La peste di Milano -1630 – in Manzoni.


            MANZONI

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STORICI E NARRATORI DI PESTILENZE

Non c’è dubbio che la pestilenza è sempre un tragico evento: ogni volta che scoppia si genera una tale paura da far scatenare sempre il peggio anche nelle reazioni di chi vi è implicato, e soprattutto da lasciare impressionato anche chi ne racconta le vicende. È un “evento”; e come tale “viene fuori”, spesso in modo inaspettato, con tutta una serie di conseguenze che fanno cambiare radicalmente il modo stesso di vivere. Gli storici, che ne raccontano la trafila, sono abituati a cercarne le cause; e tuttavia non sempre è possibile risalire ad esse, anche perché ne manca la documentazione. Non rimane che parlare di quanto avviene, registrando non solo i dati sanitari, ma anche quella trasformazione psicologica e sociale che avviene negli individui e nelle relazioni umane che essi esprimono. Ancora una volta si deve dunque segnalare che l’aspetto umano appare rilevante e che pertanto gli scrittori non si limitano alla cronaca, ma colgono l’occasione per far emergere quello spirito umano, che in parte risulta venir meno e divenir scadente, senza per questo escludere che si debbano anche registrare virtù eccelse e grandi forme di eroismo. Va poi riconosciuto che il fatto dell’epidemia è sempre più associato ad un “racconto”, il quale va ben oltre la registrazione dei fatti storici e che la stessa vicenda pestilenziale diventa parte integrante della narrazione, non solo una cornice, come succede nell’opera di Boccaccio. Anzi, potrebbe addirittura risultare come lo snodo dei fatti e quindi un elemento qualificante della vicenda che pone al centro figure marginali della grande storia, inserite in un affresco corale, dove la “storia” prevede fatti legati al “verosimile”. Così la narrazione, fatta da Manzoni, della peste a Milano del 1630, non è più, non è solo, una sorta di resoconto degli eventi che la accompagnano, ma diventa elemento essenziale della vicenda dei due sposi, che proprio lì, in quel grande momento tragico, possono vedere il compimento del loro sogno. Se tutto sembrava andare storto, se tutto addirittura lì sembrava naufragare, proprio in quell’evento i due protagonisti si incontrano e scoprono che i loro mali, nel crogiuolo di quella dolorosa esperienza di male universale, trovano uno sbocco inaspettato e sorprendente, perché, come sempre, “Dio non turba mai la gioia dei suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande”. E Dio anche qui si rivela provvidente e benigno, sempre presente, anche quando si rimane disorientati per la sua assenza.

LA PESTE DI MILANO (1630)

IN MANZONI:

AUTORITA’ E CITTADINANZA

DI FRONTE AL MALE

Nel caso di Manzoni, rispetto agli autori precedenti, non ci troviamo in presenza di un uomo che è passato da questa drammatica esperienza, per quanto siano ricorrenti anche nel corso della sua vita delle epidemie. Raccontando nel suo romanzo della peste avvenuta nel 1630, egli studia il fenomeno a partire dalle carte consultate e dagli autori coevi alla pestilenza, che ne hanno trattato nelle loro cronache. Non siamo dunque in presenza di una scena che lo scrittore ha sotto gli occhi, o ha sperimentato di persona, come è stato per Tucidide e Boccaccio. Leggi tutto “La peste di Milano -1630 – in Manzoni.”

Boccaccio e la peste di Firenze

STORICI E NARRATORI DI PESTILENZE

Le diverse pestilenze che si sono succedute nella storia sono indubbiamente eventi drammatici, soprattutto per chi si trova coinvolto. Ma non necessariamente le informazioni su di esse ci arrivano da scrittori di storia con il loro intendimento cronachistico, più o meno dichiarato, e soprattutto con la finalità di ricercarne le cause e le conseguenze, come dovrebbe essere per chi si dichiara uno storico. Per certi versi i racconti più drammatici e più suggestionanti sono quelli di autori che non hanno nella loro finalità quella di raccontare vicende a cui hanno assistito. Anzi, spesso ci troviamo in presenza di scrittori che, mettendo sullo sfondo il quadro della pestilenza, propongono un racconto di pura invenzione allo scopo di voler uscire da un clima pesante di terrore per rifugiarsi in un contesto che vorrebbe essere purificatore, per far raggiungere una sorta di beatitudine paradisiaca.

