CORONA DI MONOMACO SIMBOLO DELL’AUTOCRAZIA RUSSA
Una leggenda narra che tale corona ( che questa piattaforma non consente di riportare qui)sia stata regalata dall’imperatore bizantino Costantino IX Monomaco al nipote Vladimir, fondatore della città di Vladimir e antenato di Ivan III, il primo ad essere zar.
La leggenda serve come fondamento per costruire la teoria politica di “MOSCA – TERZA ROMA”.
Questa corona, detta di Monomaco, viene così definita per la prima volta in un documento del 1518, durante il regno di Vasilij III.
GLI INIZI DI MOSCA
La città che noi oggi riconosciamo come capitale della Russia e che nel corso della storia è sempre stata considerata come strettamente legata alla Russia stessa, molto più della successiva Pietroburgo, è divenuta un centro aggregatore per i Russi solo a Medioevo inoltrato, quando le altre città all’intorno si sono avviate ad un lento ma inesorabile tramonto. Dobbiamo ritenere che gli stessi Russi non avevano la percezione di essere un popolo con la vocazione nazionale e imperiale, come si è costruita successivamente. Solo dopo il 1000, solo con la scelta del Cristianesimo le diverse tribù che abitano il bassopiano sarmatico, cercano anche di avviare quel senso di appartenenza, che finora le vedeva legate alle figure emergenti, soprattutto nell’ambito militare. Più che un popolo unito, qui c’erano popolazioni diverse, che si aggregavano nei centri abitati, dando origine ad una città con in mezzo un’altura o una fortificazione, chiamata “cremlino”. Lì aveva spazio colui che di fatto deteneva il potere, espresso soprattutto con le armi. Alcune città avevano dominanti i proprietari terrieri, o, nel caso di una ben avviata attività mercantile, si trovava a guidarle una sorta di corporazioni di mestieri, che di fatto dettavano la conduzione della politica locale. Fra tutte le città, quella che ha avuto una storia gloriosa ed orgogliosa, è Novgorod, fiera di ritenersi e di essere effettivamente “libera”: lì non poteva esserci nessun potere di natura monarchica, cioè un autocrate destinato a governare senza alcun controllo. E tuttavia anche qui, a volte, si avverte la necessità di avere un principe in grado di condurre le truppe contro i nemici: per questa città libera essi sono di fatto gli Svedesi e i Teutoni, i quali impedivano il libero accesso ai traffici sul Baltico. Di qui lo scontro, affidato ad Aleksandr Nevskij. Con lui entrambi i nemici sono bloccati, anche se poi l’eroe liberatore non potrà diventare il leader dei Russi, il capo riconosciuto con poteri monarchici. Anzi, da nessuna parte, in nessuna città, possiamo riscontrare qualcuno che porti questo titolo e che abbia un simile potere. Sulle città russe domina sempre un principe, a volte un duca o un granduca, qualcuno insomma che gestisce il potere grazie alla sua milizia e che ha il proprio riconoscimento con un titolo di stampo feudale, perché un altro potere superiore lo riconosce. In quest’area geografica la ricerca di un riconosci-mento viene fatta a partire da Bisanzio; ma ormai dopo la IV crociata (1202) anche quest’alta autorità ha perso il suo prestigio e soprattutto la sua forza.
Il riferimento a Costantinopoli è di fatto tenuto solo nella Chiesa per le questioni religiose. Se si eccettua Novgorod, che conserva ancora per molto tempo la sua gelosa autonomia, le altre città russe presentano prìncipi che derivano dagli eredi di Vladimir, l’iniziatore della Russia cristiana. Mosca non compare (è solo citata per la prima volta in un documento del 1147) e comunque comincia a qualificarsi come città di una relativa importanza con uno degli ultimi figli di Aleksandr Nevskij. In compenso alla Rus’ di Kiev si sostituisce una nuova realtà, non ancora unita politicamente, che viene chiamata Russia.
Dopo la lenta disgregazione della Rus’ kieviana, le potenze regionali che si sostituiscono a essa iniziarono a differenziarsi. In quei secoli, nelle terre di Novgorod e in quelle nord-orientali prese a formarsi un’entità linguistica e culturale definibile come russa. Anche se il termine Rus’ rimase in uso fino al XV secolo, da quando fu sostituito con Rossija si può cominciare a buon diritto a chiamare quel territorio con il nome di Russia e i suoi abitanti come russi. La Russia, al pari di altre regioni della Rus’ kieviana che sarebbero cadute sotto il dominio della Lituania, visse l’evento catastrofico dell’invasione mongola, destinata a plasmarne la storia per i tre secoli successivi.
