NEL GETSEMANI: Padre, se possibile, passi da me questo calice! La tua volontà sia sempre fatta!
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INTRODUZIONE1
Il percorso tradizionale della “Via Crucis” teneva presente la strada percorsa da Gesù per arrivare al Calvario e dunque solo il momento finale della sua Passione. Ma la Passione per Gesù ha richiesto anche altri momenti non meno dolorosi. E comunque essa non si riduce alle sole ultime ore di vita, come se il Signore avesse sofferto solo in quei momenti. Certamente quelle ore di violenza, che si potrebbero definire senza senso, come lo sono le tante ancora presenti nelle vicende di molte persone, hanno rivelato un uomo che, a fronte di tanto accanimento ingiusto, risponde sempre con dignità e soprattutto con l’amore di chi si dona, manifestando così l’amore di Dio che è possibile all’uomo. E noi dobbiamo considerare la sua passione soprattutto a partire dall’amore, che in una cornice di violenza brutale, Gesù continua ad esprimere: questo suo insegnamento deve essere raccolto come vita secondo lo Spirito, quanto mai necessaria alla nostra esistenza perché sia davvero più umana. Più che piangere o disperare per queste violenze che lo travolgono, noi dobbiamo cogliere come “vangelo”, e quindi come bella ed edificante notizia, la sua volontà di andare fino in fondo nel disegno del Padre, che lo vuole come espressione della sua “giustizia”, per noi uomini e per la nostra salvezza. La giustizia di Dio non è affatto quella forma di castigo con cui noi vorremmo vedere l’intervento di Dio che volendo riportare le cose a posto, punisce gli avversari, riversando su di loro la sua giusta ira. Dio invece esprime la sua giustizia tendendo la mano all’uomo, compreso colui che fa del male e lo fa anche alla sua persona, perché si ravveda, si converta, si rinnovi. Già nell’atto del tradimento di Giuda e nel rinnegamento di Pietro e dell’abbandono da parte dei discepoli, Gesù ha una parola amichevole per colui che lo consegna, ha uno sguardo pietoso per colui che dice di non conoscerlo, ha un intervento di difesa per i discepoli che si disperdono senza essere inseguiti e colpiti, mentre il pastore va a morire per loro. Così l’esercizio della “Via Crucis” non deve essere solo una lamentosa considerazione dei dolori di Gesù, ma una riflessione salutare sul suo modo di affrontare il male e le cattiverie, mediante l’amore che si dona, mediante la risposta coraggiosa alla volontà di Dio, che chiede sempre il dono d’amore come risposta al male dell’uomo, perché l’uomo conosca un’altra maniera di vivere. Impariamo allora a considerare la passione di Gesù, che è pure la passione di tante persone, come il momento nel quale ci viene rivelato il vivere di Dio che può diventare il miglior vivere per l’uomo ….
Continuiamo la lettura del testo di LUIGI SANTUCCI, addentrandoci in uno dei momenti più significativi della Passione di Gesù, quello che in genere noi definiamo la sua “agonia”. Essa è il combattimento, tutto interiore, che può prendere ciascuno di noi, quando, attorno, il male e la violenza, l’inganno e la cattiveria hanno il sopravvento e sembrano schiacciare. Allo sconforto, allo smarrimento, può subentrare l’angosciosa prospettiva di non farcela e magari anche la dolorosa reazione di chi si sente abbandonato da Dio e di finire disperato nella propria solitudine amara. Anche Gesù nei momenti di preghiera che precedono le ore drammatiche del processo e della esecuzione della condanna, avverte il completo abbandono dei suoi e soprattutto quel silenzio misterioso del Padre, che non gli rinnova, come in altre occasioni, il suo compiacimento, il suo appoggio. La mano, tesa a sostegno, sembra mancare; la risposta alla sua implorazione d’aiuto non si fa sentire; solo un angelo compare con il calice da bere, a confermare che non c’è altra strada se non quella del sacrificio personale. Seguendo attentamente Gesù in questa sua preghiera, ci rendiamo conto del vero significato della preghiera: non viene avanzata per chiedere qualcosa a Dio, ma per disporre la propria volontà alla volontà di Dio, in un esercizio che lo porta ad essere davvero Figlio, cioè “tutto suo Padre”. E poi davanti al traditore, davanti a chi lo cattura, vien fuori ancora colui che si rivela disponibile, come è sempre Dio con noi. Gesù sembra preso nel vortice di avvenimenti che lo risucchiano; in realtà il vero vangelo si riconosce laddove si dice che è lui a consegnarsi nelle mani, perché è lui a vivere quel momento in piena disponibilità. Noi ci lasciamo impressionare da quanto succede, per sottolineare la perfidia di Giuda, la debolezza dei suoi, la brutalità di gente che pensa di essere forte solo perché, in gruppo e col favore delle tenebre, riesce ad avere la meglio su di uno. Ma il più grande è Lui e lo è nel dono che fa di sé!
