alle armi e alla conquista di tipo militare. Se questo risulta praticato con gli abitanti del deserto attorno a quello arabico, e, in primis, verso la Siria e la sua capitale, Damasco, dove Maometto era vissuto nell’infanzia e nella giovinezza, poi, però, per contiguità territoriale la scorreria araba si muove verso l’Egitto, dove il terreno appare propizio a motivo di una dominazione mal sopportata che anche in campo religioso creava non poche tensioni. Di qui la preferenza per un altro “padrone”, il quale non si presenta comunque a voler imporre il proprio credo, anche se tratta come sudditi di bassa categoria quelli che non riconoscono l’Islam. Ciò che a noi appare come una conquista fulminea e senza resistenze, ebbe invece ben altri sviluppi. Se, almeno nel deserto ci potevano essere somiglianze di vita con i nuovi conquistatori, dall’altra, nelle città, c’erano resistenze, o comunque si creavano delle convivenze, che i nuovi dominatori accettavano. I veri problemi derivavano dalle lotte interne degli stessi conquistatori, portati a creare nuovi califfati e quindi a gestirsi in modo autonomo rispetto agli Arabi portatori della nuova religione. Questo fenomeno è particolarmente visibile sulle coste africane del Mediterraneo, dove ancora oggi troviamo realtà statali diverse, che non possono essere considerate solo una eredità coloniale, come succede all’interno del continente. Qui non si affermano i califfati, ma si creano strutture che poi i dominatori successivi, compreso l’Impero turco, devono riconoscere.
La conquista territoriale del Nord Africa avvenne a tappe e con diverse resistenze, dell’impero bizantino da un lato e dei berberi dall’altro, ma poté risolversi in una serie tutto sommato rapida di scorrerie. In pochi anni i musulmani strapparono a Bisanzio la provincia più ricca, l’Egitto. La svolta decisiva per procedere verso ovest fu la conversione di importanti capi imazighen (corrispondono a coloro che noi oggi definiamo Berberi e così erano noti nel passato, per il fatto che parlavano un lingua “straniera” o “barbara”. “Amazigh”, nome con cui essi si definiscono, significa “uomini liberi”. Costoro, anche ad assumere la religione islamica non si sono lasciati “arabizzare”, per quanto da noi non si faccia simile differenza. I Berberi hanno così sviluppato regni indipendenti dal mondo arabico, pur condividendo la religione …) L’estremo occidente (come anche, successivamente, la penisola iberica) fu conquistato proprio grazie all’impegno militare dei berberi islamizzati, il cui numero divenne presto predominante sotto le bandiere dell’Islam. Già nel 711, a pochi decenni dall’arrivo in Africa, l’esercito musulmano ingrossato dai guerrieri berberi convertiti poteva attraversare lo stretto che separava l’Africa dall’Europa e spingersi alla conquista dell’interno. Con il suo passaggio il condottiero musulmano Tariq diede il proprio nome allo stretto e al promontorio di Gibilterra. (Calchi Novati, p. 82)
In genere il fenomeno della progressiva islamizzazione del Nord Africa, pur sempre frenata dalla resistenza locale sulla base di una formazione ben radicata del Cristianesimo, viene letto in termini di pressione di tipo militare. Indubbiamente ci fu un simile fenomeno e tuttavia per molto tempo i cristiani opposero resistenza, anche in forza di un radicamento che derivava da un magistero elevato, come quello che si deve riconoscere qui per le notevoli figure di vescovi e di maestri di spiritualità, che hanno segnato profondamente la vita cristiana di queste terre e non solo. Ma la perdita di questo patrimonio non più coltivato, portò ad un sincretismo che sfociò successivamente nell’adesione ad un Islam del tutto particolare: gli elementi essenziali sono quelli segnalati nel Corano, e tuttavia nel nord Africa essi vengono attuati senza imposizioni radicali e danno anche origine ad una spiritualità locale che ha qualcosa in comune con l’esperienza del monachesimo del deserto in Egitto. Perciò non basta puntare l’accento sulla conquista di tipo militare: sotto il profilo politico questa fu indubbiamente molto celere, mentre ci vollero secoli per un radicamento qui dell’Islam.