(Bushkovitch, p.25)
LA RUSSIA DEL XIV SECOLO
Bisogna arrivare al XIV secolo perché Mosca abbia un suo ruolo nelle complesse vicende della Russia di allora, in cui sono in corso, dentro le città e tra le varie città, le faide familiari di quanti pretendono di dover governare. Per conservarsi e per uscire da questi scontri sanguinosi fra principi rivali non resta che cercare alleanza e riconoscimento presso i ca-pi mongoli …
… Ivan Danilovic (erede del figlio di Nevskij) (che per la sua ricchezza e generosità fu soprannominato Kalita, dal turco kalta, “borsa di denaro”), nel 1338 ricevette da Uzbek Khan sia l’investitura ufficiale di gran principe di Mosca sia il trono di Vladimir, che mantenne fino alla morte nel 1340. Il successo di Ivan Kalita assicurò a Mosca l’egemonia tra gli altri principati nord-orientali e, con il tempo, i suoi discendenti furono riconosciuti come granduchi di Mosca e Vladimir (la città). La nuova città, che Ivan fortificò costruendovi il primo Cremlino di legno, aveva ormai messo in ombra lo splendore di Vladimir. (Bushkovitch, p.29)
Se sul piano politico Mosca si vede riconosciuta da un khan mongolo, evidentemente la città non ha ancora una sua reale autonomia e neppure il sostegno delle altre città che rifuggono dalla sua supremazia. Nello stesso periodo, però, avviene un’operazione destinata a lasciare traccia nella storia successiva. I russi, più che sul versante civile, debbono il loro senso di appartenenza al fatto di essere e di sentirsi fieramente ortodossi, legati dunque alla Chiesa orientale, che fa capo, certo, a Costantinopoli, ma passando dal patriarca già riconosciuto di Kiev. Sulla base del fatto che ogni Chiesa nazionale (considerata tale in ragione della lingua usata anche nella liturgia) è nel mondo orientale definita “autocefala”, si deve pensare che l’autocefalia russa era individuata in Kiev, la residenza del patriarca. Ma quando Kiev viene invasa e rasa al suolo dai mongoli (1240), si sente la necessità di trasferire la sede primaziale altrove. Questo trasferimento non avviene mediante un accordo con Costantinopoli, ma per decisione autonoma del patriarca.
Il metropolita Pëtr, che regge la cattedra nel periodo 1308-1326, in occasione delle visite delle eparchie (diocesi) meridionali fa spesso tappa a Mosca, dove si trattiene per lunghi periodi stringendo amicizia con Ivan Danilovic (Ivan I), detto “Scarsella” (Kalita) per le ingenti ricchezze accumulate raccogliendo i tributi per l’Orda d’Oro … Il metropolita Pëtr persuade Ivan I Kalita a iniziare all’interno del Cremlino la costruzione di una chiesa dedicata alla Madre di Dio, come quella di Valdimir … (Codevilla, p. 15)
Insomma si dovrebbe dire che se Mosca si fa strada nella storia russa, ciò è dovuto alle scelte fatte nella Chiesa, e così la Chiesa finisce per condizionare fortemente il processo storico della Russia stessa.
Con il trasferimento della sede metropolitana, Mosca non è più soggetta all’eparchia di Vladimir e diventa il centro della vita religiosa del Paese. In tal modo Mosca diventa “capitale ecclesiastica ancor prima di diventare capitale politica”. Alle origini dello Stato russo la Chiesa sostiene le aspirazioni dei principi di Mosca e ne favorisce l’espansione: seguendo l’esempio di Pëtr, il metropolita di Kyiv e di tutta la Rus’ Aleksij (1354-1378) contribuisce in misura ancora maggiore alla valorizzazione della futura capitale, avviata ad assumere l’eredità spirituale e politica di Kyiv. Di conseguenza questi due esponenti della gerarchia ecclesiastica possono essere considerati gli ispiratori della politica nazionale dei principi di Mosca e gli artefici del consolidamento dell’alleanza tra i due poteri spirituale e temporale. (Codevilla, p. 15-16)
A Mosca, naturalmente, esisteva già un “principe”, che presto assume la fisionomia del “granduca”: la sua autorità acquista progressivamente spazio, non soltanto in ragione dell’autorevolezza di colui che ne ha il controllo, ma anche e soprattutto perché a Mosca sta il capo della Chiesa autocefala, con cui anche il potere politico deve confrontarsi. E questo favorisce ancora di più la città di Mosca, che estende il suo controllo sul territorio confinante. Essa appare equidistante dai territori delle città baltiche, dove ferve l’attività mercantile, come pure dalle aree del sud e dell’est in cui sono dominanti i tatari-mongoli. Con costoro Mosca si deve misurare in modo particolare, se vuole acquisire sempre più potere sulla Russia nel suo insieme, che non ancora conosce né l’unità territoriale, né l’appartenenza ad un unico centro che faccia da guida. Il compito viene assunto a partire dal secolo XIV proprio da Mosca.
Verso la metà del XIV secolo Mosca aveva acquisito sufficiente sicurezza di sé da imporre il proprio dominio politico sulla regione, avendo di fatto incorporato nel proprio territorio molti principati minori ed esercitando la propria egemonia sugli altri. Soltanto Novgorod manteneva una reale libertà d’azione. A limitare il potere dei granduchi della Moscovia non erano i regni vicini bensì i khan dell’Orda d’Oro. Anche tra i mongoli, tuttavia, la situazione stava mutando, seppure gradualmente, e stava mutando in favore di Mosca. Dimitrij Ivanovic, figlio di Ivan I il Bello e nipote di Ivan Kalita, trovò in eredità queste condizioni propizie allorché salì al trono di Mosca e Vladimir nel 1359. Dedicò i suoi primi anni di regno alla costruzione di un nuovo Cremlino in pietra bianca e alle inevitabili scaramucce con altri principi russi e lituani.
(Bushkovitch, p.29)
Verso la fine del secolo, anche per la pressione esercitata da Tamerlano sull’Orda d’Oro, i mongoli sono in notevoli difficoltà a tenere sotto controllo il proprio territorio e così Mosca può approfittarne per estendere la sua influenza su altre città, nonostante la terribile prova di un intervento dei mongoli, i quali nel 1382 la misero a ferro e a fuoco, rivelando così la sua fragilità, soprattutto se consideriamo che molte costruzioni, compreso il Cremlino, erano in gran parte fatte di legno. D’ora in avanti il cantiere del Cremlino ferve di lavori di ammodernamento che consentono di avere edifici più stabili e soprattutto più ricchi e decorati, come ancora si vedono.
