LA RUSSIA ENTRA NEL MONDO EUROPEO
Il regno di Pietro il Grande coincise con la più grande trasformazione vissuta dalla Russia fino alla Rivoluzione del 1917. A differenza della Rivoluzione sovietica, tuttavia, la trasformazione imposta alla Russia da Pietro ebbe uno scarso impatto sull’ordinamento sociale, poiché il servaggio rimase e i nobili mantennero tutte le loro prerogative. Ciò che Pietro cambiò fu la struttura e la forma dello Stato, trasformando il tradizionale regno zarista in una variante della monarchia europea. Pietro impose al tempo stesso profondi mutamenti alla cultura russa, con un lascito che persiste tutt’oggi accanto alla sua nuova capitale San Pietroburgo. (Bushkovitch, p.93)
In questa breve presentazione del capitolo dedicato alla figura e all’opera di Pietro il Grande, si coglie il grande ruolo che ha avuto questo personaggio nella storia della Russia, diventando pure egli una sorta di mito. Anche ad avere molte informazioni ed anche a riconoscerle veritiere, il personaggio si staglia nella storia russa come una figura unica e gigantesca per il ruolo che ha giocato. Molto è dovuto a lui circa l’apertura nei confronti dell’Europa, dalla quale ha cercato di ricavare il meglio per un ammodernamento delle strutture statali della Russia. Pietro il Grande ha sempre cercato di inserire la Russia tra le potenze europee, non solo per competere con i vicini, che sotto il profilo territoriale non potevano vantare il medesimo spazio vitale della Russia, ma potevano comunque ostacolarne il passaggio per competere con le grandi potenze centrali, come la Prussia, l’Austria, o, ancora più in là, la Francia e l’Inghilterra. Se evidentemente voleva competere con esse, la Russia avrebbe dovuto attrezzarsi di strumenti che risultavano in quel tempo, come assolutamente indispensabili alla costruzione di un Paese dalle pretese imperialiste. Una struttura appesantita dalla zavorra di tipo feudale, come era il sistema dei boiari, non avrebbe mai consentito la costruzione di un Paese più moderno, che sarebbe potuto diventare con la crescita della classe borghese, quella che cerca di allargare il campo del mercato e insieme anche un tipo di produttività che permetta il commercio fuori dei confini nazionali. Lo zar si rende conto che una simile struttura è possibile solo con la libera imprenditoria, quella che va alla ricerca di nuovi spazi, di nuovi mercati, di nuove attività, costruite grazie all’ingegno, alla concorrenza e ai capitali finanziari.
Questo non è ancora sufficientemente sviluppato in Russia ed anche sotto il profilo sociale si devono registrare manchevolezze e limiti che rendono la Russia stessa inadeguata a stare al passo con il resto d’Europa. Se altrove si potevano registrare particolari conflittualità, spesso anche drammatiche, come succede, ad esempio, nella guerra dei contadini al tempo di Lutero nel centro della Germania, qui invece simili scontri sono inesistenti. Del resto manca un ceto borghese più consistente che sia in grado di operare soprattutto nella ricerca di mercati e di materie prime da utilizzare per ricavare manufatti. Ma più ancora manca il baluardo di un esercito a difesa, che possa garantire chi parte alla conquista di nuove terre e chi le sfrutta per guadagni da utilizzare. E, ancora, non esiste quel sistema di intervento da tenere nei nuovi mondi scoperti, che invece compare, soprattutto in Francia, in Olanda, in Inghilterra: questi Paesi appoggiano le Compagnie di Navigazione, costruite per la conquista e per lo sfruttamento delle terre coloniali. È lì che si vede lo sviluppo di una nuova classe imprenditoriale, capace di costruire un futuro più dinamico. Tutto questo viene certo incoraggiato dallo Stato assoluto, rappresentato dal monarca; ma di fatto, poi, nelle nuove terre, anche a risultare vissuto a nome del re, è comunque lasciato all’intraprendenza dei coloni stessi e del loro sistema di governo. In Russia un tale sistema appare ancora lontano dall’essere ideato e realizzato, proprio perché mancano figure di questo genere e lo zar si sente impegnato a costruire una serie di infrastrutture che possono servire a muoversi verso le terre lontane. Pietro intuisce la necessità di snellire il sistema di governo ed attua riforme in questa direzione, ma di fatto appare solo in questo immane lavoro, anche se la sua è un’autentica lungimiranza, che permette, alla sua morte, di lasciare un Paese con un volto diverso rispetto ai regimi precedenti. A ben considerare il suo agire, spesso lasciato anche alle urgenze del mo-mento, si deve riconoscere che egli sta muovendo incontro all’Europa, che egli guarda lì per avere e dare un futuro migliore alla Russia. Così Pietro si ritaglia il suo ruolo nella storia e contribuisce a stabilire un rapporto stretto con il mondo germanico, soprattutto, che porterà la Russia a sentirsi parte integrante dell’Europa e incamminata a cercare lì una nuova immagine e soprattutto quel ruolo imperiale, che ha sempre coltivato e che ora ritiene di poter esercitare, non solo sul territorio russo e sulle persone che vi abitano, anche ad essere di religione, di lingua e di razza diverse.
Sotto questo profilo ha ragione lo storico citato di concludere che il regno zarista, anche ad essersi considerato l’erede dell’Impero d’Oriente, è più che mai incamminato a diventare una potenza competitiva con il resto d’Europa e per questo cerca di costruirsi secondo le strutture tipiche dei regni occidentali. In concreto, poi, la costruzione di una nuova città, che Pietro avrebbe voluto far divenire capitale dell’Impero, sarebbe stato considerato il segno evidente di questa sua politica, perché la città doveva sorgere laddove sarebbe stato più facile e vicino il contatto con il mondo occidentale e si sarebbe dovuta presentare secondo le caratteristiche delle città europee del tempo, con quei disegni urbanistici e architettonici che stavano segnando un po’ tutte le città europee, soprattutto quelle che sognavano di diventare la capitale di una monarchia di peso. Ovviamente qui lo zar si deve avvalere di maestranze e di risorse che gli possano garantire la realizzazione del suo sogno, sempre coltivato, sempre perseguito, e soprattutto portato a compimento.