1- GESU’ E’ TUTTO SOLO
Qui lo scrittore vuole mettere in risalto la completa solitudine di Gesù nelle ore notturne della preghiera. Gli amici non ci sono perché dormono. Il Padre non si fa sentire in quel momento. Gesù è davvero solo, con la sua angoscia!
IL SILENZIO
Incominciò ad aver paura e a rattristarsi.
Nell’orto, stanotte, prega gli uomini per la prima volta. Ai suoi tre più cari dice: “Restate qui e vegliate con me”. Gli basta quel pochissimo: che se ne restino lì, Pietro, Giovanni e Giacomo, zitti, seduti sulla radice dei vecchi ulivi, a sopportare un po’ di guazza notturna vicino a lui mentre prega. Non importa se non pregheranno perché il freddo li intirizzisce. Sapere che ci sono, a pochi passi, e che vegliano. “Vegliate con me”. La risposta degli uomini, l’esaudimento degli amici è questo silenzio battuto da un lieve russare. Se ne sono andati lontanissimi, nell’unico modo che potevano, il più vile e innocente, senza ancora fuggire: si sono addormentati. Quei fili ultimi Gesù aveva nella mano, la compagnia dei tre, per non sprofondare nell’orrore; se fossero rimasti svegli con lui, la parte più terribile della passione gli sarebbe stata risparmiata, sarebbe bastato il loro respirare, raschiarsi la gola di quando in quando, strisciare i sandali sul terreno. O forse di nuovo avrebbe parlato, come nel cenacolo, il bosco vivo delle parole avrebbe fatto schermo all’immagine della morte. Ma il sonno ha tagliato i tre fili estremi che allacciano Cristo al paese dei suoi fratelli terrestri. Chiama allora il Padre: “Se è possibile, Padre, si allontani da me questo calice”. Tre volte lancia la stessa supplica. Magari è ancora possibile. Il Padre suo all’ultimo istante ha fermato il coltello sospeso sul ragazzo Isacco, ha spalancato ad Abramo, come in una fiaba, il lieto fine. Ed egli supplica il Padre dopo aver conosciuto per trent’anni il disperato amarsi e volersi vivi, tra padri e figli, sulla terra. Ma il silenzio del Padre stanotte è liscio e compatto, sembra l’essere stesso del mondo. Davanti alla tomba di Lazzaro il Padre rispose alla sua preghiera risuscitando un morto da quattro giorni. Per la prima volta quel silenzio è una sorpresa anche per lui. Tutti lo conosciamo quel tacere ultimo in fondo alla nostra preghiera: quando dopo aver invocato tratteniamo il respiro, tendiamo l’orecchio … e nulla. Allora, come fu per te, la tentazione di annientarci. Si gettò con la faccia per terra. La terra, la nera o grigia terra che ci sorregge è il tamburo sul quale chiamiamo soccorso, la madre entro cui farci inghiottire per correre a ritroso verso le nostre origini di bestia rannicchiata in un ventre. Ma la terra su cui Cristo preme la faccia non ha per lui la complicità ospitale di una madre. Essa è solo un pezzetto d’orto, creta e piccole felci brune nell’ombra, qualche coleottero notturno che fugge via. La terra è l’ultima frontiera, ora che egli non vede più casa né alberi né cose alte; ma una frontiera che resta chiusa, anche se la invoca di aprirsi e diventare il nulla. No, il nulla purtroppo non c’è, Signore, tuo Padre non lo ha potuto creare; solo un uomo come me e te, in un’ora come questa, lo vagheggia e lo adora con la sua disperata fantasia. Il nulla è il paradiso che ci è vietato. Ed ecco la tua passione, Cristo, quando con la faccia fra le radici hai attraversato l’angoscia metafisica di ognuno. Ecco la tua anima in croce, come quella di tutti i