È ciò che noi possiamo trovare nel racconto di Boccaccio circa la pestilenza del 1348. Non è per lui l’evento chiave del racconto, perché l’obiettivo della sua opera non è quello di trattare quanto è successo in quel periodo. Il resoconto della devastazione di quell’anno è solo lo scenario sul quale lo scrittore vuole impostare la sua opera, che ha tutto il sapore di una narrazione fantastica e fantasiosa per creare evasione e fuga. Se si vuole cercare una descrizione più accurata, dal chiaro intento storico, bisogna andare ad altri testi, come possono essere le croniche medievali del tempo o le “Istorie” successive. Nelle “Istorie fiorentine” di Machiavelli quel gravoso evento è liquidato con poche righe: “ … nel corso del qual tempo seguì quella memorabile pestilenza da messer Giovanni Boccaccio con tanta eloquenza celebrata, per la quale in Firenze più che novantaseimila anime mancarono” (II, 42).

Ma, come al solito, non basta raccontare che cosa è successo; qui vi è in gioco ben altro, perché l’evento narrato viene avvertito come un segno particolarmente forte che deve far riflettere e deve soprattutto far reagire: anche in una tragedia simile, è possibile costruire una storia positiva, che può diventare una “via salutis”, un vero e proprio cammino salvifico. Così il Decamerone non è solo una silloge di racconti da godere, espressione di un mondo gaudente che vuol mettere da parte gli affanni ed evadere nella fantasia. Esso è piuttosto il percorso umano di “salvezza”, analogo a quello dan-tesco, che concepisce la salvezza come grazia dal cielo e non come opera dell’uomo.

LA PESTE DI FIRENZE (1348)

in BOCCACCIO:

IL MALE DESCRITTO E VISSUTO

NELLA SOCIETA’ DEL TEMPO

Quando scoppia a Firenze la pestilenza, ed ha il suo apice nel 1348, la situazione della città presentava già alcuni aspetti di criticità. Il crollo del sistema bancario con l’insolvenza del re inglese diede origine ad una crisi economico-finanziaria drammatica. Ci furono anche tumulti popolari fomentati dal “duca Di Atene”, che era stato chiamato dai mercanti facoltosi per gestire il potere politico. Ma il vero tracollo si ebbe con il sopraggiungere della peste. Boccaccio, che aveva trascorso la sua adolescenza a Napoli, dove il padre curava gli interessi finanziari della banca dei Bardi, era già stato costretto in quegli anni tumultuosi a rientrare per il fallimento della banca, perdendo così l’ambiente, in cui aveva maturato la sua vocazione letteraria. Proprio in occasione della peste concepisce il suo capolavoro, che avrebbe dovuto costituire una fonte di guadagno in un momento “nero”, non solo per la peste. Non scrive per documentare l’evento: questo è sola cornice in cui inserire il quadro delle lieta brigata che racconta le sue storie. E neppure si prefigge intenti didascalici, come se volesse educare una società che è allo sbando completo. Egli ha il solo scopo di allietare, proprio nel momento in cui non c’è motivo alcuno per godere, nella speranza che egli ne possa trarre vantaggi di natura economica e così tornare alla bella vita d’un tempo. E sembra quasi fuori posto il brano in cui descrive il propagarsi del morbo con tutti i suoi effetti devastatori. In realtà il quadro fortemente drammatico è la cornice da cui parte il percorso salvifico che l’uomo deve fare, per superare non solo i mali del momento, ma anche quelli ricorrenti nella storia umana. C’è chi vi riconosce quasi una prosecuzione della “Comoedìa” dantesca, perché anche qui l’uomo è come smarrito in una “selva oscura”, rappresentata dalla peste nera. E perciò ha bisogno di uscire dall’Inferno per salire, purificandosi sulla montagna del Purgatorio, fino ad elevarsi nel Paradiso di un vivere più spensierato, come quello sperimentato dalla bella brigata di giovani che si ritrovano nel contado, per sfuggire ai miasmi di un’aria morta, come quella pestilenziale. Leggi tutto “Boccaccio e la peste di Firenze”

