Il primo grande eroe della storia russa, colui nel quale i Russi stessi si identificano, soprattutto nei momenti più difficili della loro storia, è senz’altro Aleksandr Nevskij, che appare circondato da un alone “mitico”. È pur sempre un personaggio storico, le cui vicende sono note a partire dalle cronache coeve; ma nel corso dei secoli si tende a proporlo come un eroe nazionale, un cavaliere “senza macchia”, un lottatore gigantesco, un uomo senza pari, capace di raccogliere attorno a sé i Russi nella difesa della patria. Così, dalla storia egli trapassa al “mito”, e come tale sarà sempre proposto in diversi momenti della lunga storia russa; anche quando figure simili, proprie di un epoca autocrate o monarchica, dovrebbero essere demitizzate o addirittura cancellate, egli affiora, perché anche nell’epoca dell’ideologia bolscevica prevale la necessità di ricorrere all’appartenenza del mondo russo. In questo modo non è facile ricostruire nel modo più oggettivo possibile chi sia stato davvero quest’uomo, che a noi arriva sempre con una fisionomia che lo vuole santo, eroe epico, condottiero vittorioso.
Il personaggio di Alessandro Nevski sembra aver conosciuto, ancora in vita, un’apoteosi epica e morale e un’idealizzazione che il tempo doveva rafforzare e la cui linea di sviluppo è nettamente rintracciabile nelle successive Vite che gli sono state dedicate. (Durand- Cheynet, p. 9)
Si potrebbe dire che con quest’uomo nasce davvero la Russia, mentre i principi precedenti, che erano i suoi predecessori anche in linea di sangue, avevano cercato di costruire una entità statale, superando le divisioni tribali e più ancora le faide familiari, contando sul riconoscimento dell’Impero bizantino. A dire il vero, egli non è più neppure il principe di Kiev, vivendo proprio negli anni della invasione mongola, che di fatto cancella la stessa città di Kiev. Il luogo, da cui egli costruisce il suo disegno politico, è Novgorod, che in questo periodo è fiera di essere una città-stato con le sue istituzioni cittadine. Alessandro vi abita, perché ricopre il ruolo di comandante militare nel momento delicato della minaccia mongola, anche se di fatto egli si farà strada con le battaglie decisive che lo vedono vittorioso sia contro gli Svedesi, sia contro i Teutoni. Più che per queste imprese fortunate, ma non necessariamente decisive, Aleksandr Nevskij entra nel mito perché poi si tende a indicarlo come colui che mediante la lotta contro l’invasore, si erge quale campione della difesa russa, che sprona a vivere nella libertà e nell’affermazione della propria identità “nazionale”, quando questa visione politica ancora non esisteva. E verrà sempre più utilizzato per questa ragione, quando i Russi sono chiamati a difendersi dal rischio di venire travolti, o quando si sentono animati a costruire la propria potenza politica e la propria visione imperiale. Eppure quest’uomo, dalla realtà storica, non risulta né un autocrate, né un imperialista. Nel corso dei secoli egli è strumento del potere per un’affermazione dell’assolutismo, come se già nel suo nascere la Russia dovesse presentarsi così e mantenersi secondo questa visione del potere.
Questa Russia medievale, alla vigilia della lunga e opprimente schiavitù tartaro-mongola, fa pensare che forse il potere in Russia non fosse così votato per natura all’assolutismo dispotico come spesso si è creduto. “La storia russa – scrive Hélène Carrère d’Encausse – abbonda di personaggi a forti tinte che la spingono in molte direzioni: la tirannia dei capi, ma anche le rivolte popolari; il terrore, ma anche la santità … (Durand- Cheynet, p. 17)
LA FIGURA DI ALEKSANDR NEVSKIJ
TRA STORIA E MITO
Neppure sulla data di nascita c’è l’accordo; si opta in genere per il 30 maggio 1220. Il luogo di origine è nel territorio di Vladimir (città)-Suzdal, nel momento in cui Kiev è già in declino, non solo per le tensioni con le popolazioni confinanti, ma anche per la pressione esercitata dai Tatari in rapida espansione. Pur di famiglia nobile, pur essendo nella lista ereditaria per diventare principe di quel territorio, non avrebbe comunque potuto aspirare a nessun controllo di città e dintorni, se non per il venir meno di altri, che nella graduatoria venivano prima di lui. La situazione, in continua evoluzione, gli fu favorevole, perché il padre Jaroslav fu chiamato a divenire il capo militare a Novgorod, allarmata per i possibili assalti dei mongoli, contro i quali nessun esercito risultava in grado di prevalere o quanto meno di fermare l’avanzata. In realtà per Novgorod il maggior pericolo, soprattutto per i suoi traffici, veniva dai potenti vicini del nord.
Questa tumultuosa città che godeva di ricchezze enormi e di territori estesi dal mar Baltico all’oceano glaciale e ai confini della Siberia, era legata alle sue libertà e, in generale, ostile al potere dei principi; ma aveva bisogno di un condottiero per essere difesa dai Tedeschi e dai Danesi che ne minacciavano le frontiere.
