A due anni dalla scomparsa del prof Maurizio Benedetti, Don Ivano scrive:
PER UNA ECONOMIA A DIMENSIONE UMANA
Il nostro tempo continua a passare. Chi è già approdato all’altra riva lascia il suo tempo a noi, perché in noi continui. Dobbiamo cercare di fissare alcune affermazioni che restano vive nella memoria e che danno quanto di meglio uno può lasciare di sé: lì continua a vivere lo spirito e diventa per noi una scintilla dello Spirito divino, che appare sempre più “Signore” e ancor di più come “colui che dà la vita”.
A noi restano i ricordi, vengono alla mente alcune parole e momenti belli trascorsi insieme, ma soprattutto riemerge quanto di più vivo una persona cara ci ha trasmesso e che ora sperimentiamo in tutta la sua carica di verità, in tutto il suo valore. Se molte cose rimangono nella mente e nel cuore, altre vanno richiamate, perché ora, più che allora, ci risultano di notevole importanza e sentiamo quanto mai arricchenti per il percorso di vita che ancora ci resta da fare e che vorremmo compiere accompagnati, come allora, da chi avvertiamo sempre più come un aiuto, un sostegno, un incoraggiamento continuo.
Nel caso di Maurizio chi, come noi, l’ha conosciuto come amico carissimo, per il modo sempre discreto e nel contempo molto profondo e significativo di accostarsi alle persone, ha ricordi sempre belli e sempre vivi, parole semplici e nel contempo di grande efficacia, sguardi che sapevano toccare in profondità, senza necessariamente aver bisogno d’altro per creare la giusta intesa. L’amicizia è il suo tratto inconfondibile, perché più di ogni altro contavano le persone, considerate una per una, per la loro specifica presenza, per il loro unico valore, per quella forma di relazione che poteva sempre arricchire sia nel dare come nel ricevere. Non erano le competenze a creare divari; non erano le qualità a costituire un ostacolo o un freno; non erano le situazioni o le fragilità psicologiche a impedire l’approccio un po’ con chiunque si trovasse ad incrociarlo nella vita. È questo il segno del grande valore che lui sapeva dare alle singole persone, piccole o grandi, di alto o di basso profilo, vicine o meno alla sua sensibilità, ai suoi interessi, alle sue qualifiche o competenze.
E in effetti le persone, che sono entrate a far parte della “sua famiglia”, sempre più allargata a comprenderne tanti, a cui sapeva dare una mano, nei modi più diversi e con le attenzioni specifiche che si richiedevano di volta in volta, hanno costituito per lui quel “mondo umano”, che davvero comprendeva latitudini diverse, proprio perché il mondo era la sua “casa”. E nella sua casa è entrato il “mondo”, fatto di persone che si sentivano parte della sua famiglia. E se egli dava molto di sé e delle sue cose, molto di più si avvertiva crescere nello stare con lui e nel comunicare con lui. Così – si potrebbe dire – è nato quel senso dell’economia, che faceva parte dei suoi interessi, per gli studi fatti e per il lavoro svolto. Ma per lui l’economia non era solo una scienza e una concreta gestione delle cose e dei beni materiali. Era, come è nel suo più pieno significato, il regolamento del vivere di una casa, o, se vogliamo, di un mondo, che è propriamente una casa, nella quale è bello abitare ed è buona cosa trovarsi come in una sola famiglia, appunto perché si appartiene all’unico e medesimo genere umano. Così gli studi di economia non erano solo tecniche per “far girare” gli strumenti finanziari e i prodotti, ma diventavano un’analisi più attenta nei confronti di coloro che sono il motore vero dell’economia, in quanto soggetti di quell’agire che deve costruire il mondo come una casa.
Per quanto ci si debba adattare dentro una realtà, spesso impietosa con i suoi conti da far “quadrare”, con le sue regole rigide da rispettare, l’attenzione alla componente umana, fatta di persone concrete, deve avere comunque il sopravvento. E questo grazie ad una forma di “spiritualità”, che non è mai riconducibile al pietismo o al devozionalismo, ma alla capacità di far procedere da sé lo Spirito, perché, dentro anche le situazioni più complesse, vinca sempre il bene, abbia il sopravvento il meglio, cioè Dio stesso, come si manifesta e si esprime nelle persone.