GLI ANNI DELLA FORMAZIONE
Quando viene al mondo, per quanto sia figlio a pieno titolo dello zar Alekseij Romanov, per il piccolo Pietro non ci sono ancora le condizioni affinché si possa dire che egli sarà l’erede e che egli sia atteso come il rinnovatore dell’Impero, come poi di fatto è diventato. Ciò che si diceva di lui e gli si augurava, rientrava in quel tipo di auspicio che sembrava più nella linea della piaggeria che non nelle aspettative di qualche settore della società moscovita: appena nato non ci si poteva aspettare molto e non si vedevano in lui progetti di lungo termine. Anzi, il clima che si respirava attorno non sembrava affatto favorirlo.
Il 30 maggio 1672 – l’anno 7180 secondo il calendario allora in uso nel paese (cioè quello che si faceva risalire addirittura alla creazione del mondo!) – la zarina mette al mondo un figlio. Al neonato viene imposto il nome di Pietro. Se nulla ancora autorizza a denominarlo Pietro il Grande, gli astrologi consultati gli predicono un glorioso avvenire. Non solo la sua stella è sorta in prossimità del pianeta Marte, ma, altro auspicio evidente, nel giorno stesso della sua nascita l’esercito di Luigi XIV si apprestava ad oltrepassare il Reno, sotto il comando di Condé e di Turenne. Questo evento militare, secondo gli specialisti, annuncia che al neonato si apre un avvenire guerriero seminato di successo. (Troyat, p. 9)
Proprio perché si pone l’accento sul fatto che egli nasce mentre in Europa un altro re sta muovendo le sue guerre per tentare una supremazia su di essa, che non riuscirà comunque a raggiungere, lo si vorrebbe far credere già predestinato a perseguire disegni militareschi e soprattutto espansivi. Ma se di fatto cercherà di costruire come arma potente un esercito moderno e ben organizzato, questo non significa che egli avesse fin da piccolo certe mire o volesse raggiungere determinati obiettivi. Anzi, si dovrebbe segnalare che nella sua infanzia egli risultava lontano dagli intrighi di corte e nello stesso tempo appariva immerso in situazioni che avrebbero potuto costituire un pericolo, con la prospettiva di venire eliminato. Di fatto egli si trova a diventare zar all’età di 10 anni, quando il 27 aprile 1682, il fratellastro Fedor muore senza un successore designato. È il patriarca a scegliere fra gli altri figli di Alekseij, Ivan e Pietro. E la designazione andrebbe su quest’ultimo. Ma in presenza di torbidi che danno origine ad un bagno di sangue, si giunge ad una sorta di compromesso che vede i due incoronati insieme, mentre a gestire di fatto il potere è la sorellastra Sofia, la quale pensa di imporsi con tutta una serie di raggiri. Pietro viene confinato in un villaggio alle porte di Mosca … Qui il ragazzino viene custodito dalla madre che lo impegna con gli studi, anche se per lui contano di più i giochi di tipo militare.
Si sono ritrovati i quaderni di Pietro, dai quali risulta che egli traccia le lettere stentatamente, non separa le lettere, le trascrive come le pronuncia; comunque la sua buona volontà è evidente … Pietro sogna di coprirsi di gloria nei combattimenti. I suoi primi giocattoli – la lista è stata rinvenuta al Museo dell’Arsenale – sono bandiere, tamburi, pugnali, piccole asce o cannoni in miniatura. Coi ragazzi della sua età, figli di boiari, di palafrenieri o di valletti, Pietro gioca alla piccola guerra e prende d’assalto una fortezza in miniatura costruita coi suoi compagni di gioco su un isolotto del fiume Jauza nei pressi della sua casa. (Troyat, p. 37)
Qui, coltivando gli studi scientifici, con maggior attenzione per certe applicazioni di carattere pratico, si crea in lui quel genere di curiosità che lo fa essere sempre addentro nelle tante questioni scientifiche, ma più ancora in quelle prime applicazioni di carattere tecnico, che lo vedono all’opera per l’attuazione di piani e di mezzi che possono servire alla guerra. Riceve in dono un astrolabio e non sapendolo usare è costretto a cercare un esperto che lo introduca alle conoscenze scientifiche e più ancora all’utilizzo di quegli strumenti tecnologici, che lo fanno diventare abile in tanti aspetti poi necessari alle sue guerre e ai suoi interventi di carattere politico e militare.
E qui entra a sua completa disposizione un olandese, un certo Timmermann, che sa usare l’astrolabio e che diventerà nel tempo il suo confidente preferito: è lui il maestro ideale!