Iaroslav respinse il nemico, liberò numerosi Russi dalla prigionia, fece molti prigionieri e riportò un enorme bottino, ma dovette rinunciare a impadronirsi della città di Revel. Entrato in conflitto con le autorità di Novgorod, fu ben presto costretto a lasciare questo trono instabile e difficile e a rientrare a Pereiaslavl, vicino ai suoi figli. (Durand- Cheynet, p. 32)
È ancora piccolo, quando (31 maggio 1223) arriva la notizia della battaglia di Kalka, dal nome del fiume sul mar Nero. Fu una sonora sconfitta e segnò la fine della Rus’ di Kiev. Le orde mongoliche che qui ebbero la meglio poterono scorazzare sul territorio, senza trovare valida resistenza. Ma di fatto esse non si spinsero al nord: Novgorod viene a sapere della disfatta; si prepara ad un probabile scontro che comunque non succede. Il sistema fin qui attuato prevedeva la formazione di chi sapesse opporre un esercito valido, mentre i cittadini si dedicavano alle attività commerciali. Alexandr Nevskij crebbe in questo impianto formativo e di fatto assunse ben presto questa immagine che mantenne ben oltre la sua esistenza, per diventare un mito, sopravvissuto anche negli anni dello stalinismo. E sono i magnati di Novgorod a chiamare il padre per assumere il comando delle truppe, nonostante le tante diffidenze che quest’ultimo suscitava per le sue maniere dure e per le sue mire imperialiste.
I Novgorodiani avevano … cambiato sette principi in cinque anni. Bisognava che si sentissero particolarmente minacciati dai cavalieri tedeschi – che devastavano le loro terre baltiche e costruivano vicino alle frontiere della repubblica piazzeforti e arsenali per le campagne future – per decidere di chiamare Iaroslav. Il suo autoritarismo e la sua intransigenza aveva lasciato un cattivo ricordo, ma il suo coraggio, la sua energia e determinazione erano qualità preziose contro i nemici stranieri, di cui speravano sarebbe diventato ben presto il terrore.
(Durand- Cheynet, p. 55)
Comunque Novgorod, per sopravvivere, sia alle pressioni del nord, sia al pericolo dei Mongoli, che risultava più temibile con le notizie dei saccheggi, degli stermini e delle devastazioni che giungevano dal sud, deve ricorrere alla forza militare. Essa veniva portata dai principi suzdalici, quelli che dipendevano dalla Rus’ di Kiev. La presenza dei capi militari era tuttavia sotto stretta sorveglianza, perché gli abitanti di Novgorod rivendicavano la loro libertà per gli aspetti commerciali e aborrivano da qualsiasi forma di potere personale che potesse diventare di fatto una monarchia ereditaria. Questo difficile equilibrio ha fatto pensare che il sistema, poi attuato, del potere assolutista non appartenesse alle origini dello Stato russo, che di fatto, in questo periodo del Medioevo, ancora non esiste. Coloro che noi riconosciamo come i principi delle diverse città della Rus’ kieviana, non avevano ancora acquisito un potere che facevano derivare da Dio, perché se non altro ne cercavano il riconoscimento e il sostegno a Bisanzio. Essi poi non avevano mai coltivato l’interesse di aggregare i diversi popoli e le diverse tribù disseminate sul territorio che noi oggi consideriamo la Russia. L’autocrazia, come sì è manifestata successivamente, è un acquisto progressivo, soprattutto a partire dal venir meno delle potenze riconosciute nel grande mondo orientale. E tuttavia si continua a pensare che la Russia, anche con questa sua impostazione di Stato centralizzato con un governo autocrate, abbia inizio con la figura e l’opera di Aleksandr Nevskij.
CONTRO GLI SVEDESI E I TEUTONI
Per meglio comprendere la missione svolta dall’eroico condottiero è necessario segnalare che di fatto la sua figura si erge nello scontro che vede contrapposti Novgorod e gli abitanti del nord, percepiti come i veri rivali, molto più pericolosi dei Mongoli. Costoro, certo, hanno fama di orde sanguinarie e devastatrici, mentre gli Svedesi e i Teutoni appaiono come un ostacolo per la crescita dei commerci e della ricchezza della città.
Alessandro aveva seguito il padre al di là della Neva. Ben sapeva che se Novgorod si era miracolosamente salvata dai Tartari, era proprio contro tale città che si sarebbero moltiplicate le aggressioni straniere, data l’intenzione dei nemici europei di infliggere un colpo fatale alle terre russe non ancora depredate dai Mongoli. La città era abbandonata alle sue sole forze e non poteva sperare alcun aiuto dagli altri principati completamente distrutti. Capiva che la generale offensiva contro la ricca Novgorod era cominciata. L’inizio della campagna svedese subito dopo la visita del gran maestro tedesco, gli suggeriva l’idea di una complicità fra questi due potenti cattolici ugualmente sostenuti dalla politica pontificia, pronti ad attaccare uno al nord, mentre l’altro probabilmente non avrebbe tardato a dare l’assalto ad ovest. (Durand- Cheynet, p. 167)
Va rilevato che lo scontro con le genti del nord aveva assunto anche una coloritura di tipo religioso, perché si era già consumata la rottura tra Roma e Costantinopoli, ma soprattutto erano gli anni della conquista “latina” di Bisanzio nella quarta crociata, che vedeva gli occidentali muovere guerra
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per creare un regno latino nell’Impero bizantino. In modo particolare contro i Teutoni, che si presentavano con le armature crociate, si avvertiva la voglia di rivincita. Non bisogna tuttavia trascurare il fatto che le questioni sul tappeto erano quelle relative al commercio, a cui la libera città teneva maggiormente, perché lanciata ad assicurarsi i mercati sul Baltico. Per questo motivo il primo scontro fu con gli Svedesi, che da sempre cercano di avere il controllo della navigazione sul Baltico.