LA PESTE NELLA STORIA E NELLA LETTERATURA (1) – TUCIDIDE

STORICI E NARRATORI DI PESTILENZE

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Il fenomeno della pandemia in corso richiede un approccio che non si limiti solo ai numeri, ai rimedi sanitari, alle disposizioni governative, alla reazione della gente comune. Molto spesso si dimentica che oltre le necessarie analisi dei competenti nell’ambito scientifico e medico, oltre gli opportuni e doverosi provvedimenti delle autorità governative, oltre il lavoro ancor più faticoso di chi è in prima linea a combattere il male e ad aiutare chi ne è colpito, occorre anche una lettura a partire dalla psicologia umana, con le sue reazioni istintive e con le sue risposte più ponderate, che rivelano come anche in simili circostanze l’uomo sia in grado di far fronte al male. Ci vuole l’approccio di tipo antropologico, ma anche quel genere di lettura del fenomeno che noi consideriamo “umanistico”, perché in esso vediamo lo spirito umano reagire, ben oltre l’iniziale sconcerto. Queste forme di pandemia sono abbastanza frequenti e, in certi casi, non solo diffusi un po’ ovunque, ma anche presenti in modo molto drammatico per il coinvolgimento di tante persone, che ne rimangono segnate, sia perché muoiono, sia perché, anche a salvarsi, ne porteranno sempre le conseguenze. Di questi fenomeni ciclici abbiamo avuto spesso i cronisti, che si limitano a dare il loro resoconto della vicenda; talvolta abbiamo avuto gli storici che si sono prefissi di consegnare una sorta di insegnamento per i casi a venire; non di rado si sono cimentati anche scrittori di vaglia, che sono partiti da vicende in cui erano coinvolti, o da studi storici su cui si sono resi esperti, arrivando talvolta a dare anche racconti di pura fantasia, nei quali però le vicende narrate appaiono fortemente “verosimili”. In queste narrazioni abbiamo un tipo di lettura umanistica, in quanto al centro delle vicende sono le persone, ma soprattutto si coglie la preoccupazione di suscitare nei lettori una sensibilità che faccia prevalere il taglio umano, la considerazione di come l’uomo in simili circostanze possa riemergere più cosciente, più vigile, più saggio, più … umano! La breve analisi dei casi presi in considerazione valuta e valorizza soprattutto la componente “letteraria” e quindi non solo la ricostruzione degli eventi, ma la particolare modalità narrativa degli scrittori presi in considerazione, per capire quale sia l’intendimento, spesso anche esplicitato, nel voler offrire la propria indagine, la propria maniera di accostare questi fenomeni.

LA PESTE DI ATENE (430-429 a.C.)

in TUCIDIDE:

IL MALE DESCRITTO 

E VISSUTO NEL SINGOLO

Lo storico ateniese Tucidide (460 c. – 404c) non è il primo, né il solo a parlare di pestilenze: ne parla già la Bibbia, nel libro dell’Esodo, laddove la peste è una delle piaghe d’Egitto, con cui Mosè cerca di far breccia nel cuore del Faraone. Il racconto può apparire anche “mitologico”, ma non è improbabile che si siano succedute in terra d’Egitto forme di pestilenza, soprattutto in certe aree di forte densità umana Leggi tutto “LA PESTE NELLA STORIA E NELLA LETTERATURA (1) – TUCIDIDE”