fratelli che una certa notte smarriscono la fede. E gli ulivi del Getsemani diventa-no con le loro braccia contorte dei fantastici mostri, i simboli di come tutto ci è sempre straniero; ma insieme essi sono d’un tratto i confessori del nostro nuovo peccato; questa paura e tedio, questo accettare sbigottiti che ogni cosa con la morte finisca. Nel loro neutrale esistere, gli alberi sanno? E forse soltanto dalle loro cortecce può uscire l’oracolo che sciolga l’enigma? La sua faccia si copre, scrive l’evangelista, di un sudore simile a gocce di sangue e Cristo singhiozza infine tra due nostalgie. La vita che vorrebbe far durare dentro e intorno a sé poiché da uomo non ha assaporato l’incanto – adesso sa che tutto in lei fu dolce, anche la persecuzione dei farisei – invece tra poco gliela strapperanno dal corpo e i suoi occhi vitrei non vedranno le colline né le nuvole né la lancia che Longino gli pianterà nel cuore. E l’altra nostalgia, il cielo, il Padre: ma se nel frattempo il Padre fosse morto? Dura così, eterna nelle ombre del giardino, la sua ora pendolare tra i due fatali silenzi. Gli uomini (“Perché dormite? Così non avete potuto vegliare un’ora con me?”. Poi ritornò e li trovò di nuovo addormentati, che neppure seppero che cosa rispondergli). E il Padre (“Tutto è possibile a te!”), che si rimpiatta ormai solo nella piccola felce tremante, nell’insetto che sparisce tra i fili d’erba.
Preghiamo
Quanta solitudine hai provato, Signore, in quelle ore della notte!
Quanto smarrimento ti ha preso il cuore, pensando al dolore!
Quanta amarezza ha dominato il tuo animo,
nell’avvertire il completo abbandono da parte di chi tu ami!
In questa angoscia ti sentiamo davvero al nostro fianco,
perché tu, così, condividi il nostro dolore
e soprattutto puoi comprendere la nostra debolezza.
Anche il Padre, che tu hai definito abitante del cielo,
sembra così lontano, così assente, così silenzioso,
come uno che proprio nel bisogno si lascia desiderare e non c’è.
Lo proviamo anche noi, Signore Gesù, dentro tanti guai;
proviamo che cosa significhi sentirci abbandonati,
mentre avremmo bisogno di una mano amica, di una parola forte.
Il tuo grido implorante è anche il nostro,
il tuo insistente richiamo al Padre lo alziamo anche noi,
sperando sempre in un sostegno che nel buio sembra mancare.
Ma non hai neppure l’appoggio dei tuoi amici,
che pur avevano giurato di essere con te fino alla morte;
non li vedi vegliare, proprio quando chiedi loro questa cosa,
non li senti pronti ad essere al tuo fianco nel momento del pericolo.
Signore, avremmo fatto così anche noi! Facciamo così anche noi!
D’altra parte noi ci aspettiamo l’aiuto da te,
perché tu stesso hai detto che senza di te non possiamo fare nulla.
E ci aspettiamo che tu possa fare questo passaggio doloroso,
perché solo così ci sarà possibile vivere del tuo amore.
Non possiamo fare altro che ringraziarti dell’aver accettato questo,
dell’aver vissuto, per noi e senza di noi, questi momenti terribili,
nei quali riconosciamo la tua grandezza, il tuo amore.
2.- IL SONNO E I SOGNI DEI DISCEPOLI
Mentre Gesù veglia, mentre chiede ai suoi di vegliare, i discepoli dormono e non si rendono conto di quanto sta succedendo. Nel sonno è facile sognare, ma il sogno è spesso per noi evasione dalla realtà, perché troppo amara. Ma questa realtà va affrontata …
IL SONNO
Venne ai discepoli, che trovò addormentati dalla tristezza, e disse loro: “Perché dormite?”