La politica di conquista e di colonizzazione delle terre di Novgorod da parte del nemico, svedese o tedesco, era sempre la stessa … Dapprima operazioni militari contro le popolazioni che pagavano il tributo a Novgorod. La loro offensiva era favorita dal fatto che Novgorod non stabiliva nelle sue colonie né truppe né guarnigioni, non vi costruiva fortezze e non vi insediava che pochi coloni. A rappresentarla erano solo gli esattori del tributo che passavano regolarmente … Dopo la conquista militare, gli invasori svedesi o tedeschi inserivano con la forza le tribù locali nel loro ordine, effettuavano una metodica colonizzazione, rafforzata da fortezze, guarnigioni permanenti e da una potente struttura sociale e politica.
(Durand- Cheynet, p. 168)
Evidentemente la diversa maniera di operare da parte dei due contendenti portava sempre più verso lo scontro aperto, quello che si decide con le armi. Novgorod era una città libera e rispettosa delle autonomie territoriali delle città vicine; gli Svedesi e i Teutoni, invece, tendevano ad assimilare e ad occupare territori. Novgorod appariva debole nel suo sistema istituzionale, mentre gli altri avevano acquisito abilità tecniche in campo militare. Di qui la necessità per Novgorod di ricorrere a figure militari, che tuttavia erano guardate con un certo sospetto. La scomparsa poi dei discendenti di Vladimiro e di Jeroslav sotto l’urto dei mongoli, sembrava isolare ulteriormente la liberà città, che già aveva mandato via chi veniva considerato una minaccia al suo sistema istituzionale. Il giovane Aleksandr era rimasto in città, legato a quel sistema istituzionale, e non sembrava creare problemi al gruppo di potere, che probabilmente lo riteneva ancora troppo giovane, pur presentandosi ardimentoso e sempre esercitato in ciò che gli piaceva maggiormente, e cioè il maneggio delle armi. Egli godeva inoltre della simpatia dei territori vicini, che invece vedevano con terrore la presenza dei cavalieri Teutoni e il loro sistema di governo. Più ancora erano temuti gli Svedesi, perché costoro, volendo il controllo del Baltico, risalivano il corso del fiume che portava a Novgorod.
Novgorod nel XIII secolo,
da una scena dell’ “Aleksandr Nevskij di Ėjzenštejn
… La Svezia voleva sbarrare a Novgorod l’accesso al mare impossessandosi della via fluviale dal Volkhov alla Neva e al golfo di Finlandia, assicurarsi il dominio economico su questa città, impadronirsi delle terre novgorodiane in Finlandia, soprattutto nella regione degli Iemi. Gli Svedesi una volta insediati a Ladoga, avrebbero risalito il Volkhov e sarebbero giunti rapidamente fin sotto le mura di Novgorod … Fin da allora era evidente per Alessandro che era necessario prendere il nemico di sorpresa e riportare una folgorante vittoria.
(…) I Novgorodiani conoscendo Alessandro da molto tempo, avevano fiducia nel suo giudizio e nel suo talento militare. Lo ritenevano audace e ponderato, capace di assumersi degnamente le più pesanti responsabilità.
(Durand- Cheynet, p. 169-170)
Si giunge così alla battaglia decisiva contro gli Svedesi, in uno scontro che poi le cronache presentarono in termini epici, e come tali passarono poi sui libri di storia e nella coscienza popolare. Proprio perché lo scontro avviene sul fiume Neva, Aleksandr si porterà poi il titolo glorioso dell’eroe della Neva; di qui il nome di “Nevskij”, che gli rimarrà affibbiato. La battaglia avviene il 15 luglio 1240, il giorno anniversario della morte di Vladimiro il Grande, scomparso nel 1015. E fu uno scontro memorabile, declamato e ricordato nei racconti e nelle immagini che continueranno a fiorire nei secoli successivi.