Il processo di islamizzazione del Nord Africa fu più lento della conquista. A un secolo dell’arrivo in Egitto, i musulmani erano ancora meno del 10 per cento degli abitanti del Nord Africa (e del Medio Oriente). Solo molto più tardi, alla fine del X secolo, la gran parte della popolazione, nelle città e nelle campagne, era convertita all’Islam, anche se diverse comunità cristiane conservarono il culto sino all’XI e XII secolo. Il cristianesimo africano – di grande autorevolezza nei primi secoli dopo Cristo – ne fu travolto, come anche l’ebraismo, diffuso all’epoca fra alcune tribù berbere. Solo la più grande comunità della antica cristianità africana, quella egiziana dei copti (dal nome greco degli egiziani), pur risultando notevolmente ridimensionate dalle conversioni successive alla conquista araba, soprattutto nell’VIII secolo, poté tuttavia resistere alla pressione islamica e mantenere la sua specificità nei secoli successivi, sino ad oggi; anche se la lingua copta, inizialmente sopravvissuta all’interno del paese, è ormai d’uso essenzialmente liturgico.
(Calchi Novati, p. 82-83)
In Nord Africa ebbero grande fortuna le correnti mistiche islamiche che concepivano un rapporto diretto fra Dio e il credente da realizzarsi nell’estasi, con il distacco dal mondo e in luoghi appartati (le maestose distese del Sahara ne erano il teatro privilegiato). Gli ordini sufi (movimenti religiosi di mistica islamica), spesso indipendenti dai regimi statali, godevano di ampio seguito fra le popolazioni e un singolo maestro sufi poteva arrivare a porre questo suo potere in opposizione a quello dello Stato. Anche per questo le formazioni statuali in Nord Africa diffidarono in genere del sufismo e cercarono di cooptarlo o di contrastarlo.
(Calchi Novati, p. 84)
LA VIA DEI MERCANTI
L’Islam diffuso sulla costa mediterranea si è servito dello strumento mili-tare, e di fatto ha trovato libero sbocco dietro il sistema delle armi, fermate solo con l’intervento dei Franchi a Poitiers (732) per opera di Carlo Martello, la cui battaglia venne poi mitizzata. Ma si deve anche riconoscere che la componente religiosa non si è radicata con le modalità violente, perché di fatto si genera un sistema costruito sulla mistica, e quindi con espressioni fortemente religiose, che hanno trovato sbocco anche oltre la costa. La penetrazione islamica si è avuta anche oltre il Sahara e quindi dai Paesi rivieraschi dell’Atlantico e del Golfo di Guinea, nella parte occidentale dell’Africa, ma anche andando oltre l’Egitto dentro la Nubia e nel Sudan. Qui si erano formati Imperi molto vasti, in cui si riconosceva l’alta autorità, anche se poi le singole comunità o tribù gestivano i problemi locali. L’Islam arriva non a partire dalle armate che vogliono imporre la religione, ma a partire dai mercanti che cercano spazi per il commercio dei prodotti. I continui scambi e, più ancora, la necessità di attingere all’oro, che risultava necessario per le guerre di conquista, avevano favorito la conoscenza dell’Islam che appariva la forma religiosa più unificante, sia perché aveva delle basi semplici, sia perché favoriva negli Imperi un collante tra le diverse popolazioni, abituate all’animismo. Così era ovvio per i governi centrali, gli imperi, adottare un sistema religioso unificato e unificante, in cui non si escludesse la conservazione delle tradizioni ancestrali.
