LA DIDACHE’: IL PASTORE DI ERMA

PREMESSA:

SCRITTI DIDASCALICI

Fin dalle origini del Cristianesimo si è avvertita la necessità di comporre scritti da accompagnare alla fase orale delle predicazione itinerante, che vedeva gli Apostoli e i loro collaboratori impegnati nel bacino del Mediterraneo e anche altrove in Oriente per comunicare il Vangelo non ancora fissato in libri. Nel periodo in cui sono ancora vivi gli Apostoli, si fa, certo, memoria di ciò che Gesù ha detto e ha fatto, ma la composizione scrit-ta delle sue vicende e della sua predicazione si ha dopo la distruzione di Gerusalemme e la diaspora ebraica che ne segue. Ne deriva anche una più marcata separazione fra mondo ebraico e mondo cristiano, che comporta la definizione di una morale e di una liturgia nuova che devono caratterizzare i cristiani. Negli stessi vangeli si avverte l’esistenza di una polemica sempre viva ed accesa fra Gesù e i farisei: essa probabilmente apparteneva di fatto al periodo successivo, quando i cristiani devono più che mai distinguersi rispetto agli Ebrei, i quali del resto nel mondo romano costituiscono un problema politico non irrilevante per la loro resistenza ad accettare il dominio di Roma. Probabilmente in presenza di tensioni esistenti con gli Ebrei che resistono e spesso anche fanno ricorso ad attentati, chi derivava da loro, come i cristiani, fino ad allora legati alla celebrazione tenuta in sinagoga, sentiva l’esigenza di marcare la diversità, sia sotto il profilo dottrinario, sia sotto quello liturgico. Forse, questa necessità portava a segnalare presso i cristiani i tratti distintivi della propria dottrina e delle proprie adunanze celebrative: è una esigenza diffusa che dà origine a testi redatti con questi intenti e offerti alle diverse comunità sparse per tutto l’impero. I testi scritti devono servire alla comunità di riferimento perché possa regolarsi anche in presenza di interventi dell’autorità locale chiamata a vigilare circa le attività che si immaginavano sovversive da parte degli Ebrei e di coloro che apparivano ad essi affiliati. Ci si spiega così la presenza di alcuni libri che vogliono offrire un po’ di chiarezza sia nell’ambito della morale e soprattutto testi eucologici, cioè preghiere e formulari per le assemblee celebrative, al fine di garantire documenti sicuri che permettano di giustificare i riti e i comportamenti dei cristiani, non solo per l’organizzazione interna, ma anche per favorire attorno una migliore conoscenza del nuovo fenomeno religioso che già appariva diffuso.

Tali testi acquistano poi col tempo una certa autorevolezza, sia in termini apologetici, in vista della difesa nei confronti dell’auto-rità politica e della vigilanza che si faceva circa i fenomeni religiosi che, secondo Tacito confluivano a Roma come superstizioni perniciose, sia in termini didattici, per il servizio che svolgevano come educazione dei cristiani. Se vengono redatti dei libri, c’è da supporre che ci sia l’esigenza da parte di chi ha la possibilità di acquistarli e di leggerli, ma c’è da supporre che servissero soprattutto a coloro che avevano compiti di carattere educativo nei confronti dei nuovi aderenti al Cristianesimo. Nascono in questo contesto dei libri che appaiono ridotti all’essenziale, in quanto contengono ciò che serve alla formazione dei battezzati e in modo particolare a dare suggerimenti per le celebrazioni comunitarie. Dobbiamo considerarli di natura didattica, perché vengono utilizzati per l’insegnamento e contengono di fatto indicazioni e suggerimenti di natura morale e rituale, adatti ai singoli che li leggono, ma più giustamente a coloro che hanno compiti formativi nella comunità. Anche se a noi oggi possono sembrare dei catechismi, come quelli che sono pubblicati ad uso di quanti devono ricevere la formazione in ambito scolastico, essi sembrano più dei manuali per chi deve poi assicurare la formazione dei catecumeni che si preparano al battesimo, come pure dei già battezzati che non devono far decadere la propria formazione, la quale è da aggiornare continuamente. Questi libri compaiono quasi in contemporanea con gli ultimi testi oggi considerati rivelati e quindi inseriti nel canone biblico: in qualche ambiente sono considerati alla stregua dei testi sacri, mentre un po’ dovunque non sono accolti come tali, e proprio per questo, dopo il loro boom temporaneo, finiscono per sparire sia nell’uso, sia nella reputazione di testi autorevoli. Alcuni, ritenuti inizialmente come molto importanti e di largo uso, finiscono per sparire, senza che rimanga traccia nei secoli successivi; ricompaiono solo quando la ricerca storica, sviluppatasi nell’Ottocento, consente di ritrovare simili testi destinati all’oblio. Oggi essi rappresentano la segnalazione di una componente importante nella diffusione stessa del Cristianesimo, perché certamente simili opere hanno con-tribuito a formare generazioni di cristiani e soprattutto a indicare forme celebrative basilari ed elementi essenziali della dottrina, che avranno sviluppi ulteriori nel tempo. Quanto ancora oggi vi si legge, non si è radicato a costituire la base essenziale dei catechismi successivi e dei libri liturgici, e tuttavia da questi primi documenti si passa velocemente ad uno sviluppo particolarmente florido di manuali in questa direzione.