MAPPA DEL CREMLINO – 1917
Un contributo allo sviluppo della Moscovia viene anche dal mondo monastico, molto importante non solo sotto il profilo religioso per garantire la tradizione ortodossa, ma anche per l’intenso lavoro culturale che permette il costituirsi di una formazione di prim’ordine anche per l’amministrazione civile.
Ad accrescere l’importanza di Mosca concorre altresì l’attività che a quel tempo svolge san Sergij Radonez, rinnovatore … del monachesimo, nonché santo più rappresentativo del popolo russo, che lo ha scelto come proprio patrono.
(Codevilla, p. 16)
S. SERGIO DI RADONEZ (1322-1392)
Insieme a Serafino di Sarov, è il più venerato dei santi russi. Come narrato dalla sua “Vita”, scritta nello stesso periodo, nacque da una famiglia boiara nei pressi di Rostov, ma fu costretto in giovane età a trasferirsi a Radonež a causa dell’improvvisa situazione economica disagiata dei suoi genitori, Cirillo e Maria, costretti a tale passo dopo aver perso tutti i loro beni per la conquista della città da parte di Ivan I di Russia e della successiva deportazione degli abitanti.
Trasformatisi da possidenti in contadini, iniziarono a lavorare la terra insieme a Sergio e ai suoi due fratelli, Pietro e Stefano, sebbene quest’ultimo decidesse presto di recarsi a Mosca dopo aver preso i voti sacerdotali. Alla morte dei genitori, Sergio, spinto da visioni mistiche che lo spronavano a dedicarsi totalmente alla fede, convinse il fratello Stefano ad abbandonare il monastero dove risiedeva e a seguirlo nella vita claustrale.
Icona di San Sergio di Radonež
Dopo poco tempo Stefano scelse nuovamente di vivere in un monastero di Mosca. Varfolomej (Bartolomeo era il suo nome di battesimo) prese invece i voti monastici, con il nome di Sergej, trascorrendo più di un anno solo nel bosco come eremita. Presto tuttavia altri monaci decisero di unirsi a lui e edificarono nuove celle. Nel 1354 questi convinsero Sergej a diventare l’igumeno, ruolo che corrisponde a quello di padre superiore, del monastero che era venuto formandosi. Quando la notizia del nuovo gruppo religioso raggiunse il Patriarca di Costantinopoli, Filoteo, costui decise di inviare a Sergio, in segno della propria benedizione per l’opera intrapresa, una carta monasteriale, anche detta kinovija, nella quale lo benediceva nella sua opera e indicava le linee guida nella gestione del monastero. Pur vivendo una vita ascetica, Sergio prese parte per ben due volte alla vita politica del proprio Paese. La prima quando fu inviato dallo stesso Alessio a sedare una rivolta nelle città di Tver’ e di Novgorod, annunciando la sospensione di tutti i servizi liturgici fino al termine della sollevazione, e una seconda volta nel 1380, benedicendo e incoraggiando Dimitri Donskoj nella sua rivolta contro i tatari dell’Orda d’Oro, che porterà alla vittoriosa battaglia di Kulikovo. Alcuni storici interpretano queste azioni attribuendo al santo l’interesse politico della pacificazione e dell’unione delle terre russe sotto la guida di Mosca. (Wikipedia)
Tale figura di santo e gli altri che vi erano connessi, in ragione della loro vita eremitica e in ragione del loro ruolo primaziale come metropoliti di Mosca, diedero un impulso notevole alla crescita della città sia sotto il profilo religioso, sia in quello civile: molti si sono recati – e si recano tuttora – in pellegrinaggio sulle tombe, nelle chiese che ne conservano i resti, come a trarre impulso per la propria vita. Dobbiamo constatare quanto sia importante l’intreccio fra religione e politica, in modo particolare per dare lustro alla città di Mosca. Tutto questo contribuì anche allo sviluppo della città e soprattutto dei suoi monumenti, che sono in gran parte di natura religiosa. Le chiese del Cremlino rappresentano certamente l’affermazione della grande e secolare religiosità, ma nel contempo sono il segno di una identità affermata, con cui il moscovita si sente l’iniziatore della grandezza russa e il russo avverte di trovare lì le sue radici e la sua linfa vitale. La grandiosità delle basiliche, che già dall’esterno rivelano la loro funzione simbolica, viene poi marcata anche dalle decorazioni interne che conferiscono al luogo sacro una notevole maestosità. Tutto concorre, insomma, a creare l’immagine di una città veramente grande e degna di essere a capo del grande mondo russo. Sono inoltre le icone a rendere ancor più solenne e sacro il mondo delle basiliche: l’iconostasi nella liturgia bizantina deve offrire al fedele le immagini del Cristo, della Vergine e dei santi per elevare l’anima a Dio durante i riti. A questo periodo appartengono i grandi artisti che hanno lasciato icone rimaste ancora oggi famose anche fuori del mondo russo. Su tutti primeggia la figura di ANDREJ RUBLEV (1360-1430), di cui sappiamo ben poco, ma di cui abbiamo una bella produzione di dipinti.