Di fatto, nel periodo islamico, crebbe sensibilmente il volume degli scambi tran-sahariani, per effetto dei quali poterono diffondersi in Africa Occidentale nuove influenze culturali provenienti dal nord. L’Islam fu senza dubbio la più impor-tante. Nelle regioni sudanesi dell’Africa Occidentale, l’incontro con la cultura islamica fu essenzialmente pacifico. L’attività dei mercanti musulmani nei territori sottoposti all’autorità dei sovrani sudanesi era regolamentata: i sovrani locali decidevano unilateralmente i luoghi deputati agli scambi e il numero di operatori ammessi alle transazioni. In genere, la comunità dei mercanti musulmani era isolata e si autoisolava (mentre si africanizzava per altri versi con la consuetudine dei matrimoni misti). Il contatto fra mercanti del nord e popolazioni nere avveniva nelle città sudanesi sorte sul limitare sud del deserto. Di regola i mercenari musulmani si insediavano in aree a loro riservate, a fianco dei grandi insediamenti locali, creando in Africa occidentale varie cittadelle islamiche accanto ai grandi centri sudanesi, e così separando, anche urbanisticamente, popolazioni islamiche e non islamiche. (Calchi Novati, p. 92-93)
EAST AFRICA
PRESENZA DELL’ISLAM
Verso il Corno d’Africa, che è a più stretto contatto con il mondo arabo, si dirige un’altra linea di conquista, che va a trasformare l’Africa subsahariana, che guarda all’Oceano Indiano. Anche in quest’area troviamo l’influenza religiosa musulmana, in un contesto razziale che non presenta affatto vicinanza e consanguineità con le popolazioni della penisola arabica. Qui, senza far ricorso agli strumenti della lotta armata, diventa più facile la penetrazione, che tuttavia, come si rileva anche oggi, riguarda la fascia costiera, mentre all’interno si creeranno col tempo solo le carovaniere per la tratta degli schiavi, destinata ad essere un commercio non indifferente e molto proficuo. La costa somala assume invece una certa importanza per i traffici che gli arabi perseguono sul fronte asiatico, stabilendo contatti con il mondo indiano e perfino con il mondo cinese, oltre che quello del Sud-est asiatico. La comune mira commerciale di quella popolazione porta co-me conseguenza una certa uniformità, in cui la religione e la lingua assumono un ruolo determinante. Non è ancora comparso il Cristianesimo ed è radicato l’animismo tipico delle popolazioni bantu. L’Islam, come al solito, diventa un elemento che aiuta l’aggregazione, per la semplicità delle sue espressioni; altrettanto si deve dire per la lingua, il kiswahili, nel quale ancora oggi si riconoscono parole di origine araba: lingua e linguaggio qui sono comuni, oggi come nel passato, anche se si formano Stati o aggregazioni politiche diverse.
Ancora oggi persino nei resti delle città antiche rimangono tracce evidenti di questa presenza islamica, che pure si nota nella lingua e nei costumi di queste popolazioni. I Portoghesi, che nel XV secolo cercano la penetrazione in Oriente, passando dalla circumnaviga-zione dell’Africa, riconoscono che il sistema costruito qui dagli Arabi è da seguire, non mediante occupazione di territori, ma come possesso di centri commerciali nei porti di approdo delle navi che servono allo smistamento dei prodotti sui mercati asiatici.
I primi insediamenti musulmani sulla costa somala (Mogadiscio, Merca, Brava) sono del IX-X secolo … Fra il XII e il XIII secolo l’espansione islamica sulle coste dell’Africa orientale si intensificò con la creazione di importanti insediamenti (Zanzibar, Pemba). Finché, nel 1200, erano circa quaranta le città musulmane sorte sulla costa fra Mogadiscio (a nord) e Kilwa (a sud).
ROVINE DI KILWA (TANZANIA)
Fra le principali, Malindi, Mombasa e Zanzibar. Seguirono due secoli di grande prosperità dell’area, inserita nel vasto circuito commerciale oceanico governato da mercanti arabi, nel segno dell’Islam, fino all’arrivo del portoghese Vasco da Gama nel 1498. (…) Con opportune strategie matrimoniali i musulmani si allearono con le élites locali, capeggiando coalizioni di clan, poi largamente islamizzati, e crearono piccoli Stati islamici, le città-stato della costa.
