FEDOR DOSTOEVSKIJ: L’ANIMA RUSSA E L’EREDITA’ SPIRITUALE.

INTRODUZIONE

La celebrazione del bicentenario della nascita di Dostoevskij è l’occasione per cercare di conoscere meglio questa figura, indubbiamente grande nel mondo della narrativa ottocentesca, e non solo, e soprattutto appassionante, anche a risultare inquietante e difficile da seguire nei suoi libri. Capita spesso che alcuni estimatori e chi si avventura nelle sue storie si trovino in difficoltà a proseguire la lettura, quando ormai ci si è inoltrati. Non è immediatamente capace di attirare, se non per certe situazioni che possono suscitare a volte l’orrore e a volte l’interesse per le questioni che vi stanno sottese. E tuttavia, quando uno è in grado di superare una certa soglia, poi i suoi racconti avvincono, anche a doversi trovare in una specie di vortice. Ci si rende conto inoltre che ben al di là della lettura sociologica o psicanalitica che spesso si pensa di fare con i suoi romanzi, qui abbiamo la possibilità di cogliere, almeno in parte, quale possa essere l’anima del popolo russo, che egli tenta di scavare e di far venire allo scoperto. Si tratta di un mondo, quello della Russia, che ci affascina e nello stesso tempo ci lascia come disorientati, perché è un Paese, che, pur a considerarlo, per la geografia, appartenente all’Europa, non risulta omologabile a quello degli altri popoli del continente, come se la contaminazione con il grande mondo siberiano, facesse gravitare questa gente dentro una realtà, che è grande e infinita, come lo è lo spazio geografico di quell’immenso territorio. Alle prese con la costruzione dell’Europa, che già fatica a riconoscersi dentro realtà molto diverse, non possiamo escludere da essa la cosiddetta “Santa Russia”, che tanta parte ha avuto e continuerà a conservare con il mondo europeo, anche se oggi, a livello politico, sentiamo che essa vuole far parte “per se stessa”. Se vogliamo comprendere l’anima profonda della Russia non possiamo non passare da Dostoevskij, soprattutto considerando il suo discorso su Puškin (1799-1837), tenuto l’8 giugno 1880, nel quale egli riconosce colui che ha forgiato l’anima russa liberandola dalle contaminazioni del mondo occidentale, da cui provenivano quelle ideologie divenute “I Demoni”, dissacratori e distruttori.

Dostoevskij considera i Russi come il “popolo portatore di Dio”, l’“unico popolo portatore di Dio”. Ma una simile coscienza messianica non può essere ritenuta un segno di umiltà. In essa insorge l’antico orgoglio e l’alta coscienza di sé del popolo ebraico. (Berdjaev, p. 123)

L’ANIMA RUSSA

Missione salvifica della Russia

Tenuto conto che siamo nell’Ottocento, a noi potrebbe sembrare che una simile rivendicazione suoni come patriottismo o come indice di nazionalismo. Eppure in Russia non risulta che si dovesse rivendicare qualcosa del genere, anche perché l’impero appariva piuttosto un insieme di nazionalità e, comunque, quella russa avvertiva un suo ruolo “salvifico” nei confronti degli altri popoli, i quali sembravano riconoscere questa sorta di missione. Si potrebbe pure aggiungere che qualcuno si immaginava anche di vedere la Russia in questa stessa missione proposta fuori dei suoi confini e rivolta alla stessa Europa, che stava smarrendo la sua “anima”, inseguendo la rivoluzione tecnologica e con essa il miraggio di un arricchimento senza limiti. Proprio da questo mondo “senz’anima” provenivano, secondo lui, quei demoni che stavano corrompendo la Russia e stavano rovinando la sua gioventù, attratta da queste ideologie corrotte e corruttrici. Così il suo lavoro di scrittore, con i suoi racconti “accattivanti”, doveva servire a suscitare attenzione e riflessione, ben oltre i letterati, gli studiosi, i filosofi e i cultori di ideologie. E si riprometteva di raggiungere anche il mondo occidentale, dove i romanzi ottocenteschi, un po’ ovunque, avevano una particolare presa. Questo succedeva quando i romanzi partivano dalle figure che non erano più gli eroi mitici, ma risultavano appartenenti alla gente comune, e nello stesso tempo andavano a descrivere realisticamente il mondo che era socialmente ai margini, e che nei romanzi di Dostoevskij apparirà come il mondo del “sottosuolo”. Voleva così scuotere anche il mondo europeo? Certamente ne sapeva qualcosa, anche per i suoi viaggi, durevoli nel tempo, e vissuti con la curiosità propria di un narratore tutto dedito alla realtà desunta dalla cronaca. Naturalmente si era fatta una sua idea dell’Europa nel suo insieme. Leggi tutto “FEDOR DOSTOEVSKIJ: L’ANIMA RUSSA E L’EREDITA’ SPIRITUALE.”