Subito la madre Natalia lo assume come insegnante di scienze. Con questo nuovo istitutore, Pietro immagazzina nella sua giovane mente, alla rinfusa, rudimenti di aritmetica, di geometria, di artiglieria, di fortificazione. Certamente le nozioni che egli apprende sono superficiali e sconclusionate, ma la sua sete di conoscenza è insaziabile. Egli è divorato dal bisogno di sapere tutto in tutti i campi. Più tardi egli trarrà vanto d’esser pratico di “quattordici mestieri”. Per il momento si accontenterà di piluccare con frenesia nell’orto della scienza. Il suo desiderio di possedere un astrolabio non è che una manifestazione tra cento della sua avidità di conoscere direttamente tutto. Con lo stesso Timmermann, avendo scoperto in un rimessa un battello inglese mezzo marcio che un tempo apparteneva al prozio Nikita Romanov, Pietro decide di farlo riattare sotto la direzione del carpentiere olandese Karschten-Brandt. La vec-chia carcassa è rappezzata, provvista di un albero, di una vela, di un timone e lanciata con grande pompa sul fiume Jauza. Poi, per manovrare meglio il battello, lo si trasporta sul vasto lago Perejaslavl. Sarà “il capostipite della flotta russa”. (Troyat, p. 37)
RESTI DELLA FLOTTIGLIA DI PIETRO IL GRANDE
NEL MUSEO DI PEREJASLAVL
A partire da questa sua scoperta comincia l’avventura di Pietro che lo porterà a volere una flotta e a cercare con essa quella potenza navale, che gli pareva fosse necessaria per competere con il mondo europeo, dove le grandi fortune provenivano dalla scoperta di nuovi mondi, dai frequenti viaggi sui mari, durante i quali si cercavano soluzioni per migliorare il naviglio e la navigazione. Ovviamente questo obiettivo per lui poteva essere raggiunto nella misura in cui la Russia si dotava di cantieri navali e cercava sbocchi sul mare, vincendo la competizione con altri Paesi rivieraschi. Rimarrà costante nella vita di Pietro l’interesse per questo genere di armamento, che egli non concepiva solo in termini militari; ciò che lo attraeva maggiormente era il lato tecnologico e quindi tutte quelle innovazioni che si potevano raggiungere per migliorare le prestazioni delle navi. Questa era l’occupazione che preferiva di gran lunga, prestandosi anche a sostenere quel genere di lavoro che gli permetteva di imparare facilmente le tecniche nel campo. E così viveva accanto ai lavoratori e vicino ai soldati, diventando sempre più uno di loro.
Questo agglomerato vicino alla capitale, sulle rive del fiume Jauza, piccolo affluente della Moskva, è una specie di quartiere riservato dove sono obbligatoriamente alloggiati i dipendenti stranieri, protestanti e cattolici, venuti a cercar lavoro e fortuna in Russia. Dapprima umile villaggio con casupole di legno, il sobborgo tedesco è ben presto diventato un’oasi di calma, di eleganza e di civiltà occidentale. Costruzioni in pietra, aiuole fiorite, viali alberati e rettilinei, zampilli d’acqua, fanno vistoso contrasto con il disordine orientale di Mosca. È come un’isola europea inserita nel fianco dell’antica Russia! Là vivono non solo Tedeschi, ma anche Italiani, Inglesi, Scozzesi vittime delle persecuzioni di Cromwell, Olandesi e Danesi, Svedesi, e perfino Francesi ugonotti che hanno preferito l’esilio alla conversione. Nel mucchio si è certo insinuato qualche avventuriero, ma la maggior parte di questi emigrati sono persone oneste e abili, animate da un vivace spirito d’iniziativa. Diversi per nascita, per lingua, per religione, sono come saldati in un unico blocco dalla coscienza della lontananza dai loro paesi d’origine, spaesati nel cuore della Russia. Il loro numero si accresce di continuo. (Troyat, p. 39)
Questa novità affascina il giovane Pietro. Da quando ha l’età della ragione, tre cose lo attraggono: la guerra, il mare, i paesi stranieri. Egli cerca di imparare a vivere ispirandosi al mondo del sobborgo tedesco. (Troyat, p. 40)
Se, dunque, c’è Pietro che vuol freneticamente imparare ciò che di meglio trova nel mondo europeo, vi è anche nel cuore di Mosca a presenza di gente che porta uno stile diverso e che crea di fatto contatti con un mondo fin qui rimasto escluso a quanto di innovativo si era creato nel resto d’Europa.
È inevitabile che qualcosa debba cambiare in un mondo che va assolutamente tenuto al passo con i tempi nuovi. È però necessario assumere il controllo dello Stato stesso e Pietro è costretto a farlo, opponendo una ferma resistenza al sistema dei boiari, che rappresentano la tradizione rigida e refrattaria ai cambiamenti. Questi verranno introdotti dallo zar in maniera forzata, e non senza resistenze. Lo sperimenta già fin dagli inizi del suo regno, quando non solo deve disfarsi del sistema diarchico con il fratello Ivan, ma deve anche contrastare la sorellastra Sofia, più avanti negli anni di lui, e più che mai decisa a conservare il suo potere nella competizione con Pietro. Lo scontro si risolve in favore di Pietro tra l’agosto e l’ottobre 1689: Sofia viene costretta a rinchiudersi per il resto dei suoi giorni in convento, mentre Ivan deve riconoscere la superiorità di Pietro che di fatto si impone a Mosca. Ma la città gli appare sempre più l’espressione di una Russia divenuta vecchia ed incapace di competere con l’Europa, che invece galoppa verso la modernità. Per stare al passo con essa, Pietro sente il bisogno di snellire lo Stato e più ancora di aprirlo sui mari, da dove esso può rivelare la sua potenza militare e insieme commerciale. E così si circonda di amici che provengono da vari Paesi europei; con loro si dà spesso a feste goliardiche, ma anche e soprattutto a studi riguardanti le strategie militari.
Ascoltando il mondo, egli si persuade a poco a poco che la Russia, geograficamente sfavorita, non perverrà mai a respirare liberamente e a svilupparsi armoniosamente finché non avrà spezzato la morsa che la soffoca. Sul globo terrestre, che la sua mano fa ruotare lentamente, il suo sguardo si porta irresistibilmente in due punti: il mar Nero e il mar Baltico. Per accedervi c’è un solo mezzo: la guerra. Ma egli non si sente pronto … (Troyat, p. 57)
La sete di novità da applicare soprattutto nell’ambito navale e militare richiede di essere appagata con lo studio diretto di quei cantieri che lo zar ritiene utile visitare di persona, per rendersi conto delle priorità da acquisire e da sviluppare: non gli basta più avere attorno persone che lo possano consigliare; vuole lui stesso poter dominare la materia e svilupparla secondo i suoi disegni. Per questo ha in mente un viaggio nei Paesi europei da cui vuol ricavare tecniche e materiale da introdurre poi in Russia. Ma prima vuole presentarsi come un sovrano di tutto rispetto anche per le vittorie che ha raggiunto sul campo, tenuto conto che ormai da anni la Russia viene considerata incapace di reggere sulle sue frontiere nello scontro con i Paesi confinanti.