Si sviluppò in tutta l’area un Islam urbano, fortemente sincretico, per il persistere di pratiche e di culti tradizionalmente africani e con una geografia del potere molto frammentata. Le popolazioni bantu della costa trassero profondi prestiti culturali di contatti con i mercanti e anche con i gruppi di immigranti arabi con i quali si fusero. Nel XIV secolo si era formata una nuova società africana profondamente mutata dal contatto con l’Islam e nota come società swahili (da sahil = costa). La lingua swahili (o più propriamente kiswahili), di ceppo bantu ma con molte parole derivate dall’arabo, si affermò da allora a tutt’oggi come lingua veicolare dell’Africa orientale e in parte di quella centrale. I navigatori musulmani erano all’epoca i dominatori di quelle rotte oceaniche. I portoghesi dovettero rivaleggiare con loro per il controllo del ricchissimo commercio dell’Oceano Indiano quando giunsero su queste coste, fra Quattrocento e Cinquecento, mentre andavano compiendo la loro circumnavigazione del continente alla ricerca di una nuova via per le Indie. Quando Vasco da Gama approdò a Malindi, ottenne da un navigatore arabo le preziose indicazioni sulla giusta rotta da tenere per raggiungere le Indie, profittando dei monsoni. Secondo fonti portoghesi, il musulmano era in possesso di una carta del mare precisa e di ottime strumentazioni marittime. (Calchi Novati, p. 88-89)
MONUMENTO A VASCO DE GAMA A MALINDI (Kenya)
In questa area geografica, dove pure arriva l’Islam, non riesce comunque ad imporsi un sistema statuale, come succede all’interno, dove si formano e si conservano Imperi di notevole estensione, essi pure attratti dalla religione islamica, sempre alleggerita da schemi troppo rigidi e soprattutto dalle forme fanatiche di lotta contro le tradizioni. Anzi, queste rimangono e cercano forme di concordanza con l’apporto che la religione di Maometto introduce. Se ci sono state e permangono modalità particolarmente marcate, ciò si riscontra laddove l’influenza araba è maggiore, come succede tra le popolazioni somale, a più stretto contatto con la presenza di Arabi sul proprio territorio. Nella fascia costiera, dunque, abbiamo una più chiara influenza del mondo islamico, per certi versi non mediato dalle popolazioni locali, come succede sul Mediterraneo ad opera dei Berberi, con l’intento comunque di privilegiare maggiormente l’aspetto mercantile che qui si sviluppa verso il mondo indiano e asiatico in generale. Questo aspetto ha lasciato tracce profonde nella formazione di città costruite con questo preciso intento e altrettanto si può dire delle fonti arabe che ne esaltano la presenza e soprattutto l’operato, molto vantaggioso per tutti.
Gli scrittori arabi hanno parlato ampiamente delle città della costa, da al-Masudi (X secolo) fino a Ibn Battuta (XIV scolo) passando per al-Idrisi; e tutti descrivono la costa come il paese di Zinj, cioè dei neri, anche a proposito di Mogadiscio. Ibn Battuta precisa che nel 1331 la maggior parte degli abitanti di Kilwa ha la pelle di un colore nero come il giaietto (è un mineraloide di origine vegetale di color nero brillante) e porta tatuaggi sul volto. Tuttavia in questo periodo la costa orientale dell’Africa ha sviluppato, particolarmente in tutta la serie di isole che l costeggiano, una brillante civiltà contrassegnata dall’impronta degli Arabi. In realtà, sulle coste del Mar Rosso gli Arabi dominavano dei principati che ogni tanto erano oggetto di contestazione da parte dell’Etiopia, ma che in tempi normali rimanevano saldamente sotto il loro controllo, come Adal, il dominio dell’Islam si estendeva anche