Maurizio ha coltivato questa particolare attenzione e ne ha fatto oggetto di riflessioni apposite, di analisi più attente, di una magistero di vita che possiamo veder affiorare nelle sue “lezioni” di economia, dove la componente “spirituale”, desunta dal grande mondo benedettino, conosciuto, analizzato e sperimentato, prende il sopravvento. Ma questo suo insegnamento non affiora solo nelle note scritte volendo riassumere il suo pensiero da presentare; diventa vita vissuta nelle sue scelte operative che gli fanno aprire la casa e, insieme, soprattutto il cuore, per essere sempre più vicino a chi egli sente parte viva della famiglia umana, la sua famiglia, quella che lui ha voluto costruire con relazioni di amicizia sincera e mediante un avvicinamento fatto con discrezione, con finezza, con vero rispetto.
Ciascuno di coloro che egli ha “sfiorato” con la sua amabilità e con il suo aiuto sincero e disinteressato, potrà ricordare episodi che certamente hanno lasciato il segno. Ma è anche opportuno cercare di comprendere quali siano le ragioni profonde che lo muovevano in questa direzione e con il suo tratto inconfondibile. Le amicizie coltivate anche nel mondo della finanza, le letture fatte a proposito di saggi piuttosto innovativi in questo campo con il richiamo alla componente “spirituale”, le sue riflessioni poi maturate anche in atti conseguenti e coerenti, sono da richiamare all’attenzione, perché un simile magistero di vita non vada perduto e perché la memoria viva, che vogliamo coltivare di lui, ci permetta di continuare, nella sua linea e con le nostre sensibilità, per costruire un mondo diverso, un mondo comunque possibile, se lui stesso lo ha sperimentato e lo ha indicato.
Il mondo che sembra cambiare con le rivoluzioni violente, in realtà procede, secondo l’agire dello Spirito, perché c’è qualcuno che nel suopiccolo cambia davvero sia con il suo lavoro intellettuale, sia e soprattutto con la traduzione operativa che deduce dalle sue riflessioni, avendo sempre come stella polare l’attenzione alle persone, a coloro che concretamente si incontrano – non per caso – nel percorso della vita e che costituiscono, secondo la parabola evangelica, quegli amici veri che possono diventare la corona e il premio della vita eterna, perché tali sono stati nel corso della vita. Così in effetti ci raccomanda il Signore: “Fatevi amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne” (Luca 16,9).
La ricchezza disonesta non è affatto quella che si raggiunge ricorrendo a forme ingiuste e insane di arricchimento, illecito e soprattutto ottenuto sulla “pelle altrui”. È piuttosto quella che, pur risultando fatta nei giochi finanziari di questo mondo, viene comunque vissuta e gestita con l’attenzione alle persone, soprattutto quelle deboli socialmente, quelle che necessitano di sostegno in mezzo alle prove e alle ingiustizie. Lì l’economia deve risultare lo strumento adatto per realizzare il Regno, e cioè la grande famiglia umana, che Dio considera la sua famiglia. Per il Regno le monete d’oro messe a disposizione da parte di Dio, secondo la parabola dei dieci servi di Luca (19,11-27) devono contribuire a gestire al meglio quella città che i bravi servi ricevono in dote proprio perché sanno amministrare bene i loro averi. La conclusione della parabola ci offre un detto ricorrente di Gesù: “A chi ha sarà dato; invece a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha”. Il giusto amministratore è colui che avendo un bene lo sa gestire per un bene più ampio del proprio, perché lo mette a disposizione di altri, perché quanto ha lo possiede perché sia dato ad altri, condiviso con altri. Chi invece tiene per sé e accumula per sé, è da considerarsi un pessimo amministratore, che non potrà mai “far girare” l’economia.