La puntata sul Mar glaciale artico deve servire ad affermare la sua esclusiva su quel mare, anche se di fatto lì non c’era nessuno a competere. Anche il viaggio da Arcangelo al monastero Soloveckij, in cui corre il rischio di sparire in un naufragio, gli dà fama, per quanto egli ne sia uscito per la fortuna che gli arrise. Ma anche questo poteva servirgli per costruire il mito.
PIETRO IL GRANDE IN ETA’ GIOVANILE
Le sue doti militari si rivelano invece nella campagna contro la Turchia per il possesso del Mare d’Azov, necessario per affacciarsi sul Mar Nero. La campagna ebbe due momenti: il primo nell’inverno 1695 fu fallimentare, per la sottovalutazione di alcuni problemi di natura tecnica, come il vettovagliamento e l’organizzazione degli assedi; il secondo, invece nella primavera successiva, fu un trionfo.
Non appena celebrato il trionfo di Mosca, Pietro riunì a Preobraženskoe il consiglio dei boiari e annunciò la sua intenzione di colonizzare Azov e Taganrog e di costruire una flotta navale:30.000 famiglie di contadini e 3000 Strelzi furono inviati ad Azov come colonizzatori militari, mentre 20.000 ucraini furono inviati a Taganrog a costruire il porto. Il 20 ottobre 1696 un decreto approvò la costituzione della Marina russa; gli oneri per la costruzione delle nuove navi, che sarebbero state approntate entro diciotto mesi nei cantieri di Voronež, furono suddivisi tra i mercanti, la chiesa e i proprietari terrieri: lo Stato avrebbe costruito per proprio contro dieci navi; ogni latifondista ne avrebbe costruita una; così come una ne doveva costruire ogni grande monastero. Nonostante da tutta Europa giungessero carpentieri navali, per costruire la flotta che Pietro aveva in mente ci sarebbe stato bisogno di molti più tecnici.
Altro problema si sarebbe presentato allorquando la flotta fosse stata varata, poiché almeno alcuni ufficiali dovevano essere russi. Il 22 novembre Pietro dichiarò che avrebbe mandato più di cinquanta russi, in gran parte giovani rampolli delle famiglie più nobili, in Europa a studiare nautica e ingegneria navale. Negli anni che seguirono, decine e decine di altri giovani russi vennero inviati all’estero per l’addestramento nautico; le conoscenze che portarono con sé al loro rimpatrio concorsero a trasformare la Russia. (Wikipedia)
LA GRANDE AMBASCIATA
Sistemata la situazione di conflitto con la Turchia e stroncata una congiura di palazzo di alcuni boiari che vengono giustiziati in modo crudele e spettacolare, Pietro decide di partire per un viaggio che lo porta in Europa con l’intento di conoscere “de visu” i sistemi amministrativi, ma soprattutto le tecniche navali in uso nei cantieri locali: per lui l’attenzione era rivolta in modo particolare verso Amsterdam e verso Venezia. Il giro nei vari Paesi europei sarebbe dovuto avvenire in incognito, almeno per la sua persona, anche se di fatto veniva presentata come una ambasceria russa, mediante la quale lo zar, che pure vi partecipava, e i suoi collabo-ratori avrebbero dovuto raccogliere le informazioni necessarie per creare cantieri navali in Russia e per istituire un ammiragliato …
Dopo che i cospiratori furono messi a morte, Pietro partì immediatamente da Mosca, facendo tappa a Riga e a Berlino prima di raggiungere Amsterdam, che era la sua destinazione principale. Lo zar viaggiava in incognito, un semplice membro di quella che divenne nota come la Grande ambasciata, guidata da Lefort (un ufficiale mercenario ginevrino) e dal boiaro Fedor Golovin e volta a rinsaldare la coalizione contro gli ottomani. Mentre i capi della delegazione sedevano al tavolo delle trattative, Pietro trascorreva il suo tempo nei cantieri navali di Zaandam, imparando i segreti di carpentieri e ingegneri. Dagli olandesi venne a sapere che gli inglesi avevano tecniche diverse per costruire le navi e che per realizzare lo scafo si affidavano alla matematica e non semplicemente all’occhio esperto. Partì subito alla volta di Londra, dove visitò i cantieri navali, conversò con gli astronomi dell’Osservatorio di Greenwich, presenziò a una riunione di quaccheri, visitò la Zecca reale e discusse con i rappresentanti del clero anglicano. Riprese quindi il viaggio di ritorno , arrivando a Vienna alla fine della primavera del 1698. Mentre attraversava l’Europa centrale, tuttavia, la situazione politica era rapidamente mutata … (Bushkovitch, p.96)
LE RIFORME
Questo “tour” europeo alla ricerca di innovazioni tecnologiche fu certaamente importante per Pietro e per la Russia, perché al rientro lo zar si decise ad avviare una serie di riforme, che nel suo intento volevano modificare radicalmente il sistema di governo a Mosca e nello stesso tempo portare i russi ad essere in tutto simili agli europei. Gli interventi di Pietro, in diversi campi, furono voluti dalla sua forte tenacia, ben consapevole che egli avrebbe urtato le coscienze di molti e che avrebbe incontrato notevoli resistenze, soprattutto presso i boiari, gelosi delle loro prerogative e legati ai loro schemi tradizionali. Del resto lo zar si rendeva conto che da essi non poteva aspettarsi se non dei continui ostacoli e, più facilmente, anche sorde opposizioni che si potevano trasformare in congiure, da stroncare senza pietà. Si tratta, a dire il vero, di interventi piuttosto diversi, in settori eterogenei, ma sempre nell’intento di modificare radicalmente la mentalità. Incomincia dall’eliminare la barba dai volti …