di là della penisola arabica e del Golfo Persico, spingendosi fino alla Persia e addirittura all’India. In questo modo gli Arabi si assunsero con assoluta naturalezza il ruolo di mediatori tra l’Africa orientale e l’Asia, come lo avevano d’altronde anche al di là del Sahara tra l’Africa occidentale e l’Europa. Il commercio litoraneo veniva stimolato in modo eccezionale dalla domanda europea e asiatica, in particolare nel XV secolo; nell’intervallo tra il momento i cui al termine del XIV le rotte terrestri attraverso il Turkestan, rinvigorite nel 1200 dal grande impero mongolo, declinano contemporaneamente a quest’ultimo e il momento in cui i Portoghesi inaugurano le nuove rotte marittime del Capo, gli Arabi saranno i soli padroni del traffico.(Ki-Zerbo, p. 235-236)
In conclusione queste città della costa, in numero di trentasette da Kilwa a Mogadiscio, non hanno esercitato alcuna profonda influenza sull’hinterland, né sono riuscite a formare un impero dominato da un potere unico; al contrario, sono sempre state in una condizione perpetua di reciproca ostilità. Esse hanno tuttavia mantenuto un carattere africano molto marcato: lo swahili, che si svilupperà in queta zona, era un idioma essenzialmente bantu ma arricchito e trasformato da influssi arabi; la religione, invece, era musulmana, ma continuava a essere profondamente intrisa di riti animisti, come il grande tamburo continuava a essere uno dei simboli dello Stato. (Ki-Zerbo, p. 238)
LA DOMINAZIONE TURCA
Siamo abituati dai libri di storia a considerare la dominazione musulmana come l’operazione militare di Arabi, che, volendo portare la religione, di fatto si impongono sul territorio circostante, soprattutto laddove ci sono somiglianze geografiche con la terra d’origine. Inizialmente appare così; e nello stesso tempo si deve rilevare, come già detto, che all’indomani della morte del profeta sorgono le divisioni fra quanti, sulla base della parentela e dell’amicizia, rivendicano di esserne gli eredi. Di fatto i contenziosi che culminano con l’assassinio di Alì, divenuto genero di Maometto, avendo sposato la figlia Fatima, danno origine a centri di potere diversi, poi definiti “califfati”, che vedono contrapposti quelli di Damasco e di Baghdad. Se alla periferia di questo Impero, unito solo per la componente religiosa condivisa da tutti, sorgono centri di potere autonomi, non più manovrati dai califfi, questi, divisi fra loro, devono far fronte alla pressione di altri popoli che dall’est dilagano verso ovest, assorbendo la religione islamica e volendo assumere un ruolo decisivo sul mondo arabo. La minaccia turca viene avvertita in Europa, solo quando le armate fanno sentire il loro peso decisi-vo con l’occupazione di Gerusalemme: durante il periodo di dominazione araba non veniva impedito l’accesso dei cristiani ai luoghi santi; solo nel 1087, con l’occupazione turca, si assiste impotenti alla carneficina dei cristiani, che sono vendicati dieci anni dopo con l’avvio delle Crociate. La Crociata assume un caratterizzazione religiosa, e in questo modo lo scontro è vissuto soprattutto sul fronte religioso, che vede nei Turchi la mano armata dell’Islam.
Anche il mondo arabo deve subire la preminenza turca: il califfato viene assunto dal sultano in occasione della vittoria definitiva turca sull’Impero Bizantino con la caduta di Costantinopoli. Ma già prima di questo esito, che si ebbe nel 1453, i Turchi fanno sentire il loro dominio sul mondo arabo. E questo finirà per essere occupato e soggiogato. Ne consegue che anche il mondo islamico dell’Africa entra nell’orbita turca, fino all’avvento degli Europei.