IL CREMLINO DI MOSCA – PIAZZA DELLE CATTEDRALI
LA RUSSIA DEL XV SECOLO
Continua l’ascesa di Mosca, e soprattutto il suo controllo sulle città, in modo particolare andando verso nord e verso ovest, mentre a sud non ci sono per il momento particolari pericoli, essendo i tatari sotto pressione da parte di Tamerlano. Evidentemente a Mosca interessa il controllo delle città che presentano una notevole attività mercantile, come è il caso di Novgorod. Per evitare il crollo di quei sistemi che sono necessari e vitali alla crescita della stessa Mosca, veniva coinvolta l’aristocrazia locale: non le si muoveva guerra, e comunque si cercava una intesa che favorisse sempre i commerci, liberando quei sistemi di governo dalle incombenze militari che richiedevano sempre l’appello a capitani e ad eserciti, spesso pericolosi, quando risultavano vittoriosi e pretendevano un adeguato compenso e un peso maggiore nel sistema politico locale. Mosca si inseri-sce con un meccanismo particolare …
Il meccanismo dell’espansione era molto semplice: allorché Mosca annetteva nuove terre, l’élite del luogo – boiari e proprietari terrieri – veniva cooptata nelle forze militari e nell’apparato amministrativo del granducato e manteneva le sue proprietà.
Se la resistenza si rivelava insolitamente tenace, le terre venivano confiscate e i proprietari, trasferiti altrove, ricevevano nuovi possedimenti, ma va detto che tali misure raramente furono necessarie. Di norma, Mosca poteva contare sulla fedeltà dei nuovi sudditi, disposti a rinunciare all’autonomia locale in cambio delle ricompense derivanti dall’essere a servizio di una forza crescente e imbattibile. (Bushkovitch, p.40-41)
La ricerca di una primazia sulle altre città russa, che comunque Mosca persegue, senza mai riuscire ad attuarla in maniera chiara e definitiva, avviene in un contesto non facile per la città, perché anche qui come altrove si susseguono faide familiari, con particolari atrocità, nella considerazione che il raggiungimento di un obiettivo politico giustificava il ricorso a qualsiasi mezzo. In compenso sul versante mongolo, in riferimento a ciò che rimaneva dei mongoli nelle terre del sud della Russia, non ci sono motivi di apprensione, perché nello stesso periodo in cui Mosca conosce problemi di natura dinastica con le violenze interne alla famiglia regnante, si devono registrare divisioni anche nel mondo tataro, per i khan, i quali, pur rimanendo mussulmani, non apparivano inclini a sostenere i mongoli
In Russia, il giogo dei mongoli, o più esattamente dell’Orda d’Oro, era durato poco più di duecento anni. Inizialmente, la conquista era stata estremamente distruttiva ma in seguito i suoi effetti economici si erano ampiamente ridotti al pagamento del tributo ai khan. A giudicare dai reperti archeologici di varie città russe – monete e ceramiche d’origine mongola e dei paesi confinanti con l’Orda a sud e a est – l’annessione della Russia al dominio tataro poté perfino rafforzarne i commerci verso oriente. (Bushkovitch, p.42)
La particolare simbiosi fra il mondo russo e quello mongolo, proprio negli anni della debolezza del granduca di Mosca, secondo alcuni storici potrebbe spiegare il fatto che la Russia sia protesa più verso il mondo orientale, che non verso quello occidentale e che di fatto la Russia presenta forme di dipendenza da tutto ciò che arriva dall’est e che quello sia il suo mondo di riferimento. Ma, se anche esistono alcuni aspetti piuttosto secondari che fanno propendere per simili tesi, la maggior parte degli storici riconosce che invece essa si è costruita a partire dal confronto, a volte anche duro e contrapposto, nei confronti del mondo occidentale.
LA FINE DI COSTANTINOPOLI
L’AUTONOMIA RELIGIOSA E POLITICA
DELLA RUSSIA
La caduta di Costantinopoli (1453)
A metà del secolo XV si registra il grande e drammatico evento della caduta di Costantinopoli ad opera dei Turchi (29 maggio 1453), che determina un nuovo assetto soprattutto nell’Europa orientale, ma con notevoli riflessi anche per il mondo occidentale. La scomparsa dell’Impero d’oriente, erede di quello romano antico, costruisce una nuova geografia, non solo perché Stati e possedimenti in quell’area geografica sono ora inesorabilmente a contatto diretto con il mondo turco in rapida espansione, ma anche perché nella vecchia Europa cambiano i rapporti di forza tra gli Stati: l’assetto politico e soprattutto economico si sposta dal Mediterraneo verso l’Atlantico, anche per il fatto che cercando una nuova via, si scoprono mondi nuovi. La presenza poi dei Turchi nell’antica Anatolia, con quella sempre più ingombrante degli stessi verso l’est europeo, impone all’Occidente strumenti e assetti nuovi per costruire una difesa adeguata. Se in Occidente si temevano fortemente i Turchi, non altrettanto succede questo per i Russi: i Turchi risultavano più a ridosso del mondo russo e ci si aspettava che fossero maggiormente interessati a tenere a bada il territorio della Russia. Invece il Sultano Maometto II, il giovane condottiero che conquista Costantinopoli, appariva interessato ad espandersi verso occidente, più che non cercare di mettersi dentro nel ginepraio delle singole città russe, allo scopo di conquistare il suo spazio vitale laddove le città russe erano quanto mai deboli. Da noi l’episodio della caduta di Costantinopoli fu giudicato una somma iattura, che impediva l’accesso al Medio Oriente, e, da lì, verso l’oriente più ampio: fu giocoforza cercare sbocchi ai commerci altrove; se prima tutto si riconduceva al Mediterraneo, ora era necessario ampliare la visuale del mondo. Da noi l’evento storico è stato analizzato per i riflessi che ebbe circa il nuovo assetto politico nell’Europa occidentale; non altrettanto si è cercato di capire quali siano stati i riflessi nel mondo orientale. Più che la trasformazione di Costantinopoli in Istanbul, per la comprensione della storia russa e della posizione centrale in essa della città di Mosca, con la sua nuova immagine imperiale, conta di per sé un altro evento, che ha giocato un ruolo rilevante.