IL TAGLIO DELLA BARBA
Pietro emana un ukaz che vieta di portare le barbe eccettuato il clero. I barbuti che nonostante il divieto dello zar vogliono conservare l’onore del mento pagheranno una tassa determinata dalla loro condizione sociale. 100 rubli all’anno i nobili e gli alti funzionari, 60 i cortigiani e i commercianti, 30 i servitori e i cocchieri, mezzo copeco, all’entrata e all’uscita dalla città, i contadini. (Troyat, p. 94)
Prende di mira anche il vestire, perché si assumano abiti in uso nel mondo occidentale …
Ma un viso glabro, moderno, europeizzato, mal si adatta ai lunghi caffettani bizantini. Dopo l’assalto alle barbe, Pietro prenderà, dunque di mira gli abiti. In Russia, la foggia dei vestiti è rimasta immutata da secoli: ampi, rigidi, infilati gli uni sopra gli altri, hanno un taglio goffo e superbi ornamenti … Questo costume ieratico da tempo non è gradito allo zar, che ama la semplicità e la comodità … I modelli di questi abiti sono esposti alle porte della città e i contravventori devono pagare 40 copechi se appiedati, un rublo se cavalieri. Inoltre, non è raro che gli abiti non conformi alla foggia prescritta siano lacerati dai sorveglianti …(Troyat, p. 95-96)
E si adegua pure al sistema europeo circa il calendario: ovviamente assume quello giuliano, non quello gregoriano, perché questo è voluto da un papa …
Un’altra riforma che urta le abitudini popolari è quella del calendario. Secondo il calendario russo, fedele alla tradizione bizantina, l’anno iniziava il 1 settembre, considerato il giorno della creazione del mondo, l’anno 5508 prima della nascita di Gesù Cristo … Il 20 dicembre 1699, allo spirare del secolo, Pietro emana un ukaz per ordinare che d’ora in poi gli anni devono essere contati all’europea, e che ogni anno ha inizio il 1 gennaio. Non si spinge tuttavia ad adottare il calendario gregoriano che, essendo quello di Roma, non può adattarsi agli ortodossi, e si accontenta del calendario giuliano, che ha un ritardo di 11 giorni rispetto a quest’ultimo. (Troyat, p. 97)
Ci sono anche altri interventi …
Nel 1699, per stimolare l’interesse della nobiltà, Pietro ha fondato il primo ordine cavalleresco russo: l’ordine di Sant’Andrea, patrono della Russia. Un grande cordone azzurro ornerà il petto degli eletti. Nel 1702, verranno aperti i terem, le donne potranno partecipare alle riunioni di società., il fidanzamento sarà obbligatorio sei settimane prima del matrimonio, i futuri coniugi potranno incontrarsi liberamente. Un anno dopo, a Mosca si pubblica il primo giornale, stampato su quattro pagine, Notizie, che fornisce informazioni sommarie sugli avvenimenti in Russia e in Europa. (Troyat, p. 97)
LA FONDAZIONE DI SANPIETROBURGO
La città che porta il suo nome è il lascito più concreto e cospicuo che lo zar affida alla Russia e non solo ad essa. Va segnalata come un simbolo, perché in essa Pietro vuole raccogliere emblematicamente quale debba essere la sua eredità, il frutto concreto di quei progetti che sono fioriti nella sua mente fervida e fantasiosa e che sono diventati realtà per la sua tenacia.
Sorta dal nulla, essa contiene nelle sue prime costruzioni le caratteristiche che egli voleva imprimere a tutta la società russa affinché divenisse europea. Perciò anche l’urbanistica qui doveva risultare nuova e innovativa sotto ogni aspetto: la scelta del luogo, la modalità delle sue costruzioni, la presenza di certi palazzi che altrove non ci sono e neppure ci potrebbero essere, la maestosità degli edifici stessi e nel contempo la loro fruibilità, anche come “finestra” sull’Occidente. In effetti essa deve risultare la città russa meno conforme agli schemi tradizionali e più coerente con le strutture urbanistiche in vigore in Europa. Ecco perché sono chiamati architetti dall’estero e principalmente dal mondo italiano per una città che Pietro avrebbero voluto simile alle città poste sul mare nel continente europeo, soprattutto quelle, come Venezia ed Amsterdam in un rapporto sempre conflittuale con il mare stesso. In effetti la località scelta nel golfo di Finlandia sembrava la meno adatta per costruirvi una città, dato il terreno, paludoso e fangoso; ma nello stesso tempo la città era de-stinata a primeggiare su quel tratto di mare, competendo con i potenti vicini delle città prussiane e della Svezia, già dominatrici del Baltico. Lo stesso nome con la finale “-burgo” avrebbe dovuto far capire che essa si presentava effettivamente in competizione con il mondo tedesco. Quando poi la competizione diventa guerra aperta, come in occasione della prima guerra mondiale, la città avrà il suffisso russo di “- grado” ( o “-gorod”). Così la città diventa il segno più evidente del lavoro di riforme e di europeizzazione che lo zar voleva attuare con il suo governo. Ed in effetti si ebbe un “capolavoro”, che avrebbe potuto anche eclissare Mosca e la sua immagine di città che ha in sé l’anima russa.