FEDOR DOSTOEVSKIJ . IL VOLTO SPIRITUALE DELLO SCRITTORE E IL “GRANDE INQUISITORE”

INTRODUZIONE

Religione come spiritualità

Entrare nell’ambito religioso, sia della vita sia delle opere di Dostoevskij, è addentrarsi in un mondo che per l’autore è essenziale ed esistenziale. Non è una religiosità chiara, sicura, adamantina: trattandosi di una ricerca, mai conclusa, essa appare con tutti i dubbi e con tutte i chiaro-oscuri di una materia, che avverte decisiva e nello stesso tempo mai sicuramente decisa. Per il fatto che il suo orizzonte storico e geografico è quello della Russia, è predominante una religiosità che trova le sue forme espressive nell’ortodossia. Ma il suo orizzonte non si limita lì, perché la sua religiosità viene da una profonda esigenza spirituale. E il tema religioso dipende dalle domande fondamentali a proposito della vita: sono le domande che attengono alla cosiddette “cose ultime”. E così le questioni di fondo sono quelle del destino dell’uomo e del suo vivere, il destino che ha il mondo, non solo come realtà naturale, e, più in là, addirittura, il destino di Dio. Poi, di fatto, la riflessione circa quei mali che si identificano con i demoni, legati alle idee provenienti dall’Europa, porta a considerare la necessità di una autentica rivoluzione, quella, naturalmente, dello spirito!

Dostoevskij ha indagato sino in fondo lo spirito rivoluzionario. Il destino storico della Russia ha giustificato le intuizioni di Dostoevskij per il quale la rivoluzione si è compiuta in considerevole misura. E per quanto essa sembri distruttiva e rovinosa per il paese, tuttavia deve essere riconosciuta per russa e tradizionale. L’auto distruzione è un tratto endemico. Tale costituzione della nostra anima nazionale ha aiutato Dostoevskij ad approfondire le cose dell’anima sino alla spiritualità, a uscire dai limiti della mediocrità dell’anima e a scoprire lontananze e profondità spirituali. (Berdajaev, p. 11)

Per una religiosità di popolo

Questo genere di analisi, fatta da Berdjaev a ridosso della rivoluzione ormai in atto, fa capire che la componente spirituale in Russia è stata di fatto sospesa, per una visione “religiosa” – quella messa in atto dai rivoluzionari – che non ha niente a che fare con la tradizione, perché la religione tradizionale viene combattuta come espressione della reazione e della controrivoluzione: essa si oppone non solo al cambiamento delle strutture e delle sovrastrutture, ma all’avvento del “sol dell’avvenire” identificato con il potere al popolo, che è di fatto “potere ai soviet del popolo”. L’indicazione data da Dostoevskij per il recupero della vera anima della Russia è stata disattesa, anche perché non è facile capire che cosa voglia di fatto suggerire lo scrittore con i suoi racconti. La religione di cui egli parla non si identifica di fatto con le forme tradizionali, e nello stesso tempo la religiosità “popolare” non appare sufficientemente elaborata e chiarita, se quanto noi scopriamo messo in bocca ai suoi personaggi risulta più un apparato di idee, che sono ben lungi da essere quelle sulla bocca e nella mente della gente comune, a cui egli fa appello.