Il Concilio di Firenze (1439)
Quando ormai i giochi erano fatti per la rovina di Costantinopoli, e si attendeva un condottiero più determinato all’assalto, l’imperatore di Bisanzio tenta un ultima carta per salvare la situazione destinata allo sfacelo: la riunificazione delle due Chiese finora contrapposte fra Occidente e Oriente. Viene convocato un Concilio per tentare un’intesa che favorisse una crociata risolutrice contro i Turchi. A Firenze, dopo che a Ferrara, prima sede del Concilio, era scoppiata la peste, con il patrocinio di Cosimo de’ Medici, banchiere della Chiesa, convengono i vescovi occidentali con i Patriarchi orientali, fra essi anche quello di Mosca. Su pressione dell’Imperatore quest’ultimi dovettero piegarsi alle richieste del mondo latino, senza che si potesse consultare la base delle varie Chiese orientali.
Nel vano tentativo di assicurare all’Impero d’Oriente l’aiuto occidentale, l’imperatore Costantino XI Paleologo acconsentì a prendere in considerazione l’Unione tra la Chiesa di Roma e la cristianità ortodossa. Isidoro (patriarca di Mosca) lasciò in tutta fretta Mosca alla volta dell’Italia, per unirsi ai patriarchi greci impegnati nei colloqui. In realtà ciò che Roma proponeva a Costantinopoli era la ritrattazione pura e semplice delle posizioni teologiche dell’ortodossia. Al concilio di Firenze nel 1439 i vescovi greci, tra cui Isidoro, dovettero cedere alle imposizioni cattoliche sotto le pressioni del loro imperatore, accettando quindi la supremazia del papa e le posizioni della Chiesa di Roma riguardo al tanto controverso filioque. Nelle chiese greche la notizia provocò un’accesa opposizione, soprattutto nei monasteri, trasformatisi dal XIV secolo in centri di una rinnovata tradizione ortodossa. La resa di Firenze divise e indebolì Costantinopoli, anziché rafforzarla, e in ogni caso gli aiuti occidentali non arrivarono mai in quantità sufficiente. (Bushkovitch, p.43-44)
Le conseguenze del Concilio (non della fine di Bisanzio) furono tali da determinare nella Chiesa patriarcale di Mosca il convincimento che il proprio Patriarca aveva tradito l’ortodossia e quindi apostatato, per assumere una posizione eretica. Ma se tutto questo valeva per i vescovi che avevano partecipato al Concilio, anche quando, al rientro, costoro sconfessano quello che hanno sottoscritto su costrizione, essi non sono più credibili; essi non sono più da considerarsi in comunione con l’ortodossia. In tal modo venne formandosi la persuasione che la Chiesa di Mosca dovesse dichiararsi ancor più libera e autonoma rispetto alle altre Chiese orientali.
Quando la notizia della caduta di Costantinopoli giunse a Mosca, la Chiesa russa già da tempo aveva riconquistato la propria stabilità. Isidoro, rientrato a Mosca con le novità imposte dal Concilio di Firenze, aveva riunito nel 1443 tutti i vescovi russi per discutere della situazione venutasi a creare. I vescovi rifiutarono all’unanimità di sottomettersi a Roma, deposero Isidoro, favorevole all’unione tra le due Chiese, ed al suo posto elessero il vescovo di Rjazan’, Iona, sotto la protezione del gran principe Vasilij. Avendo eletto autonomamente il nuovo metropolita senza consultarsi con Costantinopoli, ormai dominata dagli Unionisti, la Chiesa ortodossa russa era ora formalmente separata da quella greca. (Bushkovitch, p.44)
MOSCA: TERZA ROMA
A partire dalla convinzione che, se Roma è già eretica, per non essere nell’ortodossia, e ha dunque tralignato dalla sua missione primaziale, e ora anche Costantinopoli, seconda Roma, ha fatto altrettanto, accettando vergognosamente il diktat del Concilio di Firenze, l’unica Chiesa che si è conservata fedele, è quella di Mosca: essa dunque può ben meritarsi il titolo di “terza Roma”, degna di svolgere il compito di guida per la cristianità rimasta fedele alla tradizione dei padri. Finché tale convincimento rimane nell’ambito religioso, la cosa non presenta risvolti di natura politica. Ma ben presto il granduca di Mosca ha buon gioco nel rivendicare un titolo più alto alla sua posizione, soprattutto quando deve riconoscere che, caduta Costantinopoli, non c’è più nessuno in quella sede che possa avere l’autorità di delegare ad altri titoli regali, che pur a Mosca si erano raggiunti grazie alla propria forza militare. Insomma, la questione reli-giosa, ancora una volta, apre la strada ad una visione politica che permet-te a Mosca di prendere coscienza di essere non solo una città fra le altre nel grande mondo russo, ma di poterne diventare la capitale, mentre la Russia stessa acquisisce la consapevolezza di potersi presentare finalmen-te come una nazione unita.
Alla fine del XV secolo, la Russia non si presentava più come un gruppo di principati tra loro correlati ma come un’entità statale vera e propria. Esattamente in questo periodo il termine moderno Rossija (espressione letteraria mutuata dal greco) iniziò a sostituire nei testi scritti la parola Rus’, legata alla tradizione e al linguaggio dialettale. Dovendo precisare un momento in cui dal granducato di Mosca emerse la Russia, esso coincise probabilmente con la definitiva annessione di Novgorod nel 1478, per opera del gran principe di Mosca Ivan III (1462-1505). Con essa Ivan unì sotto un unico sovrano i due centri principali – sotto il profilo politico e religioso – della Russia medievale. Negli anni successivi, lui e il figlio, Vasilij III (1505-1533), avrebbero annesso alla Moscovia i restanti territori.