PIETRO:
Chi è là? Chi sei? Vattene! Già siete qui? Sei tu, cane, di quelli che vogliono mettere a morte il mio maestro? Compagni, in piedi: la spada. La morte. Chi dice la morte? Voi, avrete la morte. Noi avremo il Regno, il regno di Giuda col suo grande re biondo, su cui non oserete alzare la mano, perché io … Maestro, eri tu? Perdonami. Dunque non sono già qui. Come mi sono addormentato? Il sonno è traditore, come Giuda. Giacomo, Giovanni, è colpa vostra: v’ho detto di pungermi se avessi chiuso gli occhi. Tu, maestro sei vivo, grazie a Dio. Non temere. Ci siamo. E grazie che mi hai destato. Mi dibattevo in un incubo atroce. Sognavo migliaia di lance. E poi che uomini mi crocifiggevano, a capo in giù.
GIACOMO:
No, non svegliarmi. Mano, perché mi scuoti? Lasciami dormire. Io non so a chi tu appartenga, a qual polso e a quale spalla tu sia saldata. Ma non m’interessa. Stanotte non ho amici né nemici, né doveri né appuntamenti. Questo sonno mi ha liberato finalmente del maestro e dei condiscepoli, di mia moglie e dei figli che ho lasciato per seguire un uomo di cui ricordo solo che aveva una tunica rossa. Non ho altri amici che lui, questo sonno schiumoso senza ricordi né ansie, questo dolce oblio nella caverna del mio corpo. Amo solo la zolla più tenera e rilevata che ho scelto per posarci la guancia e chiudere gli occhi, questo mantello caldo che mi sono gettato sulle gambe e che nel sonno ho rubato a questi altri due con cui lo dividevo e che non so come si chiamino.
GIOVANNI:
Signore, non solo loro. Ma io dormivo di tristezza. Tu ci hai messo sulla terra un giorno, e ci hai vietato di ucciderci. Dalla nostra grande prigione non ci è dato fuggire. Ma per tua bontà ci hai lasciato il sonno, questo paese dove ci possiamo rifugiare anche noi poveri che non abbiamo denaro per imbarcarci, e basta solo chiudere gli occhi. Là io ero. E l’orto, e Giuda, e i soldati che stanno per giungere là non c’erano, nemmeno li conoscevano, anzi. Tu sì, c’eri. E mia madre morta. E si viveva noi tre. Tu non facevi miracoli, tutti erano sani e felici. Avevi rinunciato anche al Regno. Mia madre ci accudiva la casa. Dopo cena, per lunghe ore senza disturbo alcuno, tu ci narravi le tue parabole. Io posavo la testa sul tuo cuore e stavo a occhi chiusi ad ascoltarti. Solo ora, che mi hai svegliato, mi accorgo che era invece la schiena di Pietro e gliene chiedo scusa.
Preghiamo
Hai richiamati, Signore, i tuoi amici, e non una volta sola.
Li avevi preparati a questa ora tremenda,
mettendoli al corrente di quanto ti sarebbe capitato.
Ma loro dormono, continuano a dormire, incuranti di te.
Non fanno una bella figura e noi li vorremmo rimproverare;
noi vorremmo dire che al loro posto avremmo fatto diversamente.
Ma non è così, Signore, perché anche noi ci lasciamo andare;
anche noi abbiamo poca resistenza, poca fedeltà, poco amore.
Davvero, se tu non ci sostieni, non possiamo reggere;
senza il tuo aiuto possiamo fare ben poco,
senza il tuo Spirito non ci è possibile reggere in mezzo alle prove.
Spesso coltiviamo sogni di gloria, e non ci rendiamo conto
che i nostri sogni devono puntare sulle scelte che costano.
Spesso vogliamo seguire vie larghe e senza intoppi,
e non riconosciamo che la via stretta è quella veramente salutare.
Spesso cerchiamo i mezzi sbrigativi per risolvere i problemi,
senza capire che il passaggio più giusto è quello del sacrificio.
Risvegliaci, Signore, alla realtà della tua passione,
la sola in grado di permettere alla nostra esistenza
di divenire santa e autentica come la tua.
