San Giustino: le due apologie e il dialogo con Trifone.

PREMESSA:

IL CRISTIANESIMO E IL PREGIUDIZIO

La religione cristiana si è presentata come una derivazione dal mondo ebraico: fin dalle sue origini, i promotori della sua diffusione, i discepoli mandati “fino agli estremi confini della terra” da Cristo dipendono strettamente dalla sinagoga, che frequentano tutti i sabati per le letture, mentre, passato il sabato, la sera stessa di quel giorno, si trovano nelle case per “la cena”, che diventerà progressivamente la loro riunione caratteristica. Fino al 70, anno della distruzione di Gerusalemme, i cristiani, pur nella diffidenza e nell’ostilità dei farisei e dei sacerdoti del tempio, cercano sempre il contatto con la sinagoga, come vediamo fare da Paolo nei suoi viaggi. E nei primi discorsi che troviamo riassunti da Luca negli Atti degli Apostoli, appare con chiarezza che il Dio di Cristo è sempre quello dei Padri d’Israele, e che dunque deve essere rivendicato questo legame con la storia ebraica. Anche tra la gente comune si riflette questa impostazione: quando a Roma, nel 49, avvengono tumulti a causa delle contestazioni ebraiche nei confronti dei cristiani, dovute a motivo di un certo Cristo, che, per quanto scrive Svetonio (“impulsore Chresto”), sembrava essere il fomentatore delle risse, Claudio volendo la pace e la tranquillità, decide di mandar via tutti, Ebrei e Cristiani. E così accontenta la popolazione che voleva la quiete pubblica. Ma di fatto il decreto di espulsione non va a buon fine, se molti rimangono ed altri confluiscono a Roma, dove, secondo Tacito, arriva di tutto, comprese le superstizioni più vergognose. Lo storico dice questo, mentre sta raccontando che Nerone si defila dalla responsabilità dell’incendio, che lui ha appiccato ad alcuni quartieri della città, accusando i cristiani di questo. Nell’esposizione si deve notare che lo storico ha raccolto alcune informazioni sul Cristo, pur riconoscendo questa fede come una pericolosa superstizione. Leggi tutto “San Giustino: le due apologie e il dialogo con Trifone.”

S. Clemente: l’autorità di Roma e la fraternità tra le chiese.

S. Clemente nella chiesa di Santa Sofia a Kiev

PREMESSA:

NELL’EPOCA POSTAPOSTOLICA

E LA SITUAZIONE A CORINTO

Fra gli scritti dei primi anni dopo la redazione dei testi neotestamentari (vangeli e lettere apostoliche), spiccano alcuni, che al loro primo apparire vengono catalogati come testi ispirati, e quindi parte integrante del “canone biblico”. Poi però, anche ad essere sempre ben valutati, e a farvi ricorso nelle circostanze che presentano i medesimi problemi, non dovunque sono inscritti nell’insieme dei libri biblici, e di fatto in poco tempo si troverà estromesso da essi. Uno fra i documenti meglio apprezzati e circondati da stima e onore, è la lettera scritta da Clemente, che è il quarto vescovo di Roma, e che assume un rilievo non indifferente nella Chiesa di allora, grazie a questo scritto. Si tratta di una missiva per i cristiani di Corinto, dove continuavano le divisioni già documentate nella prima lettera di S. Paolo ai cristiani di quella città. Siamo comunque a 40 anni circa dal testo paolino; e quindi le persone a cui Clemente si rivolge sono altre; ma il problema persiste, segno di una comunità segnata da questo male, ben radicato. L’apostolo, fin dalle prime battute della sua lettera tocca l’argomento, rilevando la presenza di “partiti”, cioè di gruppi che facevano riferimento all’appartenenza a qualche figura carismatica. Non sembra che ci siano forme di eresie, e quindi di dottrine varie e contrapposte; prevale invece quel tipo di personalismo che non favorisce affatto la familiarità e la fraternità.

1Corinzi, 1,10-12

Vi esorto pertanto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, a essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire. Infatti a vostro riguardo, fratelli, mi è stato segnalato dai familiari di Cloe che tra voi vi sono discordie. Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: Io sono di Paolo, io invece sono di Apollo, io invece di Cefa, e io di Cristo.

Se anni dopo – siamo alla fine del I secolo – il medesimo clima affiora, vuol dire che un simile malessere è radicato: non basta più la lettera di Paolo, che pur si dovrebbe ritenere un intervento autorevole e da considerarsi indiscutibile; occorre che la figura di spicco in quel periodo prenda posizione, aggiornando la lettura della questione. Leggi tutto “S. Clemente: l’autorità di Roma e la fraternità tra le chiese.”