Maurizio ci ha insegnato anche questo nel suo modo di concepire l’economia, e soprattutto di viverla. Anche se questo non risulta ancora sufficientemente credibile nella visione che ce ne dà il mondo attuale, va riconosciuto che occorre questo spirito di profezia, fatto di riflessioni adeguate e di comportamenti coerenti, perché sia possibile un cammino diverso, un vivere davvero più umano e più fraterno. La lezione di vita che ci ha dato Maurizio ha bisogno che sia raccolta come testimone perché la corsa, che lui ha vissuto nella direzione giusta, possa continuare con la sua stessa carica e con gli obiettivi che lui ha perseguito. E allora proseguiamo il suo cammino …
Lecco, 11 luglio 2021
CON L’AFRICA NEL CUORE
Sulle strade del Tharaka
Sappiamo che Maurizio ha “girato” il mondo! Non perdeva l’occasione per muoversi, attratto indubbiamente dalla scoperta di luoghi, ma più ancora di persone, che gli dilatassero il cuore. Anche se dava l’impressione di essere il turista che ha la possibilità di accostare mondi diversi e sempre affascinanti, poi di fatto si lasciava toccare nel profondo del cuore da tante situazioni umane che meritavano attenzione, sempre rispettosa e discreta, che richiedevano solidarietà, vissuta in silenzio e nel desiderio di rispon-dere ai reali bisogni, sempre numerosi, sempre molto impegnativi. Qui vorrei ricordare alcuni momenti nei nostri viaggi, vissuti insieme, in Kenya, dove a più riprese mi aveva accompagnato in luoghi ormai noti, dove però c’era la possibilità di inserirsi nelle tante situazioni che ri-chiedevano una mano amica e solidale. Ci veniva volentieri, anche a sapere di esservi già stato, perché nei suoi viaggi contano, sì, le novità degli ambienti geografici, ma più ancora le persone, con le quali Maurizio sapeva stabilire i giusti contatti, anche quando si potevano creare vincoli onerosi, con le richieste, spesso insistenti, di aiuto. So che l’avevano toccato nel cuore i figli di Luigi, cuoco e “factotum” della missione di Gatunga. Io ho visto nascere gli ultimi due, Giulio e Marco, che ormai divenuti adulti e con le proprie famiglie, avevano costantemente bisogno di essere sostenuti, soprattutto quando la situazione locale si faceva insostenibile, per l’estrema indigenza del territorio del Tharaka. E a Maurizio non mancavano le richieste di denaro, che faceva poi arrivare. Ma le conoscenze non si limitavano a quella missione, perché poi, insieme, abbiamo percorso anche altre regioni, venendo a contatto con altre missioni e con altre situazioni di miseria estrema.
A Nkubu (distretto di Meru), davanti all’ospedale, nel 2004con un medico italiano, ex sindaco di Merate
E così il giro di conoscenze si allargava e il campo nel quale operare per ve-nire incontro alle necessità cresceva a dismisura. Ogni situazione lo toccava profondamente. Non si muoveva in quei territori come un semplice tu-rista armato degli strumenti di ripresa e con la curiosità per le cose esotiche. La sua attenzione era soprattutto per le persone; era in modo particolare per bambini e giovani, a cui assicurare un futuro. La sua cura e la sua sensibilità puntavano principalmente in quella direzione, interessandosi in modo particolare per la scuola e l’istruzione, che non dovevano affatto mancare. E, se poteva, non faceva mai mancare il proprio contributo, assicurando al missionario di turno quanto fosse necessario. Ha conosciuto parecchi missionari della Consolata, che operavano in quel territorio. Negli ultimi tempi si è fatto particolarmente familiare il rapporto con P. Matthew Kirema, originario di Gatunga, che aveva seguito anche qui in Italia e che aveva festeggiato nel 2012 in occasione della sua ordinazione come prete. Era stato in casa sua e aveva stabilito dei rapporti anche con il fratello che, abitando a Nairobi, veniva ad accoglierci all’aeroporto. Questi rapporti umani sono indubbiamente l’aspetto più bello del suo modo di vivere la missione a cui si sentiva attratto, proprio perché lì poteva rendere concreto e vivo il suo modo di concepire e di attuare la solidarietà e la fraternità.