Indubbiamente Dostoevskij ha come obiettivo il recupero della componente spirituale, che certamente è nel suo profondo coerente con l’eredità cristiana. Non si potrebbe comprendere pienamente il pensiero dello scrittore senza far riferimento al Cristianesimo e a ciò che di spirituale esso comunica, ben oltre le forme istituzionali e devozionali, ben oltre le forme dottrinarie e morali. Andare oltre qui significa che il suo è un cristianesimo visionario, costruito sulle immagini che egli ha e che egli dà mediante i racconti, spesso scaturenti dai personaggi dello stesso romanzo. Costoro si mettono a raccontare la loro “visione” di Dio, di Cristo, del tipo di mondo che essi vorrebbero vedere sempre ben oltre ciò che la storia o la realtà ci offre. Questo suo Cristianesimo visionario, fatto di immagini e di racconti, è indubbiamente molto suggestivo e nello stesso tempo molto sfuggente: attrae e seduce per la forza espressiva che esso ha, quasi un teatro dentro il teatro della vita, e nello stesso tempo crea forme di disorientamento, perché si fatica a trovare nel racconto qualcosa di ben definito circa la proposta di vita che andrebbe assunta fuori del racconto, quando poi si entra nella vita vissuta. Leggi tutto “FEDOR DOSTOEVSKIJ . IL VOLTO SPIRITUALE DELLO SCRITTORE E IL “GRANDE INQUISITORE””

FEDOR DOSTOEVSKIJ: Il male di vivere nell’individuo e nella società russa.

FEDOR DOSTOEVSKIJ nel 1876

INTRODUZIONE

La questione del male continua

Sempre e solo il male. Ciò che domina nella vita e nelle opere di Dostoevskij è il male. E tuttavia non è qualcosa di disperato e di disperante. Si potrebbe dire però che esso diventa ossessivo, anche perché tra l’epilessia che lo assale frequentemente, il demone del gioco che lo prende e lo seduce senza scampo, e la necessità di sfuggire ai creditori e agli editori, egli si sente attanagliato e sempre più avvinto. Se rifugge dall’idea che il male debba essere cercato e trovato in un sistema che corrompe, che annienta, che tritura, volendo addossare le colpe e le responsabilità del proprio male a chi attorno appare irretito in ideologie perverse e pervertitrici, non può comunque negare che siano in corso in Europa e in Russia delle trasformazioni che hanno in sé il germe della rovina.

I mali nell’ambito familiare

Ma le sue ossessioni non vengono solo dal sottosuolo di un mondo in ebollizione, perché la società, sempre inquieta, è alla ricerca di un equilibrio, mai totalmente raggiunto. C’è pure un sottosuolo che gli appartiene, che è il suo stesso vivere contrassegnato da una serie di vicende con le quali è messo a dura prova chiunque, in modo particolare lui, già toccato da esperienze al di là di ogni limite immaginabile.

Al principio del 1865, Dostoevskij scorgeva attorno a sé soltanto morte, deserto e fantasmi. Il 15 aprile del 1864 era morta la prima moglie, di tisi, dopo una lenta agonia. Negli ultimi mesi di vita, mentre nella stanza accanto il marito modulava la voce grottesca e furibonda dell’“uomo del sottosuolo”, Mar’ja Dmitrievna sputava sangue. La morte tornò presto a visitare Dostoevskij. Nel luglio dello stesso 1864, scomparve suo fratello Michail, il più amato, in-sieme al quale aveva pubblicato due riviste, “Il tempo” ed “Epoca”. Dostoevskij rimase sconvolto della nuova perdita. “Letteralmente non m’era rimasto nulla per cui vivere” scrisse più tardi. “Stringere nuovi legami, creare una nuova vita! Mi ripugnava anche il solo pensarci. E per la prima volta sentii che non c’era nulla con cui sostituirli, che al mondo amavo soltanto loro, e che un nuovo amore non si può avere e neppure si deve averlo. Tutto, intorno a me, fu freddo e deserto”. Morendo, Michail aveva lasciato quindicimila rubli di debiti. Dostoevskij si impegnò a pagarli, e a mantenere la vedova del fratello con quattro figli, l’amante del fratello con un figlio, un altro fratello alcolizzato, e il figlio della prima moglie, Pasa, insolente e presuntuoso, che divideva il suo appartamento di Pietroburgo. (Citati, p. 281) Leggi tutto “FEDOR DOSTOEVSKIJ: Il male di vivere nell’individuo e nella società russa.”