Il ritorno a Novgorod di Alessandro e del suo esercito fu trionfale. Gli abitanti, uomini, donne e bambini, laici e membri del clero, si erano ammassati sui due lati del Volkhov all’esultante e festoso suono delle campane (…). I suoi sudditi che lo acclamavano non erano tuttavia uniti dietro colui che chiamavano salvatore della patria. I boiardi temevano che questa vittoria – che tornava loro assai utile – gli permettesse come contropartita di esercitare su di loro un potere maggiore. Al contrario le classi popolari esultavano senza scopi reconditi. Proprio loro, fin dal momento del suo ritorno, gli conferirono l’appellativo di Alessandro Nevski! Il titolo nasceva spontaneo e caloroso come un moto del cuore. Testimoniava che la Russia aveva un difensore, non soltanto contro gli Svedesi, ma anche contro i cavalieri teutonici, i Lituani, e forse persino – chi poteva saperlo? – contro quei Tartari che con il loro giogo opprimente si imponevano sulle terre russe. Alessandro Nevski stava ad indicare certamente colui che aveva riportato la vittoria della Neva, ma soprattutto colui che aveva vinto – nel momento in cui la Russia da tre anni non conosceva che rovine, disastri, massacri e devastazioni – e che aveva appena restaurato l’onore nazionale, ridato alle terre russe la fiducia nelle proprie forze, ancora non completamente annientate, e mostrato che tutto non era perduto. Questo nome diventava fin da allora il simbolo stesso della grandezza, del coraggio e della sopravvivenza della Russia, ovunque preda della desolazioni e della morte, e, poiché Alessandro non aveva che venti anni, la speranza del domani.
(Durand- Cheynet, p. 180-181)
Una vittoria così clamorosa, per un comandante così giovane, poteva prestarsi al suo trionfo politico. Ma due mesi dopo Alessandro si trova in conflitto con il gruppo dirigente dei proprietari terrieri di Novgorod, che evidentemente temevano una deriva autoritaria da parte sua. Il fronte esterno non era ancora sicuro, perché agli Svedesi si sostituiscono i Teutoni, che cercano di controllare i dintorni, soprattutto nella litoranea baltica. Sarebbe stato necessario aumentare i fondi per l’esercito; ed invece Aleksandr si ritrova senza finanziamenti e con l’ostilità dei dirigenti di Novgorod; di qui la decisione di andarsene … Ma poi venne richiamato dai ceti borghesi e popolari, che lo riconoscevano capace di tener testa ai cavalieri teutoni, pronti a continuare la loro espansione in nome della religione cattolica e con la benedizione di una sorta di crociata, auspicata e sostenuta persino dal Papa, che era allora Gregorio IX (1227-1241). Occorreva muoversi in fretta per impedire ai Teutoni quel genere di organizzazione compatta dello schieramento dell’esercito, per cui andavano famosi, e portarli soprattutto su un terreno che non era loro congeniale. E il luogo dello scontro fu trovato sul lago Peipus, che aveva anche una serie di acquitrini intorno, un terreno paludoso e insidioso, soprattutto nel periodo invernale, quando tutto ghiacciava e faceva credere di essere su un terreno sicuro. Si era anche all’inizio della stagione primaverile, quando lo stesso ghiaccio non appariva più così compatto, mentre le fila serrate dei Teutoni e soprattutto il loro armamento che pesava, serviva a mettere in pericolo i soldati che si avventuravano su questo terreno insidioso.
Bisognava ancora decidere la strategia della battaglia. Alessandro aveva già combattuto contro i cavalieri teutonici da adolescente con il padre sulle rive dell’Emaiyga, dove molti erano annegati per la rottura dei ghiacci e questo ricordo poteva ispirargli il suo piano. I cavalieri erano valorosi guerrieri, mirabilmente equipaggiati, sottomessi a una disciplina di ferro che assicurava la coesione, la forza e l’espansione del loro ordine. Combattevano in file serrate, una specie di gigantesco cono, massiccio nella parte posteriore, triangolare avanti, che i Russi chiamavano svinia o testa di maiale. Questa formazione compatta e forte in cui i cavalieri tedeschi inquadravano la fanteria arruolata nei paesi conquistati – per impedir loro di fuggire nel caso si presentasse l’occasione – sgominava sempre i corpi d’armata più potenti. La testa di maiale che si accingeva a combattere era enorme e tuttavia bisognava romperla e distruggerla. (Durand- Cheynet, p. 199-200)
La battaglia si svolge il 5 aprile 1242.
Nella primavera del 1242, i Cavalieri teutonici annientarono un distaccamento in ricognizione dell’esercito cittadino di Novgorod, circa 20 Km. A sud della fortezza di Dorpat (Tartu). Pensando di ottenere una facile vittoria, condotti dal Vescovo Principe Hermann del Vescovato di Dorpat, i cavalieri e le loro truppe ausiliarie composte da Estoni Ugauni incontrarono le forze di Alexander presso lo stretto passaggio che collega la parte settentrionale e meridionale (detta Lago di Pskov) del Lago dei Ciudi, il 5 aprile 1242. Alexander, intendendo combattere in un luogo da lui prescelto, si ritirò precipitosamente per spingere i Crociati, esaltati da una così semplice vittoria, verso il lago ghiacciato. La dimensione delle forze in campo non è certa.