(Bushkovitch, p.45)
Ma non basta l’estensione geografica della cosiddetta Moscovia, che ora viene definita “Russia”, per fare del nuovo Stato un soggetto politico di rilievo. È necessaria anche un’operazione particolare per giustificare il nuovo titolo che il principe di Mosca assume e con esso il ruolo che costui vuole giocare su questo vasto territorio e soprattutto nei rapporti con gli altri Stati europei. Nel periodo in cui anche altrove si fanno formando, o si consolidano sotto il profilo nazionale, nuovi Stati e nuovi protagonisti della politica, anche la Russia rivendica un ruolo più significativo per sé. Come la Spagna esce dalle sue lotte per l’unificazione e con la cacciata dei Mori, come un unico Regno; come la Francia consolida la sua immagine di potenza dopo la lotta titanica contro l’Inghilterra nella guerra dei 100 anni e soprattutto unisce a sé anche i territori periferici, come la Bretagna e la Borgogna; come la stessa Inghilterra si consolida dopo la guerra delle due Rose, determinata da una forte crisi di natura dinastica; così la Russia si accredita come una nazione unita grazie al riconoscimento di una sua continuità nei confronti dell’ormai sparito Impero bizantino. Sposando l’erede dell’ultimo Imperatore di Bisanzio, Ivan III rivendica un titolo monarchico che lo fa essere il continuatore dell’Impero orientale.
Il gran principe di Mosca Ivan III il Grande si adopera in ogni modo per aumentare il prestigio della sua dignità e per dare una legittimazione storica al proprio potere. In questo suo disegno, accogliendo la proposta della Chiesa di Roma avallata dai papi Paolo II e Sisto IV, egli, rimasto vedovo della prima moglie Marija Borisovna di Tver’ nel 1467, sposa in seconde nozze Zoe (Zwh, che in Russia diventerà Sof’ja) Paleologa, figlia di Fomas, despota di Morea, fratello dell’ultimo imperatore bizantino Costantino XI Paleologo e, quindi, legittimo erede di quell’Impero. Il matrimonio, contratto per procura a Roma davanti a papa Sisto IV nel 1472, viene celebrato nuovamente al Cremlino il 12 novembre dello stesso anno secondo il rito ortodosso. Zoe, che era riparata a Roma nel 1460 con il cardinale Giovanni Bessarione, fervente unionista, viveva sotto la protezione del papa Paolo II, il quale nutriva la speranza, condivisa dal suo successore Sisto IV, che la giovane greca potesse propiziare, con lo strumento dell’unione matrimoniale, l’aspettativa romana di unione delle due Chiese ponendo la Russia sotto la sovranità del Sacro Romano Impero. (Codevilla, p. 25)
Accanto a queste mosse di natura politica, che permettono al principe di Mosca di acquisire titoli che lo rendono più grande di quello che finora è stato, occorre che ci sia qualcuno in grado di giustificare, o di dare una ragione teorica a questa convinzione già radicata. Non solo il principe può avere titoli che lo esaltano nel panorama politico, ma la città stessa diventa simbolo di un potere e di un prestigio che poi si accrescerà con il tempo. Ancora una volta è il mondo religioso a dare le giustificazioni e a costruire un disegno di supremazia che ha una forte coloritura religiosa e che ben presto diventa di forte intonazione politica.
I tempi sono maturi perché la Russia acquisisca un ruolo autonomo e in questo contesto politico-culturale alla fine del XV secolo il monaco Filofej, igumeno del monastero Eleazar di Pskov, inizia a predicare a Mosca quella che verrà definita “dottrina di Mosca Terza Roma”, con cui la Rus’ si sostituisce a Bisanzio quale centro dell’ecumene cristiana. In una lettera indirizzata al segretario (d’jak) del gran principe Michail Grigor’ev Misjur-Munechin, nominato governatore di Pskov dal gran principe di Mosca Vasilij III, Filofej scrive: “(l’ortodossia) è fuggita di nuovo, nella terza Roma, ovvero nella nuova, grande Rus’ (…). Osserva, Sovrano, come tutti regni cristiani sono convenuti nel tuo unico (regno), come due Rome sono cadute, mentre la terza sta, e una quarta non vi sarà, il tuo regno cristiano non passerà ad alcun altro. In tutto il mondo sotto il cielo sei tu l’unico re per i cristiani”. (Codevilla, p. 27)
È evidente in queste parole un certo tono propagandistico, che accompagna sempre questo genere di operazione: si trova sempre qualcuno che trova giustificazioni ad una realtà di fatto. Ed è un genere di giustificazione che serve ad accreditare, come in questo caso, un nuovo titolo e con esso una nuova fase politica. Si realizza così, anche per fortunate contingenze, un disegno che permetteva a questo territorio di raggiungere una certa stabilità, ma più ancora una sua precisa immagine di Stato, che lo faceva essere un soggetto politico di grande rilievo e nello stesso tempo, con i titoli che acquisiva, grazie a queste dottrine dichiarate, finiva per diventare qualcosa di più grande rispetto a ciò che stava succedendo per altri Stati europei.