3. – GESU’ CONFORTATO DA UN ANGELO?
Solo Luca parla di un angelo che viene a confortarlo, a dargli un po’ di sol-lievo. In realtà non gli dà affatto la scappatoia per evitare quell’ora terribile. Il calice che gli dà, deve berlo fino all’ultima goccia. Ed è un calice amaro, che lo porta a volere quello che vuole Dio. E Dio vuole il suo sacrificio.
NE’ ALI NE’ TROMBA
Gli apparve un angelo …
Gesù dove sei? Come una di queste olive cadute dal fogliame, ti sei sciolto nel frantoio di una prova troppo schiacciante? Chi troveranno fra poco i soldati per incominciare la passione da cui dipende la mia salvezza? Ma ecco la sua ombra è in piedi, la sua voce è tornata quella del Signore di tutti i destini. “Basta, è giunta l’ora … Alzatevi, andiamo”. Qualcuno è stato con lui, ha vinto lo spauracchio degli alberi neri, la viltà della vita e della morte. Chi è quest’angelo, cos’è e donde è giunto quel potere di consola-zione sull’uomo più morto di questa e di ogni altra notte? Il biografo non ha che sei parole, gli apparve un angelo a confortarlo. E più non poteva raccontare, perché l’ultimo angelo della vita di Cristo non ha ali né tromba né bagliori, è davvero sempre invisibile, neppure ha parole da dirci che non siano ancora nostre e risposte dentro di noi. Egli è solo una pietà immor-tale che aleggia nel creato e accorre ultima; che, incapace di farci vincere la nostra disperazione, ci trasporta al di là di essa. L’angelo dell’orto è quella parte di noi che è madre e sorella di noi stessi, un coraggio sepolto, forse il grido di tutti i nostri ricordi; forse soltanto un odore di fieno notturno che ci restituisce il cielo e la terra. Questi sono gli angeli in cui non costa fatica credere. Sono ancora noi, e tuttavia sono un altro: un inatteso messaggero del Padre muto.
Preghiamo
Finalmente, Signore, qualcuno tende la mano;
finalmente un angelo viene dal cielo a portare conforto.
E tuttavia non sottrae l’amaro calice della passione;
vuole piuttosto che sia bevuto fino in fondo,
come tu stesso hai suggerito ai tuoi discepoli che cercavano la gloria.
Proprio nei momenti difficili,
proprio quando la tentazione di desistere si fa più forte,
abbiamo bisogno anche noi della tua presenza,
abbiamo bisogno di una parola incoraggiante,
abbiamo bisogno che lo Spirito ci accompagni e ci sostenga.5
Per questo, Signore, ti preghiamo:
vieni incontro a noi che imploriamo, alla stessa maniera tua;
non abbandonarci in mezzo alle tempeste che ci sommergono;
fa’ che ritroviamo la tua mano tesa all’aiuto;
e sollevaci a te quando la disperazione ci prende e ci sconcerta.
Il tuo angelo, Signore, non incuta a noi la paura del giudizio,
ci custodisca piuttosto da ogni male con la speranza della grazia;
il tuo angelo, Signore, non faccia risuonare per noi la tromba finale,
ma ci incoraggi a riprendere sempre dopo ogni caduta;
il tuo angelo, Signore, sia sempre presente a seguire i nostri passi,
per arrivare sino a te, anche sul cammino faticoso della croce.