A Baragoi in una festa fra Samburu e Turkana nell’ultimo viaggio del 2018
Per questo poi si era fatto promotore di un gruppo che fosse dedicato totalmente a questa causa, con particolare riferimento al Kenya. Certo, lì non sono mancati anche i momenti piacevoli dei “safari”, senza la pretesa di mettersi con l’animo dei turisti occidentali in cerca di avventure esotiche. Pure in quelle circostanze prevaleva il piacere dello stare insieme con altri che ci accompagnavano nel viaggio nell’intento di farli sentire sereni e distesi, pur in mezzo a mille disavventure, quelle che spesso succedevano con i missionari, impegnati anche in situazioni di tensione fra le diverse etnie, e, più ancora, con i loro mezzi di trasporto non sempre rassicuranti. Sapeva adattarsi bene nelle diverse missioni, perché, dovunque siamo stati, non avevamo propriamente delle attrezzature turistiche, ma potevamo creare condizioni di autentica familiarità, accontentandoci del poco e ben soddisfatti del clima di fraternità che si costruiva fin dalle prime ore del nostro arrivo. Egli era del gruppo l’amministratore, perché a lui competeva la cassa comune, che sapeva amministrare con oculatezza e sempre cercando di sostenere le spese perché la nostra presenza in missione non fosse mai di aggravio. È stato, insomma, un compagno di viaggio davvero splen-dido, un amico fraterno che ci ha pure comunicato la piacevolezza di vivere esperienze davvero indimenticabili con lo spirito giusto.
Lecco, 11 luglio 2022
UNA INIEZIONE DI FIDUCIA
Ho trovato riassunta una lezione che il “nostro” Maurizio ha tenuto a Lecco su un argomento che gli era particolarmente congeniale e che sapeva trattare con equilibrio e competenza, alieno dal cercare facile consenso e nello stesso tempo animato dalla giusta passione di chi ci tiene ad affrontare un tema non sempre facile. Gli era stato chiesto di offrire qualche “dritta” per cercare di non naufragare nel mare tempestoso di una economia lasciata al libero gioco di una finanza, spesso avventata, non solo in quei giorni. La lezione fu tenuta il 10 marzo 2017. Continua ad essere di stringente attualità!
Fiducia è stata la parola chiave su cui Maurizio Benedetti ci ha chiesto di concentrarci, ponendo la nostra attenzione sul significato originario di fides, un legame che unisce senza che venga limitata la libertà.
Così si introduce la relazione, che riassume i contenuti del suo intervento. Già il fatto che tutto dovesse ruotare sulla “fiducia” e che questa era da considerarsi la “parola chiave” del suo argomentare, dice con estrema chiarezza il tipo di approccio che Maurizio intendeva dare alla questione dell’economia, non circoscrivibile al solo tecnicismo dei dati da giocare. Ed è interessante la solida connotazione che egli dà al termine fiducia, fatta derivare dalla “fides” latina, nel cui semantema sta per Maurizio una chiara connessione al relazionarsi fra le persone sulla base della libera adesione di ciascuno. Non ci può essere per lui una sana economia che non si fondi sulla base della fiducia umana, la quale deve far avvertire solidità e sicurezza sulla base dei rapporti instaurati fra persone che si conoscono, che si rispettano, che si vogliono il bene reciproco. La “fides”, da lui richiamata, fa pensare anche alla fede di natura religiosa, la quale non è, certo, un apparato di dottrine, quanto un rapporto che dobbiamo immaginare come proveniente da Dio, il quale, comunicandosi, dà a noi un senso di sicurezza, di serenità, di beatitudine. A Maurizio preme rimarcare che un tale rapporto, lungi dall’imbrigliare (che spesso ha pure il sapore dell’imbrogliare), costruisce una autentica libertà, la quale fa operare in modo coraggioso, con progetti di ampio respiro, con visioni davvero lungimiranti. Non c’è vera economia e dunque un vivere “familiare”, dove i rapporti personali si regolano come in una casa (la parola “economia” ha come suo significato etimologico proprio quello del regolamento della casa …), se manca la fiducia, l’elemento essenziale ed esistenziale, perché una sana economia sia davvero a servizio dell’uomo, di ogni uomo. Ciò che premeva a Maurizio introdurre in un dibattito sull’economia che doveva – e deve tuttora – fare conto della crisi dovuta alla “sfiducia”, è proprio quel tipo di iniezione di fiducia, senza la quale non si può operare in maniera costruttiva. Su questo aspetto ha puntato Maurizio nella sua analisi, come si rileva nel riassunto che viene dato del suo intervento …
È stato infatti un filo rosso che abbiamo scoperto e ritrovato lungo il percorso. Un percorso con cui siamo stati aiutati a raggiungere una maggiore consapevolezza sulla situazione economico-sociale attuale e sul pensiero economico del mondo in cui viviamo oggi, grazie a due strade scelte da Maurizio: il racconto della crisi finanziaria del 2008 e della crisi economica del 2011 da una parte, un excursus storico dalle origini del pensiero economico moderno ai giorni nostri dall’altra. Con un racconto ricco di dettagli e contenuti, Maurizio Benedetti ci ha illustrato i meccanismi e gli eventi che hanno dato origine alla crisi finanziaria del 2008 che dagli Stati Uniti ha investito il mondo intero, dal meccanismo dei cosiddetti mutui subprime, alla conseguente bolla immobiliare, ai prodotti finanziari derivati da tali mutui. Tutti conosciamo il fallimento della Lehman Brothers e ciò che ne è seguito, fino alle conseguenze sull’economia reale che hanno portato l’Europa a vivere una nuova crisi economica nel 2011.