Mentre in Occidente, dopo Carlo V, che univa insieme il titolo di re di Spagna (e con esso anche il controllo delle nuove terre co-nosciute) e di Imperatore del Sacro Romano Impero, questa visione uni-versale si perdeva con la nascita di nuovi Stati, pur sempre potenti, anche sotto il profilo economico, in Oriente sorgeva questo nuovo Stato, che da qualcosa di frantumato e di periferico ambiva a divenire una realtà di più vaste proporzioni, anche per l’annessione di altri territori abitati da popolazioni diverse. Ecco perché il principe di un territorio, che si riconosceva alla pari fra gli altri, diventa inevitabilmente non solo il re locale, ma un’autorità sovranazionale. Essa ha bisogno di presentarsi con una imma-gine di sé che spieghi e giustifichi questo suo ruolo, avvertito addirittura come una missione. E questa rimane ben oltre i passaggi inevitabili dei secoli e i mutamenti istituzionali che si succedono nel corso di essi.
IL TITOLO DI ZAR
Il nuovo Stato russo emerso ala fine del XV secolo superava per estensione e complessità il granducato della Moscovia medievale, anche rispetto alle dimensioni raggiunte nella sua ultima fase storica. Un nuovo stato esigeva nuove istituzioni e una nuova terminologia. Il gran principe iniziò a presentarsi come “zar di tutta la Russia” e perfino come samoderzavec, cioè “autocrate” a rimarcare la nuova indipendenza dall’Orda e da ogni altro possibile pretendente al granducato. Ivan III non esercitò il potere da solo, non più di quanto avessero fatto i suoi predecessori.
(Bushkovitch, p.48)
Si introduce così nella storia russa questo termine, che sarà usato per tutto il lungo periodo monarchico, senza mai del tutto perdersi anche quando formalmente la monarchia decade, ma viene sostituita con un potere altrettanto assoluto e autocrate, come si ha nel lungo periodo bolscevico, ma anche come si vede risorgere nei giorni nostri. Ovviamente questo titolo deriva dai termini classici con cui si voleva indicare colui che era riconosciuto imperatore – e quindi un’autorità al di sopra delle singole nazionalità – e che esercitava il potere considerandosi erede di una visione del mondo che veniva fatta risalire all’Impero romano. Come succedeva in quel sistema di governo, colui che era la figura di riferimento al di sopra di tutti ed era circondato da un alone sacrale, incarnava la figura mitica di Cesare, ritenuto l’iniziatore dell’Impero. Altrettanto succede anche qui, soprattutto a partire dal fatto che Ivan III, sposando Zoe Paleologa.
LE INSEGNE REGALI DELLO ZAR
ne acquisiva l’eredità. Perciò a buon diritto poteva definirsi con questo nome. Esso non compare ancora in una cerimonia di incoronazione ufficiale: ciò avverrà con Ivan IV. Ma già Ivan III si proclama “Czar”, e soprattutto agisce in nome di questo suo titolo. Anche in questo caso, l’autocrate si definisce così perché l’autorità religiosa lo presenta in questo modo, circondando la sua figura di quell’aura sacrale, che si conserverà nei secoli, in una sempre più forte commistione fra il politico e il religioso. Questo fattore è estremamente importante per capire la storia della Russia, non solo nel periodo zarista; anche oggi si avverte uno stretto legame fra potere politico e potere religioso: essi si sentono sorretti reciprocamente. Il titolo di zar riguarda indubbiamente l’autorità politica, ma esso, per quanto ereditato con il già noto matrimonio fra Ivan III e Zoe Paleologa, se vuole assurgere a ciò che è sempre stato nel Medioevo bizantino, deve derivare dall’autorità religiosa. E qui essa è rappresentata dal metropolita di Mosca, dopo che quello di Bisanzio si è lasciato trascinare a unirsi a Roma, ma soprattutto dopo che esso è rimasto senza Impero e Imperatore.
Così la corona imperiale e il titolo che ne consegue derivano dal patriarca di Mosca, il quale consacra e incorona il principe di Mosca come Czar. Costui sulla base di questo nome ha l’autorità su tutta la Russia: con tale dizione si intende non solo il territorio della Moscovia e quelli limitrofi, ma anche tutto ciò che nel tempo entrerà a far parte di questa grande nazione. È questa una visione che tende non solo all’imperialismo, ma, anche all’universalismo …
Va detto che la caduta di Costantinopoli è vista dai russi come un castigo voluto da Dio a causa del tradimento consumato al Concilio di Firenze con l’unione con Roma, sottoscritta anche da Isidor in Santa Sofia il 12 dicembre 1452: Mosca resta dunque l’ultimo baluardo dell’ortodossia e il sovrano di Mosca non può essere che un nuovo Costantino; non a caso vengono attri-buite al metropolita di Mosca, Zosima, queste significative parole a propo-sito di Ivan III il Grande nel 1492: “Dio aveva scelto Ivan Vasil’evic come zar e autocrate di tutta la Russia; egli che era il nuovo Costantino della nuova Costantinopoli-Mosca”. Nota il Graciotti: “Attraverso la duplice definizione di Ivan nuovo Costantino e di Mosca nuova Costantinopoli, con l’accenno di molte altre terre su cui dovrebbe estendersi la loro signoria, sembra indubbio si stia delineando con sempre maggiore chiarezza la vocazione di Mosca a porsi come erede di Bisanzio”. La fine dell’Impero bizantino dà vita ad una Chiesa senza impero e ciò è del tutto inconcepibile in un mondo in cui Sa-cerdozio e Impero sono visti come realtà inscindibili e imprescindibili l’una dall’altra. Mosca non può ereditare la posizione di Bisanzio se non è la sede di uno zar unto dal Signore, come lo erano gli imperatori bizantini: e ciò av-verrà su iniziativa di Makarij, metropolita di Mosca e di tutta la Rus’ (1542-1563), il 16 gennaio 1547 quando il giovanissimo Ivan IV sarà incoronato zar con l’unzione accompagnata dalle parole “Sigillo del dono dello Spirito Santo”. Accanto alla leggenda della beretta di Monomaco, la Russia del Cinquecento elabora una ricostruzione del tutto fantasiosa sulle origini della dinastia dei Rjurikidi, a cui appartiene Ivan il terribile, facendola originare da un fratello dell’imperatore romano Augusto. Lo zar si fa vanto di questa discendenza e se ne serve per legittimare la sua autorità e per giustificare l’espansione politica verso e contro l’Europa … (Codevilla, p. 28)
Così nel breve periodo di una generazione viene costruito di fatto e giustificato nel contempo il ruolo che Mosca e con essa la Russia si trova ad avere sul territorio, con già le premesse per una missione da svolgere anche altrove in un disegno di tipo imperiale.