4.- GESU’ TRADITO CON UN BACIO
Nel momento terribile dell’agonia Gesù ha bisogno di un abbraccio che sostenga, ha bisogno di un bacio che faccia sentire la vicinanza, ha bisogno di mani incoraggianti che diano solidità. Ed invece riceve l’abbraccio mortale di Giuda, il bacio perfido del traditore, la mano pesante di chi lo avvinghia e lo trascina via …
LA PRIMA FERITA
… e lo baciò
Forse l’angelo segreto che ha fatto il miracolo di strapparlo dalla paura lo ha soltanto baciato. Quando le parole sono impossibili un celeste impera-tivo c’ispira a poggiare la bocca sulla pelle dell’infelice per salvarlo col calore del nostro essere vivi. Sparito l’angelo, qualcuno gli si accosta ed è ancora con un bacio. A Giuda non basterà additare Gesù con la mano, segnalarlo coi connotati del viso o i colori del mantello: la notte è nera come la pece, sono tutti fantasmi uguali. Occorre, perché non nasca un equivoco, quel preciso atto discriminante, da vicinissimo. Occorre quell’abbraccio. Forse, una volta portatosi a ridosso del maestro, Giuda si accorse di non poter giustificare quella vicinanza illogica e goffa se non concludendo col bacio? O invece poteva trattenere il gesto fraterno, ma ancora in quell’attimo lo sventurato si sdoppiò, con un vertiginoso coraggio uscì d’un salto dal suo tradimento, come il pesce salta dalla barca dove fu pescato verso le onde, e volle gustare la guancia del Signore? Per quel breve attimo che dura un bacio fu disperatamente sincero e felice? L’invidia per Giovanni e pel suo posare il capo sul petto di Gesù, poche ore prima, egli l’ha placata in quel bacio? La barba bionda del maestro per l’ultima volta è sotto i suoi sensi, il respirare di lui, calmo e soave, sembra soffiar via l’orrore di ciò che sta compiendo, riaccogliendo nella comitiva dei tredici, svegliarlo dal brut-to sogno … C’è stato forse, tra le labbra di Giuda e l’orecchio di Cristo, una sillaba che doveva rimanere inaudita all’evangelista, che neppure mise in vibrazione l’aria frigida dell’orto? Ed è per quella sillaba che Gesù lo chia-ma “amico”? Ma tutto questo è nostra fantasia. E non sarebbe che il lampo di una contraddizione. Poco prima il traditore ha detto, alla turba armata di spade e bastoni, le parole del più calcolato intrigo: “Quello che bacerò è lui: pigliatelo e conducetelo sotto buona scorta”. Questa bocca che lo urta è in verità l’inizio della passione del suo corpo: è la prima brutalità fisica, la prima ferita.
Preghiamo
Non ti sottrai, Signore, al bacio del traditore,
che tu consideri ancora tuo amico e che vorresti salvare:
sei consapevole della perfidia, ma non per questo ti tiri indietro;
riconosci l’infedeltà umana, ma non rinunci alla tua fedeltà.
Noi vorremmo prendere le distanze da Giuda,
e scaricare su di lui tutte le colpe con l’accusa del profittatore,
che arriva a tradire per denaro, per meschinità;
ma siamo meschini anche noi, quando, senza tradirti come lui,
siamo indifferenti a te e a coloro che tu ci mandi nella loro povertà,
siamo vili e insensibili nel non considerare i dolori altrui,
siamo ipocriti e incuranti verso le disgrazie di tanti.
Richiamaci in continuazione, perché la coscienza si risvegli,
e, toccando la mente e il cuore, noi possiamo convertirci a te,
per tornare a riconoscerti, ad amarti e a servirti,
trovando nella tua volontà la nostra pace.
5. – GESU’ E’ UN GRAN SIGNORE …
Incomincia la scena di violenza. Ma a dimostrazione che chi la usa non ha un gran coraggio, ecco la descrizione da parte di Giovanni dei soldati, venuti a prenderlo, che non reggono davanti alla sua grandezza e stramazzano a terra, come dei birilli …
I BIRILLI
Fattosi innanzi disse loro: “Chi cercate?”. “Gesù di Nazareth” gridarono. “Sono io” rispose Gesù. Ora appena ebbe detto “sono io”, diedero indietro e stramazzarono a terra.