I commentatori di parte Teutonica tendono a ridurre il numero dei crociati e dunque le perdite, mentre i commentatori russi cercano di aumentare la portata della vittoria. Secondo una stima le forze dei crociati ammontavano a circa 1.000 uomini (alcune stime parlano di 4.000). Composte in prevalenza da tedeschi, inclusi i cavalieri dell’Ordine Teutonico e i loro scudieri, e mercenari danesi, svedesi ed estoni. Le forze russe ammontavano a circa 5.000 uomini (o forse 4.000): 1000 circa di Alexander e le guardie del corpo di suo fratello Andrej (druzhina), più le milizie di Novgorod (non l’intero corpo, poiché non sussisteva un immediato pericolo per la città) e un piccolo contingente di cavalleria leggera mongola. La strategia progettata da Nevskij prevedeva che la fanteria dovesse resistere alla prima carica nemica contando sulla netta superiorità numerica. Inizialmente gli arcieri mongoli dovevano re-stare nascosti sul lato destro e la cavalleria nelle retrovie. Secondo le cronache russe del tempo, dopo ore di combattimento corpo a corpo, Aleksandr ordinò all’ala destra ed all’ala sinistra dei suoi arcieri di entrare in battaglia. I cavalieri erano esausti dal perdurare del combattimento e le difficoltà con la scivolosa superficie del lago ghiacciato. I Crociati, molti dei quali colpiti mortalmente dalle micidiali frecce dei mongoli, iniziarono a ritirarsi in disordine in mezzo al ghiaccio, e all’apparizione della fresca cavalleria russa cominciarono ad arretrare mentre gli estoni si diedero alla fuga senza opporre resistenza. Secondo le cronache russe quando i cavalieri cercarono di passare sul lato più lontano del lago il sottile ghiaccio collassò, sotto il peso delle armature, e molti di loro affogarono (come è anche rappresentato nel film di Ėjzenštejn dedicato alle gesta del principe di Novgorod). Per le cronache di parte Teutonica invece la notizia della sconfitta riporta solo il rientro del Gran Maestro e di un pugno di cavalieri a Dorpat, mentre le perdite ammontarono a più di 400 uomini di cui una ventina membri dell’Ordine. (Wikipedia)
IL MITO NEL FILM DI EISENSTEIN
La narrazione che ne esce, soprattutto di parte russa, fa di questa battaglia un’impresa mirabolante, con la quale si afferma, più che la potenza di Novgorod, destinata presto a cadere, il mito, non solo del suo condottiero, ma anche della “patria” russa. A partire da questo episodio si afferma questo senso di appartenenza e la coscienza che qui ha inizio la storia della Russia, vittoriosa su altri popoli, i quali volevano limitare, se non addirittura cancellare la nazione nel suo formarsi. In realtà non si può dire che la Russia nasca qui: ci sono di mezzo altri secoli, prima che affiori una potenza unitaria su questa terra vasta, ancora avvertita come periferica rispetto all’Europa. E tuttavia per la mitizzazione che viene di qui creata e sempre più sottolineata, va riconosciuto che questo fatto d’arme ha segnato i Russi e verrà sempre evocato, in modo speciale, quando la Russia conosce invasioni e momenti difficili che sembrano travolgerla.
Negli anni staliniani, prima ancora che si scatenasse la guerra e che la Germania nazista invadesse la Russia, si faceva strada questo mito: nonostante il fatto che il bolscevismo volesse andar oltre il nazionalismo per far trionfare l’internazionalismo, questo episodio, e più ancora il comandante in capo di questa impresa, servivano egregiamente a compattare un Paese già squassato dalla guerra civile e, nella convinzione di appartenere ad un popolo, a far crescere l’idea che fosse necessario combattere per conquistarsi un posto nella storia e per creare una visione imperiale della Russia stessa, la quale storicamente affiora nei secoli successivi all’evento qui ricordato. Naturalmente l’episodio della battaglia del Peipus o del lago ghiacciato viene enfatizzato …Storiograficamente si trattò di un fatto d’arme relativamente minore, ma assurse ben presto a simbolo del nazionalismo russo, come il suo protagonista, il principe Nevskij. La fama di cui gode in epoca moderna è dovuta in buona parte all’omonimo film del regista Sergej Michailovič Ejzenštejn. Di poco antecedente il secondo conflitto mondiale, l’opera aderisce ai canoni della propaganda sovietica: i cavalieri vi vengono raffigurati come crudeli invasori tedeschi e le forze slave come una massa di proletari che lotta per la libertà. (Wikipedia)
In effetti il film di Ejzenštejn contribuì non poco a far riemergere il mito di Aleksandr Nevskij e soprattutto della sua epica battaglia. Non è più in chiave nazionalista, non si presta all’esaltazione del sistema autocratico dell’epoca zarista, ma, a partire da tanti dettagli, si può cogliere il riferimento esplicito all’attualità, che vede l’approssimarsi dello scontro, poi divenuto, anche questo, epico, fra la Germania nazista e la Russia bolscevica. Bisogna riconoscere al regista una gran bravura nel creare i toni enfatici che hanno facile presa su chi assiste a questo grandioso spettacolo, in cui si può dire che ogni fotogramma è studiato per collocare il protagonista in questa luce di liberatore e costruttore della Russia e nello stesso tempo per dare un grande risalto ad ogni azione e gesto che si vogliono finalizzati alla costruzione di un nuovo mondo, tutto ancora da realizzare.