EPIFANIA 2022: IL SOGNO DI DIO

 EPIFANIA 2022

RIFLESSIONI DELL’ALTRO MONDO

ALL’APPARIRE DI DIO CHE SOGNA UN ALTRO MONDO

Il racconto natalizio di Matteo, quello che noi usiamo soprattutto in occasione dell’Epifania, ci parla di grandi sognatori: c’è Giuseppe, che, per capire bene ciò che sta succedendo attorno a sé, deve sognare e quindi avvertire il disegno che ha Dio, sempre costruttivo, anche quando gli uomini mettono in campo il male. Il “suo” bambino è minacciato, e lui non ha dubbi nel rifugiarsi in Egitto, anche a sentire tutto il disagio di quel trasferimento e della permanenza in terra straniera. Si fa migrante con suo figlio, perché cerca un vivere migliore, che non necessariamente deve essere più facile. Dal sogno che ha avuto e che ha seguito, deriva a lui una visione positiva che gli dà speranza, anche a trovarsi in mezzo a un mare di pericoli e a una montagna di problemi. Il suo sogno viene da Dio, che continua a sognare in questo modo anche oggi, anche se spesso nel mondo c’è gente che delude le sue aspettative e va in un’altra direzione rispetto al suo progetto di vita: Lui invece indica nel Bambino e nei bambini la vera e sola salvezza per noi. Nei tanti bambini, che vengono in luoghi dove i bambini sembrano sparire dal nostro orizzonte, Dio ci offre il suo sogno e ci chiede di condividerlo, suggerendo che proprio lì stanno le nuove risorse, quelle giuste, per far rinascere il mondo. Guardiamo negli occhi questi bambini perché lì si rispecchia l’umanità che ci fa trovare il meglio per noi e ci fa vedere Dio. Sono anche i bambini che non vivono più in terre lontane, come un tempo si pensava: il mondo si è fatto piccolo, è entrata in casa nostra, ci appartiene e noi dobbiamo appartenere a questo mondo, come fa Dio, venendo ancora oggi dentro le fattezze di questi bambini. Qui ci sono immagini di bambini della Tanzania, dove opera sr. Agnes Muthoni, suora del Cottolengo: mi ha inviato recentemente alcune immagini del centro dove lei opera, da africana per gli africani, per dare speranza, anche là dove essa sembrerebbe mancare. Ma questi volti, pur dentro tanta povertà, sono l’emblema della speranza che si alimenta ancora in questo mondo, segnato da tanto male. Anche ad essere sgomento per il male incombente sul Bambino, Giuseppe, sempre in sogno, non esita a intraprendere il cammino rischioso della migrazione, allo stesso modo con cui lo fanno in tanti ancora oggi. Lì troviamo i grandi sognatori di oggi.

Tra questi sognatori dobbiamo mettere anche i Magi, che consultano il cielo per cercare poi … un Bambino. Non inseguono miti, idee, astruserie, ma una stella luminosa, che poi riconoscono viva e chiara in quel bambino, povero e pure sempre autentica risorsa di bene per l’umanità, vero tesoro da riconoscere, da adorare, da tenere sempre in considerazione, da seguire. Lo trovano in un ambiente povero e squallido, come lo sono queste abitazioni africane; lo trovano senza addobbi e senza decorazioni fantasiose. Eppure essi sono la vera ricchezza non solo per chi li ha generati e li ha nutriti perché così li sentono; lo sono anche per noi che insistiamo nel voler pensare ai beni materiali come l’obiettivo per vivere, quando piuttosto sono le persone il tesoro inestimabile su cui puntare, sapendo che, proprio dove c’è povertà di mezzi, si fa strada l’ingegno per costruire sempre il meglio, quello che serve ancora oggi per tutti noi. questi occhi puntati su di noi, senza chiedere nulla, devono diventare così penetranti da farci sognare per loro un futuro diverso, un futuro che può essere migliore, se anche a loro è data la possibilità di esprimere al meglio le loro risorse. E allora mettiamoci a sognare anche noi con loro e per loro …

Quei bambini, che spesso noi consideriamo più una sorta di fastidio, di costo, di continuo motivo di preoccupazione, qui sono la sola risorsa che garantisca il futuro. È così anche nel “sogno di Dio”, quello che lui alimenta in Gesù, mandato fra noi a portarci il vivere di Dio. Perché allora non dovrebbe diventare pure il nostro sogno, riprovando a investire in loro le nostre risorse? Queste sono sempre spese bene, perché non costruiscono solo cose, mezzi, altri beni materiali, ma soprattutto persone con potenziale umano che può diventare qualcosa di nuovo, di geniale, di creativo. In essi ci appare la grazia di Dio, come ci viene detto nel giorno dell’Epifania, rivelatrice di Gesù come vero tesoro dato all’intera umanità, e in essi scopriamo che c’è davvero ancora futuro, in essi c’è il vero e migliore futuro. È proprio il caso di riconoscerlo: da un altro mondo, non più solo dal nostro, si aprono prospettive nuove e diverse per un mondo che ci auguriamo differente da quello attuale, nella misura in cui si fa più attento alle risorse umane e in esse trova il vero tesoro, ciò che dà speranza. Lo avevano intuito i Magi in quel Bambino che hanno colmato dei loro doni significativi per la sua missione; lo dobbiamo intuire anche noi, perché anche le nostre risorse per loro siano investite bene per la rinascita di tutti e per il rinnovamento di questo mondo.