Qui, come in nessun’altra parte della Russia, egli si sente in casa sua, sulla terra e sull’acqua, zar anfibio in un paesaggio anfibio . Gli piacciono quei bassi fondali paludosi, quelle lande deserte, quelle foreste frequentate dai lupi, quelle brume fluttuanti dove i pescatori finnici si muovono come fantasmi. Più questa regione sembra inconsistente e misera, tanto più egli progetta di imprimervi il suo marchio. Da questo fuligginoso nulla, egli si dice può sorgere una grande città: una città che sarà interamente sua. Non gli importa che nel suo seguito si dica che il posto è mal scelto, in una provincia poverissima dell’Ingria, senza alcuna comodità di rifornimenti, lontana dalla capitale e tanto prossima ai cannoni svedesi. Né si cura di coloro che lo mettono in guardia contro le difficoltà di costruire una città solida su un suolo fangoso. Ammiratore degli Olandesi, egli vuole, come loro, domare l’elemento liquido, san Pietroburgo sarà la copia russa di Amsterdam. (Troyat, p. 121)
COLLAGE DI IMMAGINI DA SANPIETROBURGO
La città sorge relativamente in tempi brevi anche grazie a forzati esodi da terre lontane per creare qui una struttura rispondente al bisogno che nello stesso periodo si avvertiva, quello di far fronte all’avanzata svedese nel continente ad opera del re Carlo XII. I primi abitanti sono quanti dimostrano capacità nell’ambito navale, come operai nei cantieri e come soldati ed ufficiali della futura flotta che Pietro vuol costituire a tutti i costi. Lui stesso dà l’esempio di abitarvi e di preferire sempre lo stesso genere di abitazione che vengono edificate per la gente comune. Comunque la città assume progressivamente la sua fisionomia in mezzo a difficoltà non indifferenti: i morti e i feriti per gli incidenti non si contano; le malattie imperversano e le stesse condizioni ambientali per l’alloggio e il vitto non aiutano affatto soprattutto quanti sono forzati ad abitarvi e a dare il loro contributo lavorativo per l’edificazione.
Addirittura si parla di circa 100.000 morti che costituiscono con le loro ossa le fondamenta della città, sorta su una specie di carnaio. Anche chi dirige i lavori arriva a lamentarsi delle condizioni estremamente disagevoli.
Per dirigere l’esercito dei lavoratori, lo zar chiama, nel febbraio 1704, l’architetto italiano Domenico Trezzini. La maggior parte dei collaboratori di Trezzini sono stranieri: Olandesi, Italiani, Svizzeri, Tedeschi, Francesi. Tutti sono profondamente colpiti dalle condizioni di vita a loro imposte in questa città in perpetua trasformazione. Gli stipendi sono versati loro irregolarmente; le loro baracche di fortuna sono gelide, il cibo è ripugnante, i cavilli amministrativi sono defatiganti, mancano gli operai qualificati. Sicché alla prima occasione abbandonano quest’inferno che Pietro si ostina a chiamare il suo “paradiso”. Trezzini li sostituisce, e continua la sua opera alla meno peggio … Lo zar sorveglia di persona i lavori. Corre da un cantiere all’altro, stringendo la famosa dubina russa, il randello, di cui si serve per sollecitare gli svogliati … Nel 1706, Pietro ordina al suo grande ammiraglio Golovin di stabilirsi a San Pietroburgo, dove disporrà di un’altra grandiosa costruzione per l’Ammiragliato, di un porto e di un cantiere navale. Nel 1707, questo cantiere navale impiega già 3000 operai. Fiero del suo diploma di carpentiere, lo zar si mescola volentieri con loro, maneggiando l’ascia o drizzando l’albero di un’imbarcazione Ogni nave che scende in mare è occasione di festeggiamenti fragorosi e violenti, dove Bacco e Nettuno sono onorati in modo uguale. (Troyat, p. 124-6)
Lo zar deve reclutare popolazioni da diversi territori per ingrandire continuamente la città, perché la vuole far diventare la sua capitale. Anche un incendio a Mosca diventa l’occasione perché, invece di ricostruire lì, gli abitanti cerchino un’abitazione nella nuova città ancora in costruzione. E per arrivare all’obiettivo lo zar li obbliga …
Trapiantati in una città artificiale europea, senza legami con il passato, i primi abitanti di San Pietroburgo si sentono sperduti. Oltre ad aver perduto i beni, hanno anche la sensazione di non vivere più in Russia. Quando passeggiano sulle sponde dei canali, si credono ora in Olanda, ora in Italia, ora in Germania. Non hanno nemmeno potuto costruire le case secondo i loro gusti, perché un ukaz ne fissa i criteri di costruzione … La vecchia Mosca, svuotata dei suoi alti dignitari e degli uffici amministrativi, china la testa. Nel 1713, San Pietroburgo è eletta capitale. L’anno dopo vi si contano 34.550 abitanti, cifra che aumenterà di mese in mese e raggiungerà i 70.000 dieci anni dopo.
Artigiani e commercianti stranieri affluiscono nella città attratti dai possibili guadagni. Ma tutti, sia quelli che sono stati condannati a soggiornarvi, sia coloro che l’hanno scelta liberamente, si lagnano di questa città acquatica, di cui detestano il clima, le tempeste di neve nell’inverno, i moscerini d’estate, le inondazioni d’autunno. (Troyat, p. 126)
LA GUERRA CONTRO CARLO XII DI SVEZIA
Negli stessi anni in cui era in corso la costruzione della “sua” città, Pietro fu coinvolto nelle questioni sempre aperte fra i Paesi che si affacciano sul Baltico, dove Svedesi e Polacchi con i Lituani cercavano di avere il controllo della regione. Il giovane Carlo XII di Svezia, re ad appena 16 anni, si era rivelato intraprendente e soprattutto una sorta di avventuriero riuscendo a guidare in maniera vincente il suo esercito in quell’area geografica. Pietro si trovò a verificare la tenuta del suo esercito e soprattutto la strategia da adottare per averla vinta sul campo. Così non fu. Come aveva sbaragliato l’esercito danese, così al re svedese fu facile averla vinta anche con i Russi: in mezzo ad una tempesta di neve gli Svedesi ebbero la meglio e nella battagli di Narva (30 novembre 1700), anche in notevole inferiorità di numero, costrinsero i Russi ad una ritirata vergognosa. Pietro imparò la necessità di dotarsi di un esercito meglio organizzato e me-glio equipaggiato.