Questi uomini lo copriranno d’ogni brutalità e violenza. Fra pochi momenti Cristo si consegnerà nelle loro mani, si lascerà legare e non si parerà da uno solo dei loro colpi. Ma in questa prima battuta ha voluto rovesciare le parti, gli è piaciuto essere il loro carnefice innocuo, quasi burlesco, ed essi le vittime. Non occorrono, per sventare la passione, le dodici legioni d’angeli che il Padre, come dirà fra poco a Pietro, potrebbe far scendere a sbaragliare i suoi nemici; basta la sua voce – “sono io” – e gli sgherri ruzzolano per terra come i birilli. La sua voce ha placato la tempesta, ha risuscitato Lazzaro. Lasciati lì fra i sassi, ammonticchiati e ridicoli in quell’incantesimo, vetrificati nella loro pazza paura, nell’intuizione di star per assassinare il Figlio dell’uomo. Lasciali lì, Signore, e andiamo a casa. “Ma tutto questo avviene affinché si adempiano le Scritture dei profeti”. E nelle Scritture era segnato che quei fantocci si alzassero (e si rialzano, ecco, riassettandosi i panni impolverati), che la loro paura svanisse; che Gesù, subito sollecito della sorte dei suoi, dicesse loro: “Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano”. Li ha castigati con la sobrietà, l’indulgenza di un gran signore. Ora li restituisce sciolti dalla paralisi, alla loro libertà di ottusi carnefici. Ma ancora, prima di darsi nelle loro unghie, li frusta con la sua ultima, pacifica sfida: “Come per un ladrone siete venuti armati di spade e bastoni per impadronirvi di me. Ogni giorno stavo seduto in mezzo a voi, insegnando nel tempio, e non mi avete arrestato”. Bastoni e spade … quanto marziale coraggio! Dopo lo spintone, l’ironia. Poi sarà la mansuetudine, la pazienza, il silenzio. Caifa, Pilato. Gli sputi, le botte, le maledizioni del popolo. Fino ai chiodi nelle mani e nei piedi.
Preghiamo
Ti riveli un gran Signore, proprio nelle ore della Passione,
quando la tua dignità di uomo emerge sulla canea urlante,
quando la tua dolcezza si manifesta in presenza della brutalità,
quando le tue risposte non sono mai di condanna, ma di amore.
Aiutaci, Signore, a conservare anche noi questa grandezza d’animo,
soprattutto in presenza di tanta meschinità e di tanto odio,
per dare sempre risposte chiare, forti, serene,
anche a giudizi malevoli, anche a gesti violenti.
Insegnaci a non reagire con lo spirito di crociata a chi fa del male;
spronaci a dare il meglio sempre a chiunque,
anche quando siamo bersagliati dalle infamie e dalle calunnie;
fa’ emergere dal cuore la parola di pace e di fraternità,
anche in presenza delle offese, dei pregiudizi, delle cattiverie.
Lo Spirito di chi è caduto con il martirio, nel dono di sé,
ci raggiunga quando siamo presi dalla paura e dal disorientamento
e ci permetta di usare parole e gesti di comprensione e di fraternità,
per evitare la spirale del male e per far trionfare la vera giustizia,
quella che tu, Signore, usi con noi per elevarci ad un vivere migliore.
Fa’ che nel nostro mondo si faccia strada la tua giustizia e la tua pace
e che la tua Chiesa sia davvero strumento di unità e di concordia.
6. – ALLA VIOLENZA SI OPPONE UNA CAREZZA
Inizia la violenza, e la tentazione forte è quella di rispondere alla violenza con altra forma brutale, anche andando oltre la legge del taglione, quando prevale la vendetta. Il Signore oppone sempre la mano benefica, quella che risana anche chi fa del male. È la vera lezione di vita che ci deve far superare lo spirito di crociata, che a volte si fa strada …
LA SPADA E LA CAREZZA
Uno di loro anzi percosse il servo del sommo sacerdote e gli portò via l’o-recchio destro. Ma Gesù disse: “Smettete, basta!”. E toccato l’orecchio di colui lo risanò.