CONCLUSIONE
Il quadro storico qui delineato fa comprendere il percorso che in tempi relativamente brevi ha permesso alla Russia di costruirsi la sua immagine e, con essa, la città stessa di Mosca, destinata a divenirne non solo la capitale politica, ma anche qualcosa di simbolico per la visione imperialista che la Russia ha sempre rivendicato e continua ancora a voler incarnare. Le va riconosciuta una storia particolare, che non ne fa una nazione come le altre, spesso riconoscibili per confini precisi, che possono limitare, ma anche proteggere, o per quella identità linguistica che ha forti attinenze sotto il profilo culturale, visto che il comune sentire si esprime in una lingua e in un linguaggio comuni. Qui, invece i confini geografici non sono tali da limitare lo spazio di occupazione; qui anche a parlare lingue diverse, che spesso diventano elemento di divisione e di incomprensione, col tempo si è costruito quel senso di appartenenza che sembra tenere, anche nei passaggi più travagliati della storia. Proprio questa particolare natura storica della Russia, come si è evoluta nel tempo, ci fa capire che siamo in presenza di un sistema nel quale è comprensibile che si sviluppi quel tipo di imperialismo che coincide con un certo universalismo. Perciò è necessario che si comprenda sempre meglio un sistema, che di fatto non si sarebbe potuto creare e non si è creato in altre aree geografiche d’Europa, dove le barriere geografiche hanno contribuito a creare sistemi, a marcare confini, a determinare espressioni di lingua e di vita molto diverse. In-dubbiamente lo spazio sconfinato che le popolazioni di questo territorio si sono trovati a gestire, ma soprattutto la stretta relazione che si è creata in seguito alla scelta di legarsi al mondo cristiano proveniente da Bisanzio, con la visione religiosa che ne derivava, hanno creato le condizioni giuste per costruire una lettura della storia e una gestione della politica che si muovesse nella linea di fatto percorsa. Per secoli, anche quando già il Cristianesimo è entrato, non si è mai registrato un disegno di tipo imperiale; questo invece si afferma e si costruisce con estrema facilità quando le condizioni si creano grazie alla caduta di Bisanzio, ma più ancora all’eredità che viene raccolta mediante la Chiesa locale. Essa condiziona di fatto il potere politico, che probabilmente non avrebbe mai pensato di poter immaginare una costruzione come quella che si impone a partire dal XVI secolo e che anche in altri momenti si precisa e si attua, pur con sistemi istituzionali molto diversi e che tra loro sembrerebbero inconciliabili.
La Russia, invece, sia nel periodo zarista, sia in quello bolscevico e sia in quello attuale, ha perseguito e persegue una politica imperiale, nella quale di fatto l’ha spinta in modo particolare la stessa religione, dando, nei primi tempi, la spiegazione e la giustificazione che facevano muovere nella direzione non solo di tipo monarchico, ma più ancora di tipo “imperiale”. Ecco perché questo permane, anche quando la fase monarchica si chiude. La religione, come si è cristallizzata nella eredità ortodossa, ha determinato la visione imperiale e ha fatto procedere in quella direzione.
Il fattore religioso … si unisce a un ideale politico, e Mosca come un tempo Bisanzio, si identifica nella capitale religiosa e politica dell’universo. Si realizza così una identificazione tra Chiesa e Nazione; la pienezza dei diritti si acquisisce con l’appartenenza a entrambe , vale a dire mediante il battesimo ortodosso. I sudditi dichiarano la loro fedeltà allo zar in quanto si pone per sua natura come protettore della vera fede, anche se l’intento che vuole perseguire è prima di tutto quello mondano e soltanto indirettamente quello religioso; in altre parole il fine del Sacerdotium viene subordinato a quello dell’Imperium e in questo modo si giustifica l’ingerenza del sovrano nella vita della Chiesa che si realizza principalmente nella designazione delle gerarchie ecclesiastiche. La fede ortodossa coincide con l’idea della Nazione; di conseguenza … “non la lingua o i caratteri fisici formarono la Nazione russa, ma l’ortodossia. Gli stranieri, Turchi o Mongoli, erano considerati stranieri finché professavano un’altra fede, ma dal momento in cui abbracciavano l’ortodossia diventavano Russi. Non si era dunque stranieri etnograficamente, ma dal punto di vista religioso; quegli che cadeva in ciò che l’ortodossia considerava eresia, il cattolicesimo per esempio, era ritenuto nemico della Russia, e mentre si lasciava alle altre razze grande autonomia e piena libertà, l’ortodossia, conformemente ai suoi principi, doveva perseguitare senza tregua coloro che erano caduti nell’errore”. (Codevilla, p. 27-28)
BIBLIOGRAFIA
1.
Paul Bushkovitch,
BREVE STORIA DELLA RUSSIA,
Einaudi, 2013
2.
Giovanni Codevilla,
CHIESA E IMPERO IN RUSSIA,
Jaca Book, 2011
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