Il Nord Africa – con l’eccezione del Marocco – fu soggiogato nel corso del XVI secolo. Fu in Egitto che il sovrano degli ottomani avrebbe trovato l’investitura al califfato. Da allora e per oltre tre secoli, fino all’età contemporanea, la storia dell’Africa del Nord fu legata alla storia ottomana. L’impero turco si impose anche con il consenso dei gruppi dirigenti presentandosi come difensori dell’Islam con-tro il dominio degli infedeli, gli spagnoli, che avevano preso piazzeforti sulle coste. Gli ottomani, con la loro potenza militare, riaffermarono nell’area il dominio della fede musulmana. Le nuove istituzioni, come anche la geografia sociale dei ceti dominanti e dei quadri militari, risposero in Nord Africa a evoluzioni locali realizzatesi a partire dal modello turco-ottomano. Una fattispecie tipicamente islamica, e caratteristica del mondo ottomano, fu l’utilizzo di schiavi per scopi militari. Accanto alla dimensione domestica della schiavitù, maggioritaria, vi era infatti una dimensione politica e militare di primissimo rilievo per la vita dell’impero che vedeva al centro lo schiavo. La schiavitù a fini militari, in particolare, adottata per rispondere alle crescenti esigenze belliche, fu profondamente dissimile dalla concezione europea o nordamericana di schiavitù. Non si ebbero in terra islamica significativi esempi di schiavi impiegati per la produzione (un tardo esempio si registra in Egitto, nella seconda metà del XIX secolo, per le piantagioni di cotone). Si formò invece, in Nord Africa, un corpo di schiavi bianchi con ruoli nell’amministrazione, nell’esercito e nello Stato. Si trattava dei cosiddetti mamelucchi (dalla voce mamluk, “di proprietà di”). Nel tempo, i mamelucchi divennero una componente importantissima del quadro istituzionale, sia politico che militare, di queste province, anche perché i sovrani di nomina ottomana in Africa erano riluttanti a cooptare le élites locali, temendone l’ascesa in concorrenza. Tanto che la funzione militare era riservata pressoché esclusivamente ad allogeni. Così non era inusuale che uno schiavo del principe riuscisse a emanciparsi e divenisse generale o ministro, o che lo schiavo di un generale divenisse ufficiale dell’esercito o funzionario dell’amministrazione, e così via (mantenendo sempre lo schiavo una posizione subordinata a quella del padrone e possessore). In Egitto, nel XIII secolo, la casta militare dei mamelucchi era giunta a spodestare la dinastia degli Ayyubidi fondata da Saladino (Salah al-Din). I mamelucchi uccisero l’ultimo sovrano ayyubide e governarono in proprio il paese fino alla conquista ottomana, nel 1517.(Calchi Novati, p. 99-100)
LA RELIGIOSITA’ ISLAMICA
IN AFRICA
Anche i Turchi vengono avvertiti come dominatori e tali rimarranno fino all’avvento delle potenze coloniali europee, che, pur lasciando le strutture locali, assumono quanto è necessario per lo sfruttamento di natura economica. L’elemento religioso si conserva, sia perché i dominatori non si prefiggono affatto di smantellare il sistema, sia perché a livello locale la tradizione viene gelosamente custodita. Si deve in effetti riconoscere che la fede religiosa, divenuta dominante, non ha mai conosciuto il declino, neppure in presenza di giovani generazioni che potevano essere inquinate dagli adescamenti di presenze esterne con cui potevano essere indotte ad assumere atteggiamenti conformi allo stile occidentale. La maniera di concepire la religione come affermazione di una identità risulta così radicata, che di fatto non risulta mai messa in discussione, un po’ dovunque nel territorio africano, laddove l’Islam si è imposto e non necessariamente in forme violente. Fa specie che una religione, sorta in un preciso ambiente come quello arabo, abbia trovato adesioni e si sia conservato per secoli an-che in luoghi che non somigliano affatto a quelli dai quali ha avuto origine. Anzi la stessa fede tradizionale, nelle forme espresse nel corso dei secoli, con tutte le modalità di adattamento alle suggestioni provenienti dal precedente mondo animista, viene rivendicata pure in presenza del dominio turco, che è esso stesso islamico, ma viene avvertito come dominatore, dal cui giogo è opportuno liberarsi. È sufficiente, comunque, il collante religioso per questi Paesi e per queste società, che spesso cercano di federarsi e nel contempo sentono di avere un retaggio particolare da cui non possono e non vogliono staccarsi. Il patrimonio che è opportuno riconoscere e a cui è bene dare risalto presso queste popolazioni, così diverse nella loro storia e così segnate dalla loro appartenenza all’Islam, è proprio la componente religiosa, che risulta poco nota, e che sembra derivare solo dal mondo ara-bo, come se altrove non fosse possibile elaborare una scuola e un lavoro di formazione, tale da lasciare il segno. Come già nel Medioevo, soprattutto nella Spagna “musulmana” si formano e si fanno riconoscere figure significative della cultura araba, da cui non possono prescindere neppure i filosofi e i teologi cristiani, così anche in altri momenti, un po’ dovunque, si devono riscontrare personaggi di un certo rilievo nell’ambito religioso che esercitano una buona influenza in questi territori, segno di uno sviluppo culturale che non va sottaciuto.