Dostoevskij: una vita segnata dalla malattia, dal dolore, dal male, dalla morte

INTRODUZIONE

Le diverse letture dello scrittore

Il II centenario della nascita di Dostoevskij è un’occasione per cercare di comprendere meglio lo scrittore difficilmente catalogabile con gli schemi di certa storia della letteratura. È anche l’occasione per rileggere testi, indubbiamente non facili, che, data la complessità delle vicende e soprattutto dei personaggi che vi si trovano, con tutti i loro tormenti interiori, possono disorientare chi vi si accosta senza una appropriata introduzione. C’è chi vi trova la vena autobiografica, che, senza alcun dubbio, permea molte pagine di quest’uomo, tanto inquieto e tanto toccato dal dolore, dal male, dallo stesso azzardo che lui ha conosciuto a partire dalla frenesia del gioco. C’è chi vi legge il tormentato ottenebramento, a cui va incontro un’Europa avviata ad un progresso industriale con l’illusione, coltivata, di poter godere del benessere, mentre invece essa scivola inevitabilmente verso una catastrofe, poi dilagata nelle tragedie del Novecento. C’è chi vi legge la ricerca spasmodica di una salvezza, tanto desiderata e nel contempo così difficilmente perseguita, mentre, con i contorcimenti psicologici che muovono verso la follia, imperversa una specie di “cupio dissolvi”, derivata dalla perdita della spiritualità, quella cristiana, a cui egli punta decisamente come la sola fonte di autentico rinnovamento.

Il pensiero dello scrittore: il senso della vita in mezzo al male

Non è facile seguire il suo pensiero, anche perché egli propriamente non è un filosofo, per quanto appaia sottesa, nei suoi testi, una certa filosofia della vita. E non è neppure un pedagogista o uno psicologo che si premura di scandagliare l’animo umano, soprattutto quando è in formazione, perché possa crescere secondo criteri ragionevoli, se non sono di fatto razionali. Egli è principalmente uno scrittore di romanzi, avendo trovato questa vena espressiva non solo come fonte di guadagno per vivere, ma come la sola modalità per lui di comprendere e spiegare il suo vissuto, estremamente tormentato, anche da una serie di circostanze drammatiche che hanno segnato la sua esistenza. Ciò che racconta sono indubbiamente vicende umane che lo sfiorano, se non altro perché molti dei suoi personaggi vivono qualcosa che appartiene alla sua stessa esistenza e riflettono mali e tormenti che lo toccano: chi ben conosce quanto egli ha vissuto, non fatica a trovare molti elementi autobiografici. E tuttavia, come succede a tanti scrittori, le sue storie sono pur sempre vicende umane, scandagliate soprattutto nel tormento interiore. Esse riflettono il parto travagliato di un umanesimo, soprattutto russo, che era in corso, in un mondo da troppo tempo in letargo e vorticosamente avviato a trasformazioni se-gnate poi dalla tragedia. Per quanto egli rifletta il mondo russo, di cui è figlio, e di cui, soprattutto, è espressione, tutto quello che scrive a proposito dell’uomo travalica comunque quel particolare mondo, e, per tanti versi, anche la sua epoca, così travagliata e sottoposta a cambiamenti, come sempre succede, non facilmente gestiti e soprattutto gestibili. Leggi tutto “Dostoevskij: una vita segnata dalla malattia, dal dolore, dal male, dalla morte”