Anche se il quadro storico e ambientale dà l’essenziale di quei tempi, di fatto si avverte con estrema chiarezza che l’impostazione di fondo del racconto risente della necessità di parlare alla gente degli anni ’30 del secolo scorso e di ciò che Stalin e la “sua” Russia stanno cercando di realizzare, non senza grandi sacrifici e, soprattutto, vittime. Queste, ovviamente non compaiono, come tali, come se fossero agnelli sacrificali di un sistema dittatoriale, ma appaiono piuttosto come martiri di chi vuole, con l’invasione da est e da ovest, comprimere e cancellare ciò che Stalin stava costruendo, per riportare la Russia ad essere grande potenza nel mondo. Dovendo sostenere con la propaganda questo impianto, il regista, anche rivestendo gli attori con i paludamenti di allora, anche a cercare di essere fedele nel raccontare gli eventi che la storia ha registrato, in molte circostanze lascia trasparire i problemi e la lettura degli eventi fatta con lo sguardo al suo momento. Dopo aver introdotto una scena che riguarda l’invasione mongola, del resto mai giunta a infastidire Novgorod, pur preoccupata di ciò che si sentiva dire a proposito delle razzie tatare, tutto il racconto cinematografico si concentra sulle tensioni con il pericolo più vicino rappresentato dai cavalieri tedeschi. Questi appaiono in pose che fanno pensare agli schieramenti delle milizie naziste dell’epoca. Nell’anno in cui il film esce (1938) non siamo ancora in guerra; non c’è ancora il pericolo della possibile invasione dell’URSS, che sarà attuata nel 1941; e tuttavia sullo sfondo si capisce che i due mondi sono fra loro contrapposti e sono destinati a scontrarsi. In effetti il film avrà una particolare segnalazione nel 1942, nel centenario della battaglia del 1242, e in quella data rappresenta in maniera ancor più evocativa l’incitamento a resistere proprio nell’ora più drammatica della storia dell’URSS, quando si sta combattendo la battaglia per Stalingrado. Già nelle parole introduttive al film il regista chiarisce qual è il suo modo di presentare questo evento storico:
I cavalieri teutonici invadono la Russia dall’ovest:
le vaste e floride terre russe attiravano l’invasore.
L’aggressore germanico si aspettava una facile vittoria:
la Russia si stava ancora riprendendo dall’invasione mongola.
Il Paese era devastato da battaglie sanguinose.
Il racconto storico viene fatto tenendo conto non solo dei grandi personaggi, ma anche di persone che appartengono al popolo comune. Naturalmente viene anche intrecciata una storia d’amore, utile a far presa sugli spettatori, e nel contempo non mancano momenti esilaranti …
1. Si apre la scena con un quadro desolante di cadaveri e di ampie distese di terreni. Poi si spazia sul lago, dove i pescatori stanno portando le reti per la pesca. Tra loro c’è anche il principe, che sembra uno qualunque. Arrivano i Mongoli con dei prigionieri. Aleksandr viene invitato dal Khan mongolo a seguirlo come comandante in capo, ma il principe dice che preferisce la morte piuttosto che battersi per la patria di altri.
2. La scena si sposta a Novgorod, dove si mette in evidenza l’attività produttiva e insieme la ricerca della spensieratezza nell’amore dei giovani: due di essi, Gavrilo e Buslaj, sono interessati alla medesima ragazza. Arriva un uomo ferito che denuncia l’avanzata dei Tedeschi e chiede che si apprestino le difese. Ma la borghesia locale non vuole lo scontro. Nella discussione che ne segue si decide di chiamare Aleksandr.
3. Viene presentata la città di Pskov, già occupata dai Teutoni: alcuni cittadini sono legati; la gente sulla via è spaventata mentre i cavalieri sono spavaldi: si descrive la loro ferocia e nello stesso tempo la fierezza di quanti sono portati all’esecuzione capitale. Il regista insiste nel mostrare i cavalieri “porta-spada” con i loro elmi; il vescovo con estrema severità richiama la necessità di essere uniti a Roma. Poi si scatena la violenza con scene di stragi di innocenti …
4. C’è una delegazione che si presenta da Alexandr per invitarlo ad assumere il comando delle milizie cittadine. E lui chiede se tutti sono d’accordo, dicendo con chiarezza che non basta difendersi, ma bisogna attaccare. Per lui è necessario l’apporto dei contadini.
5. In una scena di tipo simbolico si vedono contadini che sembrano uscire da sottoterra e sono guidati da militari (secondo i principi leninisti): costoro si uniscono per la lotta. La musica, dovuta al compositore Prokofiev (1891-1953), appare qui molto coinvolgente … Poi la scena si sposta a Novgorod, dove il principe entra per assumere il comando, avendo dalla sua parte i contadini, mentre i mercanti lo vorrebbero contestare.
6. Novgorod è come presa tra due fuochi: da una parte i Mongoli che vengono dall’Asia e dall’altra i Teutoni che vengono dall’Occidente. Ovviamente la Russia deve rimanere libera. Tutti allora sono disposti a fare la propria parte e anche i mercanti che si prestano, forniscono le armi, mentre tutti i giovani sono pronti a partire e anche le fanciulle si vestono con abiti militari.
7. Nel campo avverso ci si prepara allo scontro soprattutto con la cerimonia religiosa che vede il vescovo benedire con un gesto fatto secondo le modalità naziste del braccio teso. Poi avviene il trasferimento sul lago, dove si hanno i primi scontri.