Non tutte le prescrizioni rituali musulmane vengono assunte, anche perché nel Sahara prevalgono altre indicazioni rituali, che risalgono ai tempi precedenti alla conoscenza dell’Islam: tra i Berberi, ad esempio i maschi si coprono il volto, diversamente dalle donne, che, pur avendo il velo, non erano tenute a coprirsi la faccia. E qui sorgono personaggi poco noti in Occidente, ma divenuti famosi e maestri di vita per le popolazioni locali. Il loro magistero deriva dall’Islam e nello stesso tempo fornisce anche altro, che è proprio della tradizione locale. Costoro non hanno accesso ai centri di potere e non ricevono una formazione di tipo militare o amministrativa e perciò si dedicano alla cultura.
Essendo loro negato l’accesso al potere militare, alcuni per compensazione cercarono di sviluppare un potere parallelo basato sulla santità religiosa e sul sapere, diventando le cosiddette tribù clericali o zawaya (sono tribù del Saha-ra meridionale che hanno tradizionalmente seguito uno stile di vita profonda-mente religioso. Hanno accettato una posizione subordinata alle tribù guerriere, sia arabe, sia berbere, che avevano scarso interesse per l’Islam). (…) I Kunta (tribù clericale) produssero numerosi teologi insigni e, durante la seconda metà del XVIII secolo, ebbero un capo religioso la cui importanza trascese di molto i limiti delle loro stesse tribù. Si trattava di Sidi al-Mukhtar (1729-1811) che, oltre a possedere straordinarie doti personali di apprendimento, di santità e di comando, rappresentava una tradizione spirituale molto importante che risaliva a un antico teologo del XV secolo, che operò nelle prime fasi della storia moderna dei Kunta a Tuat. Dal 1757 in poi, Sidi al-Mukhtar al-Kunti, incontestata figura dominante tra i Kunta, cominciò ad affermare il suo ascendente spirituale agendo da mediatore nelle molte dispute che scoppiarono tra tutti i vicini tuareg. La sua posizione fu consolidata dal fatto che tutti gli altri shaykh qaditi finirono per riconoscere la sua supremazia. (…) L’importanza di Mukhtar al-Kunti non si limitò al consolidamento del potere dei tuareg nell’ansa del Niger. Gli è stata attribuita la paternità di ben trecento trattati sull’Islam e sul ruolo di questo nel mondo. Il suo insegnamento e i suoi allievi fornirono forza e sostegno poderoso all’avanzata dell’Islam fra tutte quante le popolazioni nere del Sudan occidentale e centrale.(…) Avevano l’obbligo preciso di rifuggire dal sincretismo e di predicare e di consolidare la verità dell’unico Dio e della fratellanza universale degli uomini subordinati soltanto al suo volere. Erano anche addestrati a svolgere questo compito efficacemente, ad aprire scuole in cui tutti potessero impara-re il Corano e a partire dalle quali qualcuno potesse proseguire a studiare.(Fage, p. 225-226)
CONCLUSIONE
La pur breve inquadratura del problema dell’Islam dentro il continente africano lungo la sua storia ci fa capire che la religione maomettana ha trovato qui un terreno molto fertile. Pur non appartenendo al suo mondo, si è fatta strada non solo per il dilagante avanzare delle armate, ma anche per un’accoglienza convinta da parte di tante popolazioni diverse. Gli eserciti arabi, che sentivano il dovere di una “guerra santa”, non sono stati di fatto convincenti, come lo furono invece i mercanti, che nel baratto cercavano di allargare i loro spazi di compravendita. Evidentemente costoro sono stati capaci di far conoscere una realtà che, anche a loro, come già alle tribù del deserto arabico, appariva in grado di creare un senso di appartenenza a quanti sembravano non coltivarlo con la loro dispersione nelle oasi del deserto. Va comunque fatto notare che gli elementi fondamentali della religione islamica sono conservati e praticati e nel contempo non vengono trascurati gli elementi propri di una precedente religiosità locale. Si evita così una forma di proselitismo forzato, anche quando non si viene meno alla comunicazione di ciò che si è ricevuto. Una simile religiosità, non fanatica e non lassista, viene conservata anche nei diversi passaggi di potere e comunque serve a dare fino ad oggi un precisa identità alle diverse popolazioni del Sahara e dei dintorni. E tuttavia a ondate nei diversi periodi, soprattutto quando le circostanze appaiono limitare molto l’esercizio della propria identità si fanno strada anche forme violente con la ricerca del confronto armato.