Non è usuale trovare in una spiegazione del fenomeno economico (soprattutto in riferimento alle ultime fibrillazioni che hanno indotto una delle crisi più gravi che possiamo conoscere nel nostro tempo, che si ricorra all’aspetto della fiducia. Non si dovrebbe mai dimenticare che la conduzione dell’economia, per sua natura, è alla base delle relazioni umane: tutto ciò che si produce, si vende, si acquista contribuisce a stabilire quei rapporti umani, che oggi più che mai vengono un po’ messi in ombra da un sistema costruito solo sui beni e meno sul beneficio che ne può derivare per la conoscenza e i rapporti fra le persone, fra i popoli. Il mercato, compreso quello rionale, non è solo un luogo per vendere e comprare, ma per far incontrare le persone, le quali, poi, comunicandosi, costruiscono pure rapporti sulla base della fiducia. Essa si è persa, ritenuta irrilevante nel gioco, ridotto a numeri e a bilanci da far “quadrare”. Occorre recuperare una visione che metta al centro la questione della fiducia, la quale va considerata connaturata con i rapporti stessi fra esseri umani. Perciò deve diventare un elemento non trascurabile anche nella considerazione degli aspetti economici. Invece si è fatto strada il sistema di quel genere di “furbizia” che vede alla base l’inganno, o il raggiro, o la voglia di farla franca … Maurizio in contrapposizione a questa visione richiama la fiducia per superare un sistema divenuto iniquo e destabilizzante. La sua disanima della crisi va proprio a toccare questo aspetto che dobbiamo ritenere davvero determinante.
Qui ritroviamo il nostro filo rosso, la fiducia, in quanto ci è stato spiegato come questo circolo vizioso sia stato innescato, insieme ad altre cause, da un calo di fiducia tra gli istituti di credito stessi. Le crisi finanziarie infatti, ha affermato Maurizio, sono crisi di fiducia e per questo motivo possono essere più gravi e più lunghe delle crisi economiche, che sono cicliche e dovute al rinnovarsi di equilibri tra la domanda e l’offerta. Ma come può essere interpretata questa crisi? Si è verificato un atteggiamento di miopia generalizzato sia tra gli operatori che tra i regolamentatori del mercato finanziario nel guardare sia alle esperienze del passato che agli esiti futuri, fidandosi ecces-sivamente delle capacità di autoregolamentazione del mercato finanziario e ponendo obiettivi di profitto a breve termine mancando di lungimiranza; non da ultimo, un eccesso di avidità umana.
Nel suo intervento, che non deve essere stato particolarmente lungo (anche per la presenza di altri oratori sull’argomento), non è mancata la cosiddetta “pars construens”: individuato il deficit di fiducia nella gestione dell’economia a piccoli e ad alti livelli, risulta necessario dare pure qualche indicazione sull’attenzione da avere perché si possa ricostruire quanto appare disarticolato, rovinato, lasciato andare ad un gioco perverso, proprio perché non rispetta più nessuno, ma vuole l’interesse di pochi, lo vuole subito, lo vuole a dismisura. Eppure è possibile un modo diverso di fare economia, anche se questa appare rovinata da faccendieri senza scrupoli.