8. Ormai sul Lago dei Ciudi il principe Aleksandr decide di attaccare il nemico sul suo campo e propone il suo piano di battaglia.
9. Il 5 aprile 1242 avviene lo scontro con l’avanzata dei Teutoni, mentre i Russi sono descritti fermi sulle loro posizioni. Il regista alterna ampie vedute con primi piani su alcuni personaggi.
10. Si dà ampio risalto al campo e allo schieramento teutone e soprattutto al suo assalto, mentre i russi assistono alla scena.
11. L’assalto con la penetrazione a cuneo mette in difficoltà i Russi guidati dal giovane Buslaj, a cui Aleksandr ha chiesto di resistere ad oltranza.
12. Interviene il principe che dà l’attacco gridando: “Per la Patria!”. I contadini si muovono e disarcionano i cavalieri. Il regista insiste sui fendenti dei Russi, mentre i Teutoni rimangono allibiti. “Non la lega (delle spade) ma la forza del braccio …” dice Aleksandr nel culmine della battaglia, dove i colpi sono numerosi e il corpo a corpo è prolungato dal regista. La musica stessa accompagna ed esalta la carica …
13. I teutoni retrocedono in difesa dei capi: si formano testuggini e sono mostrate le picche, levate in alto e poi in avanti. L’attacco dei russi è qui respinto e nello stesso tempo comincia la grandinata di frecce. Se inizialmente sono i russi ad essere in difficoltà, poi però le sorti si rovesciano …
14. Il principe viene difeso da Gavrilo. Poi si ha lo scontro da torneo fra i due capi: ha la meglio il principe e il capo teutone viene fatto prigioniero. Allora i cavalieri retrocedono e il vescovo fugge terrorizzato, mentre i religiosi sono sopraffatti e massacrati. Si ha poi la fuga sul lago: il traditore russo passato dalla parte dei tedeschi, pur fatto prigioniero, riesce ad uccidere chi lo sta legando; il vescovo cattolico fugge tra i cadaveri, già con i corvi sopra. Poi si apre il ghiaccio e tutti i cavalieri vengono inghiottiti. Sulla scena il regista indugia. Aleksandr vede il campo disseminato di cadaveri.
15. A battaglia ormai conclusa, su una scena notturna, passano le donne con le torce, mentre qualche ferito vorrebbe alzarsi ma non ce la fa e invoca le donne. E qui si ha un momento di delicatezza e di amicizia fra Gavrilo e Buslaj, rivali in amore. Insieme ricordano la ragazza che hanno in comune: essa aveva deciso di sposare chi sarebbe stato il vero eroe di quella giornata. Olga si presenta e con Buslai sostiene Gavrilo per avviarsi ad uscire dal campo.
16. A Pskov, dove i Teutoni erano entrati inizialmente con la loro ferocia, si ha il ritorno dei vincitori: entrano per primi i morti sui carri, poi i prigionieri sconfitti. Al suono delle campane e delle trombe entrano i vincitori in mezzo all’esultanza della folla assiepata sulla via. Da ultimo procedono anche i contadini, che avevano partecipato alla battaglia. E qui Aleksandr tiene un discorso: secondo lui la battaglia andrà sempre ricordata e la memoria servirà e far fronte ad altri pericoli, perché la minaccia ritornerà (il riferimento agli anni del regista è evidente) e i discendenti devono essere pronti a reagire come è avvenuto lì.
17. Poi viene fatta giustizia: ai fanti nemici si fa grazia, mentre i cavalieri sono presi in ostaggio e chi ha fatto la spia viene lasciato al linciaggio. Poi si ha la conclusione della storia d’amore: Gavrilo sposa Olga, mentre Buslaj sposa un’altra ragazza che si è fatta notare in battaglia per il suo ardimento. Il film termina con le parole di Aleksandr che dice come la Russia sia viva e possa accogliere chiunque, purché costui venga in pace. Con i titoli finali viene scritto: Chiunque verrà con la spada in pugno, di spada perirà. Questa è la legge che regola la vita della sacra terra di Russia.
L’immagine cinematografica di Aleksandr Nevskij
Aleksandr rimarrà famoso in Russia, e altrove, soprattutto per questo scontro, epicamente narrato, e non per quello che ne seguì. Nonostante fosse stato contattato per divenire il condottiero contro i mongoli, che dominavano sul territorio russo con i Tatari dell’Orda d’Oro, egli invece cercò forme di alleanza, che a volte sembravano più di sudditanza. Questo, per evitare lo scontro diretto: evidentemente pensava di non poter dominare contro gli invasori dell’Occidente come era successo prima.
I suoi tre compiti essenziali – unità interna, coesistenza con l’Orda e sicurezza nazionale – erano collegati. Stabilita in modo definitivo la subordinazione nei riguardi dei Tartari, bisognava mantenere con loro buoni rapporti e assicurarli della propria fedeltà per avere mano libera nelle risposte alle aggressioni europee; per questi due obiettivi l’unità della Russia era però egualmente indispensabile. Nel corso degli anni dal 1250 al 1256 il pericolo più grave proveniva dall’ovest, minacciato dall’espansione lituana e tedesca.