Qual era l’obiettivo che lo zar si prefiggeva dichiarando guerra alla Svezia, una potenza da tutti considerata praticamente invincibile? Ufficialmente, Pietro asseriva di voler recuperare il territorio perso alla fine dell’Epoca dei Torbidi, ovvero la parte orientale del Golfo di Finlandia (dove ora sorge Pietroburgo): si trattava di un antico territorio russo (e questo era assolutamente vero), e quindi legittimo patrimonio dello zar. Al tempo stesso, però, Pietro voleva per la Russia un porto per il commercio e le comunicazioni più accessibile della lontana Archangel’sk.
(Bushkovitch, p.99)
La situazione cambia nella fase successiva della guerra, quando nella battaglia della Poltava (27 giugno 1709) i Russi ebbero la meglio, costringendo il re svedese, privato in gran parte del suo esercito, a ripararsi presso i Turchi nella Crimea mussulmana. Qui di fatto costui rimase prigioniero, fino a quando poté, con la fuga, rientrare nel suo Paese d’origine, ormai impedito di ricostituire un esercito adeguato alle sue mire di conquista.
La vittoria di Poltava fu un punto di svolta nel regno di Pietro, poiché mostrò a tutti che alla fine il vincitore sarebbe stato lui, e che avrebbe mantenuto il possesso della città di San Pietroburgo. Quanto accadde a Poltava mutò anche radicalmente la posizione sua e quella della Russia dinanzi all’Europa. In precedenza, Carlo XII aveva già dato il colpo di grazia alla potenza e al prestigio della Polonia, ora lo zar aveva fatto la stessa cosa con la Svezia ed era libero di concentrarsi sulle azioni necessarie per proteggere le sue conquiste. (Bushkovitch, p. 102)
Lo zar aveva cercato quel tipo di sbocco sul mare, sia con la costruzione della “sua” città, sia con la contesa territoriale nei confronti della Svezia, potenza territoriale, perché sapeva che la Russia sarebbe potuta diventare e rimanere una potenza imperiale in Europa, solo con questa visione: la ricerca di uno spazio vitale sui confini occidentali, più che su quelli orientali, è la priorità costante della Russia e questa la fa essere una potenza competitiva in Europa. Ma per esserlo, deve pure dotarsi di tutte le risorse politiche, economiche e militari che la facciano stare all’altezza della situazione.
LA CRISI CON LA CHIESA E LA SUA RIFORMA
Va segnalato nella sua politica anche il conflitto con il mondo religioso: lo zar vuole asservirsi la Chiesa, come “instrumentum regni”, e nella sua visione assolutista, non ci poteva essere spazio per un’altra autorità al fianco o al di sopra della sua. Ammiratore del mondo europeo nordico, Pietro non voleva, certo, disfarsi dell’aspetto religioso, ma lo voleva certamente subordinato.
Confrontandosi con l’Europa e confondendo progresso scientifico con superiorità culturale, la Russia di Pietro ravviserà nel proprio passato solamente un peso e un ostacolo da cui liberarsi, e guarderà con ammirazione al mondo occidentale che sino ad allora aveva considerato con diffidenza e disprezzo. La Russia, che si era isolata dall’Occidente durante la dominazione tatarica e anche successivamente, si confronta ora di continuo con l’Europa …(Codevilla, p. 97)
Anche ad apparire religioso secondo gli schemi tradizionali e quindi partecipe ad alcuni riti tradizionali, Pietro è di fatto più portato all’irrisione e quindi nel mezzo delle sue crapule a organizzare feste licenziose nelle quali spesso si hanno orge blasfeme, che vengono sopportate, se non altro perché appaiono contestati i cattolici.
Ma lo spettacolo, più volte messo in scena, risulta sconcertante e disgustoso. Ed è indice di un animo cinico …
Pietro in sostanza, al di là degli eccessi che caratterizzano tutta la sua vita, nutre verso la Chiesa e la religione in generale una assoluta diffidenza, e ciò nonostante il fatto che egli si proclami credente, pur non comprendendo, a suo dire, le differenze tra ortodossia, cattolicesimo e protestantesimo e nonostante il fatto, invero, assai importante che a lui si debba il primo Manifesto sulla tolleranza religiosa … emanato il 16 aprile 1706, in cui si garantisce la libertà di culto in pubblico e in privato non solo nella società civile, ma anche nell’esercito. (Codevilla, p. 115)
Da riformatore della società russa non poteva non mettere mano anche alle questioni religiose e non poteva non muoversi nella linea di trasformazioni che intendevano modernizzare la società russa per portarla a rivestire le forme che lui aveva conosciuto nei suoi viaggi in Europa e secondo gli schemi acquisiti nelle compagnie che coltivava con vari confidenti stranieri. Ovviamente non è stata neppure questa una operazione facile e indolore, proprio perché le resistenze furono molteplici. Non si può pensare che egli volesse distruggere l’Ortodossia, ma certamente imprimerle un cambiamento che avrebbe potuto anche snaturarla. In modo particolare anticipa i tempi di certi fenomeni del laicismo successivo, muovendo contro i monasteri, che considera come una zavorra inutile, sia perché sono proprietari di terreni improduttivi, sia perché non partecipano alla rinascita del Paese, nella linea che lui voleva indicare un po’ a tutti. Lui però non cerca di impossessarsi dei beni della Chiesa, quanto piuttosto redarguisce i monaci perché nel loro voto di povertà vivono sulle spalle degli altri. Vuole che anch’essi contribuiscano al bisogno di soldi, che lo Stato ha, per finanziare le sue guerre, le sue riforme, le sue costruzioni. Ma ancora di più egli interviene sulla struttura gerarchica della Chiesa, arrivando persino ad abolire il Patriarcato e a sostituirlo con un Sinodo, che ovviamente doveva essere regolamentato da un funzionario di nomina regia. Lo faceva in nome dell’autorità che egli riteneva di avere direttamente da Dio, essendo stato incoronato zar, in un celebrazione religiosa.