Ci siamo chiesti allora se oggi sia possibile dare vita a un’altra economia. Maurizio Benedetti ci ha condotto alla scoperta di alcune delle scuole di pensiero economico attuali e si è focalizzato sul filone dell’Economia Civile, in cui si riconosce e che mira a riscoprire e attualizzare il pensiero dell’Abate Genovesi. Vissuto nel XVIII secolo Genovesi fondò la prima cattedra di Economia al mondo, a Napoli nel 1765. Sviluppò un pensiero economico in op-posizione a quelli a lui contemporanei e fondato sui principi di fiducia, il nostro filo rosso, reciprocità, felicità pubblica ed equità sociale. Ha fatto poi un richiamo ad Adam Smith, contemporaneo di Genovesi, con parallelismi e successive distorsioni, e al pensiero di Carlo Cattaneo. Ci ha spiegato poi che nel corso dell’Ottocento si è assistito a un declino della tradizione italiana dell’Economia Civile a favore di teorie utilitaristico-marginaliste che si sono diffuse nel mondo degli affari e delle accademie opponendosi al riaffiorare, nella seconda metà del Novecento, dell’antico progetto dell’Economia Civile basato sulla felicità pubblica.
Mi sembra notevole la segnalazione che Maurizio fa di Antonio Genovesi (1713-1769), una bella figura di economista napoletano all’epoca in cui Napoli rappresentava qualcosa di notevole nel panorama culturale europeo: le pagine dei suoi trattati si leggono volentieri, perché molto concrete e molto vivaci e possono essere considerate ancora oggi utili a far riflettere seriamente sul modo di impostare le questioni economiche che hanno un notevole influsso poi sul problema sociale. Vorrei citare di lui questa espressione che ben si addice a quanto vuole affermare Maurizio nel corso della sua lezione:
“Volete sapere, canonico, chi son coloro che più d’ogni altro si studiano di far peggiorare gli uomini e inondare la frode, la crudeltà, la sceleraggine? Quegli appunto, che gridano “alla fiera” e mostrano in queste parole gran rispetto alla virtù, ma non dicono mai però alle ricchezze: “Fin qui, basta”: quegli uomini da boschi e da riviera, che pretendono di essere uomini di anima. Quest’avidità, oceano senza lidi, non si può satollare che a spese di migliaia e migliaia di persone, cui è forza restare a secco per l’altrui ingordigia. Quanto più si chiappa del comune patrimonio, più crescono gl’indigenti. Ma un necessitoso serberà la pazienza un giorno, due, tre, una settimana, un anno; siete poi sicuro che scappa. Pretendete ingiustamente troppa virtù negli altri, non avendone voi nessuna. Mi muovono un certo riso amaro coloro che mostrano il viso sempre levato al cielo, che pare che non agognino che all’eternità, e intanto con i piedi, colle ginocchia, colle mani, non fanno che desertar la terra per straricchire. I figli della vera virtù, quei che sono riscaldati dal vero lume di Dio, quei che anelano alla vera felicità, che non ci può dare il mondo, diranno sempre: “Quanto basta a questi giorni infelici: non vogliam torre la sussistenza di tante persone; non vogliamo ingrassarci del sangue de’ poveri: siamo fratelli, figliuoli del medesimo padre: non ci ha primogenitura di beni terrestri: la sola virtù è il nostro maiorascato”. Ma quest’impastati di avarizia, queste insaziabili sanguisughe, questi animalacci rampicanti e scorticanti i vitellini, i cavretti, gli agnelli, i colombi, con qual faccia ardiscono poi di volersi far credere di essere arrolati fra le schiere de’ virtuosi? con qual giustizia ingaggiano gli uomini negli eserciti de’ lupi? e si lamenta che i vizi van crescendo? che l’uomo è una bestia crudele? che la nostra natura è furba? Si lamenta a torto”.
È una requisitoria appassionata, che mette in luce come anche nell’ambiente ecclesiastico a cui Genovesi appartiene si coltiva una fede che è tutta rivolta agli schemi dottrinari, ma non coltiva l’attenzione che proprio a partire dalla fede come dono di Dio deve impegnare alla fiducia nei rapporti sociali, dove la carità e la giustizia devono essere quelle di Dio. Ne dobbiamo proprio far tesoro! Anche Maurizio ci richiama ad una fede più viva e più efficace!
Lecco, 11 luglio 2022