Nel Sudan orientale la spinta rivoluzionaria islamica dei jihad ottocenteschi, alimentata dall’opposizione al dominio egiziano e al profilarsi dell’espansione europea prese avvio dalle locali tariqat (confraternite islamiche) ed esplose sotto la guida dello sceicco Muhammad Ahmad (1848-1885) che si dichiarò mahdi (= messia),il salvatore atteso nella tradizione islamica. Lo Stato fondato dal Mahdi nel Kordofan mirava a diffondere l’Islam autentico suscitando una rinascita religiosa e contrastando le usanze sudanesi non conformi alla sharia (la via o la legge di Allah). Furono i mahdisti, nel 1885, a sconfiggere il generale inglese Gordon e a conquistare Khartoum, fissando poi a Omdurman sul Nilo la loro capitale, ma una dozzina di anni dopo l’offensiva inglese porrà fine alla sua indipendenza includendo il Sudan nel condominio anglo-egiziano. Il secolo dei grandi jihad, l’Ottocento, andava così avvicinando le popolazioni sudanesi all’Islam in modo diffuso e pregnante, come non era mai avvenuto in passato. Anche se molti aspetti della cultura e della pratica islamiche erano presenti in Africa nera sin dall’età degli Almoravidi, i popoli africani non avevano acquisito una piena identità islamica e non avevano adottato la sharia, rimanendo legati alle proprie tradizioni.
Lo slancio dei jihad sudanesi fu interrotto dall’espansione coloniale europea, sul finire dello stesso XIX secolo, e i giovani Stati musulmani finiscono inglobati nei nuovi assetti imperiali prodotti dal colonialismo. Fu l’Europa, con le sue concezioni e le sue dottrine, ad assumere la guida di una modernizzazione che l’Islam rinnovato si preparava o avrebbe ambito a governare. (Calchi Novati, p. 104)
Anche questa realtà va conosciuta se non vogliamo una lettura pregiudiziale della storia africana, che presenta aspetti diversi e non facilmente comprensibili al primo impatto: la sola visione di un Islam aggressivo che si impone con la forza non è affatto sufficiente a spiegarne la rapida diffusione e soprattutto il suo solido radicamento nella società, laddove ha fatto proseliti, e più ancora si è conservato fino a noi. Evidentemente il fenomeno, soprattutto nel continente africano, merita un approccio diverso, come quello assunto da Charles De Foucauld (1858-1916), vissuto nel de-serto algerino per alcuni anni, dopo esserci stato da soldato francese e da studioso della popolazione tuareg. Con la conversione e soprattutto con la scelta di vita religiosa, che lo fa stare da solo nel deserto in una vita di preghiera accanto alla gente del posto, senza la pretesa di voler convertire, si è dedicato a conoscere il mondo islamico rispettandolo e amandolo, anche a finire ucciso in un agguato.
BIBLIOGRAFIA
1.
Joseph Ki-Zerbo
STORIA DELL’AFRICA NERA
Un continente tra la preistoria e il futuro
Ghibli – 2016
2.
Gian Paolo Calchi Novati – Pierluigi Valsecchi
AFRICA: LA STORIA RITROVATA
Dalle prime forme politiche agli Stati nazionali
Carrocci editore – 2016
3.
John Fage
STORIA DELL’AFRICA
Sulle tracce di una leggenda
Odoya – 1995