NARRATORI DI PESTILENZE
Le pestilenze che si sono succedute nel corso della storia, sempre documentate, soprattutto quando i fenomeni si allargavano e incrudelivano con morie disastrose, sono entrate a far parte della letteratura, perché molti scrittori hanno costruito su queste iatture una loro visione del mondo, dell’uomo, della storia umana. Possiamo in effetti riconoscere che i testi più famosi sull’argomento sono soprattutto quelli di scrittori che sono andati ben oltre la registrazione cronachistica del fenomeno, per costruire un loro disegno, non solo funzionale al racconto o al romanzo in cui si inserisce anche l’evento della peste, ma teso a suggerire una riflessione che spesso è stata considerata di natura filosofica. Perciò, anche se quanto viene descritto ha indubbiamente uno sfondo storico, perché viene raccontato quanto succede in un territorio particolare e in un’epoca ben precisa, la finalità perseguita risponde all’impostazione che lo scrittore intende dare alla sua opera. Poi l’evento diventa pretesto per proporre considerazioni di natura filosofica: in questo caso l’evento, anche ad essere collocato in un contesto geografico e in un momento della storia, non è più racconto di ciò che è veramente successo, di ciò che lo scrittore ha visto e documentato, ma diventa luogo e momento simbolico per collocare la propria riflessione circa i temi fondamentali del vivere, come il male, il dolore, la morte. Allora non interessa più che cosa è veramente successo, appunto perché il racconto è di pure invenzione; ma non per questo il dramma perde la sua connotazione di tragedia e il discorso va ben oltre i fatti narrati, i personaggi collocati su una scena del tutto probabile, senza essere mai provata: così la peste non è più una precisa malattia che contagia il corpo, non è più una epidemia da considerare per le sue cause, scientificamente accertate, ma rappresenta quel male, sempre presente nel vivere, a cui bisogna saper far fronte, se l’uomo vuole cercare, avere e dare un senso all’esistenza, da non lasciare al puro caso o all’assurdo. Così la narrazione di una pestilenza esce dall’ambito storico, non necessariamente da quello letterario, per diventare l’occasione per una riflessione sul vivere e sul morire, come è per tutti coloro che si sono cimentati con simile argomento. In questo modo non interessa più il fenomeno come tale, ma ciò che esso rappresenta simbolicamente nel vivere, per invogliare una riflessione più approfondita sul male e sull’assurdo.
LA PESTE DI … ORANO
IN ALBERT CAMUS:
SCIENZA E FEDE
DI FRONTE AL MALE
La storia narrata nel romanzo di Albert Camus è di pura invenzione, anche a trovare come sua scena la città algerina di Orano e un anno imprecisato, ma comunque appartenente alla quinta decina del secolo scorso. “I singolari avvenimenti descritti in questa cronaca si sono prodotti nel 194. a Orano.”: così inizia a scrivere l’autore, che mette subito in chiaro di non voler fare riferimento ad alcun caso particolare, perché gli avvenimenti narrati sono assolutamente dovuti alla sua fantasia. Perciò chi legge deve già sapere che non si fa riferimento ad alcun caso di cronaca, ma che la situazione descritta rimanda ad un senso di smarrimento provato per ben altro tipo di male. Tenuto conto che il romanzo vede la luce nel 1947, si deve pensare che esso sia una specie di riflessione dell’autore su ciò che è successo nel mondo con la guerra da poco conclusa. Sì, le armi tacciono e i contendenti hanno trovato i termini di un armistizio; ma ciò che ha contaminato gli animi permane con gli strascichi rovinosi, sui quali è bene riflettere. La peste, di cui si parla qui, non è affatto una malattia a livello fisico, ma è una contaminazione che ha corroso anche gli animi, e che di fatto permane nel dopoguerra, in cui la vittoria delle democrazie sulle dittature non vede del tutto debellato quel male oscuro che continua a fare danni. Il vero antidoto al male è la solidarietà: contro gli egoismi esasperati che si sono prodotti, soprattutto in Europa, nel Novecento, è necessario costruire quel senso di solidarietà umana, che si poteva immaginare di riscontrare nell’ideologia comunista, dalla quale però lo scrittore si allontana decisamente, quando anche lì vede allignare un sistema dittatoriale, che considera inaccettabile. La peste corrosiva dei sistemi totalitari che sembrava sconfitta con la guerra, insiste e dilaga quando si presentano altri “ratti”, che diffondono il morbo devastatore, soprattutto con una concezione del vivere che rinchiude sempre più in quella forma di difesa che si trasforma presto in offesa, come succede a chi per difendere i propri interessi comprime la libertà altrui, mentre in precedenza per la propria e l’altrui libertà aveva combattuto. L’autore non è affatto diretto nel tracciare queste linee di pensiero, ma lascia intendere che la vicenda da lui narrata è di fatto una metafora di quanto è già in corso d’opera, non appena è stata conclusa una guerra devastatrice, e si pensa di comprimere la barbarie disumanizzante con metodi e mezzi che sono altrettanto violenti e brutali. È ben nota la reazione molto forte che lo scrittore ebbe all’indomani delle bombe atomiche sganciate sul Giappone ormai sconfitto da parte degli Stati Uniti d’America: così la pestilenza, invece di essere bloccata, divampa e rovina sempre più. Lo potremmo allora definire uno scritto profetico in relazione a quanto stava avviandosi in Europa e nel mondo anche solo pochi anni dopo il conflitto mondiale. Come possono sempre insorgere le epidemie che scoppiano qua e là e a cui si pensa di far opera di contenimento, chiudendo chi ne è colpito in un campo di concentramento a cielo aperto, senza contatti con l’esterno, così c’è sempre il rischio che “ratti di fogna” si moltiplichino, senza che alcuno se ne avveda, con il loro carico di morte. È una denuncia molto forte, ma trattata con la maestria di chi vuol far riflettere senza ideologismi di parte, senza schemi precostituiti. Il fatto poi che si tratti di un racconto può favorire la diffusione anche oltre una certa cerchia di lettori, per suscitare un po’ in tutti domande, riflessioni, prese di posizione che interpellino le coscienze circa la reazione più corretta da avere nei confronti di un male subdolo, e comunque sempre operante. La società, stanca del conflitto, sicura di sé dopo il pericolo passato, si immagina di non dover reagire nella maniera giusta in presenza di un male oscuro e strisciante. Per lo scrittore è sempre necessario riflettere da parte di tutti, e, più ancora, di agire e di reagire, perché la responsabilità di far fronte al male non è solo competenza di alcuni addetti ai lavori, ma è obbligo morale di tutti e di ciascuno.
LA TRAMA DEL ROMANZO
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