Fra le tante cure connesse ai doveri della nostra autorità conferitaci da Dio – così scrive nel Manifesto del 25 gennaio 1721 – e concernenti il miglioramento del nostro popolo e quello degli altri Stati a noi soggetti, guardando al ceto ecclesiastico e vedendo in esso molti difetti e grande manchevolezza negli affari, noi abbiamo avuto un timore, non vano, ma che coinvolge la nostra coscienza, di essere ingrati all’Altissimo, se, avendo ricevuto solo da Lui aiuto nell’azione di correggere sia il ceto militare, sia quello civile, avessimo trascurato la correzione di quello ecclesiastico. E quando Egli , giudice retto, ci chiederà di dar conto a proposito di questo compito conferitoci da Lui non rimarremo senza una risposta. Per questo, tenendo presente l’immagine dei re devoti sia dell’Antico sia del Nuovo Testamento, prendendo cura di correggere il ceto ecclesiastico non vediamo un altro modo migliore tranne quello di un governo collegiale. Poiché una sola persona non è mai priva di attaccamento e inoltre quando il potere non è ereditario si diventa ancora più negligenti, noi istituiamo il Collegio ecclesiastico, cioè un governo ecclesiastico collegiale che, secondo il Regolamento che segue, avrà il potere di dirigere tutte le questioni ecclesiastiche nella Chiesa di tutta la Russia. (Codevilla, p. 125)
La Chiesa come struttura mastica amaro: non può impedire l’intervento dello zar, non può opporre resistenza con il rischio di una sorta di guerra civile; ma di fatto la riforma non riuscì ad attecchire, anche perché di lì a poco lo zar sarebbe morto. Rimane il fatto che anche nella Chiesa si è insinuata la prospettiva di dover apportare dei cambiamenti, per poter avere ancora una sua credibilità non solo dentro la gente di provincia e il mondo contadino.
CONCLUSIONE
Pietro non ebbe il tempo di vedere la tenuta e la prosecuzione dei suoi interventi riformatori, che avrebbero richiesto molti anni perché se ne vedessero i frutti. Gli ultimi anni sono turbati anche da un’ennesima congiura, annientata nel sangue, con la condanna a morte dello stesso figlio che era il successore designato. Così alla sua morte, l’8 febbraio 1725, il suo lavoro di riformatore non fu più continuato, anche se molte delle sue direttive rimasero in vigore. Indubbiamente il suo contributo alla storia della Russia è notevole e il seguito di essa ci dimostra che poi fu giocoforza continuare in quella linea, pur con tutte le resistenze. Per tanti versi egli ha pure anticipato la ventata di riforme che si avranno nel resto dell’Europa durante il secolo XVIII, anche se esse sono avvenute in un sistema rigido, contrassegnato da forzature, con le quali viene a mancare il costituirsi di una coscienza libera e costruttiva.
Eppure, bisogna riconoscere che anche con questa modalità la Russia, nel suo insieme, ne viene segnata; del resto si sono visti i frutti e certamente ne è emersa una potenza di tutto rispetto e soprattutto un Paese che, dopo aver ricevuto le novità dal resto dell’Europa, restituisce a sua volta un patrimonio anche culturale di notevole spessore, come stanno a dimostrare i secoli successivi fino ai no-stri giorni.
La nuova cultura laica importata in Russia ai tempi di Pietro il Grande era indubbiamente europea, anche se all’epoca nessuno pensava in tali termini: né i russi né gli europei ricorrevano a parole come “occidentalizzazione” o “europeizzazione”. Si pensava piuttosto che Pietro avesse portato l’istruzione e la cultura là dove regnava l’ignoranza, la luce al posto delle tenebre. Il termine “europeo”, inoltre, potrebbe risultare fuorviante, in quanto viene a nascondere le precise scelte compiute da Pietro e da altri russi nell’estrema varietà della cultura europea. I gusti personali dello zar erano inconsueti, per non dire altro. Egli possedeva quella che alcuni contemporanei definiscono una “mente matematica”, intendendo che era principalmente interessato a quella che allora era comunemente intesa come scienza matematica. Essa non comprendeva soltanto la co-noscenza teorica dei numeri ma anche meccanica, idraulica, scienza delle fortificazioni, geodetica, astronomia, architettura e molte altre discipline e tecniche che utilizzavano in varia misura la matematica. Nessun altro sovrano europeo … condivideva quegli interessi dello zar, che nutriva anche una vera passione per gli olandesi, la loro lingua, le navi, l’ingegneria e l’architettura, per non parlare della loro pittura. In generale, la sua cultura personale trasse ispirazione dall’Europa del Nord protestante, da cui prese in prestito l’impianto legislativo e amministrativo, l’organizzazione della flotta, le conoscenze ingegneristiche per la sua nuova capitale e molto altro ancora. I suoi architetti, tuttavia, erano soprattutto tedeschi o italiani, a dispetto delle sue preferenze olandesi, e i suoi scultori esclusivamente italiani. (Bushkovitch, p. 113)
BIBLIOGRAFIA
1.Paul Bushkovitch, BREVE STORIA DELLA RUSSIA, Einaudi, 2013
2.Giovanni Codevilla, CHIESA E IMPERO IN RUSSIA, Jaca Book, 2011
3.Henry Troyat, PIETRO IL GRANDE, Sanpaolo, 2003