Questo è l’ultimo miracolo. Non so quanto sangue esca da un orecchio tagliato. Forse un calice, forse un bacile. Qui sono poche gocce, perché il miracolo è immediato, l’orecchio si salda alla guancia in un fiat, senza cicatrice. Certo questo sangue che schizza le erbe notturne del Getsemani è il preludio al gran tema del sangue che gronderà fra poco rosso e copioso sotto i flagelli, le spine, i chiodi, la lancia: il tema dell’agnello sgozzato per tutti. Ma su questa pagina ne proviamo il primo trasalimento. In tanti miracoli, in tante avventure, di sangue vivo sprizzato sotto gli occhi non si parla mai. Malco è l’unico personaggio cruento: a lui, sguattero oscuro venuto a portare una torcia in più, è toccata la sorte di mescolare – nelle zolle dell’orto – il suo sangue col mistico sangue dell’alleanza. E Simon Pietro, che aveva una spada … Pietro aveva una spada? Il Vangelo non confida segreti. Rivela d’un tratto, senza preamboli, verità sorprendenti. Che ci faceva quella spada fra i dodici? Chi e come se l’è procurata? Forse l’avevano tenuta nascosta a lui, e lui sempre aveva finto di ignorarla perché quella spada – quella comica spada che avrebbe fatto così poca carriera da tagliar un solo orecchio – era numerata anch’essa nell’arsenale di oggetti del Van-gelo, nell’inventario che il Padre custodiva fin dai labirinti astrusi dell’e-ternità. Doveva servire a fargli pronunciare ancora una parola clemente. Così le ultime parole che lascia ai suoi – ancora dopo quelle del cenacolo che pur avevano la solennità di un congedo senza postille – sono questo rimprovero fermo e amoroso: “Riponi la spada nel fodero”. L’ultimo gesto in cui lo ricorderanno vicino a loro, prima che i bagliori sanguigni e già ul-traterreni della passione lo portino via, sarà quella di quest’uomo che si china sull’erba a raccattare un orecchio mozzo, la carezza con cui lo ricon-giunge alla sua guancia. Tutte le volte che nella storia incontro crociate, eserciti cristiani, anche solo con una parola tagliente detta da noi agli altri, rivedo subito il maestro che si china a raccattare un orecchio: la sua carezza senza parole, fra le torce minacciose, al caro nemico.
Preghiamo
Davvero grande, Signore, è la tua carità: ai gesti di violenza reagisci con gesti di bontà,
alle parole dure e ostili rispondi con parole benevoli.
In balia dei nostri stati d’animo non abbiamo la medesima reazione
che ci riveli essere guidati dallo Spirito d’amore.
Abbiamo bisogno di averlo da te, quando tu prendi possesso di noi,
quando tu, rimanendo in noi, ci fai trovare le tue parole sulle labbra
e ci fai essere presenza di pace e di amore, come sei stato tu,
come lo sei ancora, con le tante persone che vivono il tuo Spirito.
In presenza di un mondo che diviene più brutale,
quando troppe armi vengono fabbricate e usate, prodotte e vendute,
quando gli animi coltivano la violenza e l’inganno,
quando si ricorre alla guerra per risolvere le tensioni,
si ricorre al litigio e allo scontro per risolvere le controversie,
introduci, Signore, il tuo Spirito; manda, Signore, i tuoi discepoli,
perché siano operatori di pace e di fraternità
per un mondo più giusto, più bello, più vero, più umano.
CONCLUSIONE
Laddove violenza e inganno trionfano sembra impossibile che possa avere senso il messaggio evangelico, spesso considerato come una utopia, qualcosa che sarebbe bello veder realizzato, e che invece, alla prova dei fatti, può sem-brare impossibile. Ma proprio ciò che risulta più arduo realizzare, va perseguito, perché in quella passione la vita può trovare il suo respiro migliore. Per questo abbiamo più che mai bisogno del messaggio evangelico, quando attorno sembra che il mondo vada nella direzione opposta. E bisogna sempre leggere, e soprattutto sentire come nostro vissuto, quello che troviamo scritto in quel libro. Allora lo Spirito di Gesù viene assunto e ci fa vivere come lui. Abbiamo bisogno di “leggere” la vicenda di Gesù, perché sia anche nostra, come succede allo scrittore che ci dà il “suo” vangelo. “Questa storia di Cristo – come scrive Santucci – (che è insieme in controluce la mia storia, un’occasione di biografia di me e di tanti altri come me) è nata da due tempi dell’anima, ha dentro due parti. Una, florida di fede, dove Cristo è goduto come felice possesso, consolazione e risposta; l’altra, invece, sotto il segno della problematicità o addirittura nei gorghi della disperazione. Ho voluto dunque lasciare in questo libro, che sono andato componendo lungo molti e diversissimi anni, le certezze e gli entusiasmi di certe ore cristiane, così come vi ho lasciato germogliare le erbe del dubbio e dell’angoscia. Grano e zizzania, come sta scritto, nel libero campo della vita”.