(Durand- Cheynet, p. 337)
Aleksandr, divenuto famoso a Novgorod, non poté rimanere in quella città, che si sentiva “libera”, nella misura in cui non ci fosse in essa un principe regnante. Così lo ritroviamo di fatto come principe di Vladimir-Suzdal, un territorio nel quale si esercitava l’influenza tatara.
Nelle regioni nord-orientali la preda più ambita durante gli scontri politici era il principato di Vladimir-Suzdal’ il quale, pur nella condizione di vassallo del khan di Saraj-Batu, non solo controllava le due città e le loro terre ma esercitava la propria influenza sull’intera area e perfino su Novgorod. Aleksandr Nevskij, che regnò a Vladimir dal 1252 al 1263 dopo essere stato per oltre un decennio il principe eletto del veče (= assemblea) di Novgorod, dovette recarsi pertanto a Saraj-Batu affinché il khan confermasse il suo titolo e la sua autorità. (Bushkovitch, p.28)
Aleksandr muore di rientro da Saraj il 14 novembre 1263. Già la ricostruzione di quell’evento viene data con toni particolarmente alti: quando poi viene dichiarato santo (1547) i contorni di questa cronaca assumono un’aura religiosa, come se fosse scomparso davvero un santo da osannare e da seguire.
La venerazione nei riguardi di Alessandro Nevski, come verso un santo e un martire della Russia – se non della fede ortodossa, ma le due connotazioni non sono separabili – fece della sua tomba abbastanza rapidamente un luogo di pellegrinaggio, cosa che lo presupponeva già dotato di poteri soprannaturali al di là della morte.
Doveva rivelarsi poco a poco come il protettore celeste della nazione, un vero taumaturgo sulla tomba del quale i ciechi ritrovavano la vista, i paralitici l’uso dei loro arti, i muti la parola e i pazzi la ragione …
(Durand- Cheynet, p. 428)
Inizia così l’apoteosi e, se non la sua divinizzazione, comunque quella forma di culto che lo vuole come la Luce della Patria, colui che l’ha salvata, colui che l’ha fatta grande. In varie epoche, non solo nei secoli dello zarismo assolutista, ma anche nel periodo drammatico della seconda guerra mondiale, egli compare come eroe nazionale, nel cui nome la Russia cerca di riprendersi e di sviluppare la sua immagine di potenza.
Nel 1725 fu introdotto L’Ordine imperiale di Sant’Aleksandr Nevskij come una delle più alte decorazioni militari; l’Ordine cavalleresco venne annullato però, come tutte le altre decorazioni, dalla Rivoluzione d’ottobre e fu ripristinato soltanto nel 1942. (Wikipedia)
CONCLUSIONE
È già stato rimarcato a sufficienza che nel ricostruire la figura storica di Aleksandr Nevskij ci si imbatte con la leggenda, con la lettura mitica, con l’esaltazione di una figura che appartiene all’agiografia.
D’altra parte questo è ciò che arriva fino a noi, soprattutto nella considerazione che i Russi si sono fatti del personaggio attraverso i libri di storia, in modo particolare nelle situazioni drammatiche che vedono la Russia perdere la sua immagine di potenza. Sembra quasi che la sua fisionomia imperiale non possa sussistere e proseguire il suo corso, se le vengono a mancare gli autocrati e più ancora quelli che, proprio mediante la potenza militare, sono in grado di chiamare a raccolta e di condurre a vittoria non solo gli eserciti, ma la popolazione stessa, quella che si ritiene sia la Russia profonda. Così Aleksandr Nevskij serve opportunamente in tali circostanze e si ritiene giusto che così vada rappresentato. Soprattutto lo si trova esaltato per la sua “missione” di “antemurale” nei confronti delle popolazioni occidentali, che venivano ritenute le più interessate a sconfinare e a ridurre in schiavitù la popolazione locale. Non altrettanto, nella ricostruzione storica, è considerato il pericolo rappresentato dai Mongoli e dalle invasioni provenienti dall’Asia, che pure avevano fatto più danni e costituito il vero pericolo, non per la sussistenza della Russia nel suo territorio, ma per la sua avanzata e il suo sviluppo come potenza imperiale. Evidentemente il mondo occidentale è stato spesso considerato il pericolo maggiore per la Russia, anche quando questa sembra rimanerne affascinata, sul versante culturale e più ancora su quello dello sviluppo economico. L’immagine che viene rappresentata del principe Aleksandr è quella di un uomo che nel momento culminante della invasione mongola volge il suo sguardo preoccupato verso i cavalieri teutonici, i quali in realtà sono il vero pericolo da temere per Novgorod. Ma la città, libera per eccellenza, la sola rimasta in quel tempo a costituire la libera Russia, si sentiva compressa dalla presenza teutonica, che impediva l’accesso al mare e i suoi traffici. Di qui la reazione che viene incarnata dal principe stesso, chiamato a difesa e divenuto per questo l’eroe nazionale.
BIBLIOGRAFIA
1.
Paul Bushkovitch,
BREVE STORIA DELLA RUSSIA,
Einaudi, 2013
2.
Catherine Durand-Cheynet
ALESSANDRO NEVSKI
Salerno editrice, 1987