CATECHISMI E LIBRI LITURGICI

La presenza di testi, che possiamo già definire catechismi, anche a non avere l’uso che se ne fa oggi, o libri liturgici, che portano testi non più usati, se mai si è fatto ricorso a loro per le celebrazioni, dimostra che la comunità cristiana è ormai cresciuta, e che nel suo sviluppo ha bisogno di opere adeguate per sostenere il lavoro formativo dei nuovi adepti, e nello stesso tempo anche di quei libri che devono essere utili nella preghiera comune: qui è necessario che i testi redatti favoriscano una partecipazione davvero comunitaria, con formulari sempre più fissati per l’uso comune. A partire da simili testi ci si può fare un’idea dell’immagine che la Chiesa offre per le proprie riunioni liturgiche, finora lasciati alla fantasia di coloro che presiedevano. Ora invece ci sono dei testi che possono costi-tuire esempi concreti mediante i quali poi elaborare preghiere compatibili con il momento liturgico. Oltre ai testi da utilizzare c’è in questi scritti la preoccupazione di spiegare i gesti sacramentali, perché possano poi di-ventare significativi un po’ ovunque. Nasce così una nuova “letteratura”, con testi che sono destinati a trovare nuove espressioni, che poi si conso-lidano in un nuovo lessico, ma anche in un linguaggio particolare, che ri-chiede persone sempre più abilitate in questo nuovo settore. E si fa pure strada un’attività, come quella catechistica, che non è più sparita nella storia della Chiesa, pur risultando ancora embrionale. Essa è propriamente quella forma di istruzione che deve continuare anche dopo la preparazione al battesimo. Per arrivare a questo, è necessaria l’opera di prima evangelizzazione, che deve introdurre alla fede cristiana e alla scelta mo-rale conseguente. Proprio per questo prevale un intento di natura etica, con la proposta di una scelta di vita che fa desiderare il percorso lungo una via. Sentiamo dire nel libro degli Atti degli Apostoli che la scelta di divenire cristiani è di fatto la scelta di un particolare fede, che viene segnalata come una “via”, non ancora una “vita”: essa è dunque un percorso che deve comportare una scelta di campo e un impegno conse-guente e coerente. Si dà così importanza e valore alla norma da seguire e sono suggeriti comportamenti nell’ambito della sfera morale. Prende così importanza la norma da seguire, come se si trattasse di una nuova legge, analogamente a quello che si dice nel vangelo, con la proposta di un nuovo comandamento, che in realtà deriva da quello antico, da vivere comunque mediante una adesione interiore che fa operare secondo lo Spirito.

Qui abbiamo una prima sintesi, e quindi non un apparato organico di dottrina, che del resto non è ancora stata affrontata e codificata. Viene favorita invece la comunicazione di ciò che risulta essenziale e che ci si augura possa essere sempre più largamente comunicato per favorire sulla dottrina un sapere organico, ma soprattutto chiaro e condiviso. A questi compendi dottrinali poi si sostituiranno sussidi sempre più ampi e completi, soprattutto in presenza di sempre più facili cadute nell’errore e nell’eresia.

I primi testi, che già troviamo in giro alla fine del I secolo, ci danno l’immagine della comunità che ha visto venir meno gli Apostoli, facendo sparire coloro che erano ritenute le colonne della Chiesa: mancando coloro che lo avevano visto vivo, si ritiene opportuno fornire materiale che richiami l’essenziale e che di fatto garantisce un passaggio lineare della dottrina, in un periodo non facile, sia per la controffensiva del potere politico, sia per lo svilupparsi di ideologie diverse e di dottrine non sicure. La loro riscoperta in tempi recenti consente oggi di leggere con maggior completezza questo delicato periodo ed soprattutto fornire ciò che si ritiene essenziale e vitale del messaggio cristiano.

LA DIDACHE’

Per il titolo che ha il libretto, Didaché, dovremmo concepirlo come un te-sto didattico, e quindi la parola greca andrebbe tradotta con “insegna-mento”, che viene attribuito agli Apostoli, anche se non sono loro gli autori. Esso compare, secondo ciò che si ricava dal testo, già a partire dalla fine del I secolo, in concomitanza con alcuni testi del Nuovo Testamento, come può essere l’Apocalisse. Per il contenuto si deve riconoscere come il primo compendio di catechismo e, insieme, come la prima raccolta di alcuni testi che forse circolavano nell’ambiente liturgico. Per la stessa natura del testo che compone elementi diversi, non è neppure possibile dire in quale ambiente e a chi deve essere attribuita la composizione, che dunque appare anonima. Per alcuni particolari si può supporre che l’autore provenga dall’ambiente giudaico e che il luogo in cui può essere stato composto è quello della Palestina o della Siria. La natura morale e quella liturgica di alcuni passi lo fa ritenere una specie di manuale soprattutto per aiutare chi aveva responsabilità magisteriali in relazione al comportamento da tenere per la scelta di fede fatta e in relazione alla preghiera comunitaria che andava sviluppandosi un po’ ovunque.

Risultano evidenti due gruppi tematici: da una parte prevale l’esposizione di alcune norme di natura morale, dedotte dalla legislazione nota nell’ambiente ebraico; seguono alcune considerazioni circa i sacramenti (che non sono ancora i tradizionali sette), soprattutto in riferimento alle modalità celebrative e ai testi da usare on occasioni dei riti. Sulla base di questa presentazione, alcuni lo considerano il primo testo catechistico, anche se il contenuto non corrisponde al vero significato della parola “catechesi”, con la quale si intende la “risonanza” del contenuto evangelico, non più solo come esposizione storica di ciò che ha fatto il Cristo, ma come una indicazione dottrinale che deve poi tradursi in comportamento etico. Si possono così ravvisare due parti: quella morale e quella liturgica.

LA COMPONENTE MORALE

La parte morale invita a fare la scelta netta di campo, per cui il cristiano è chiamato a seguire la “Via”, che non è solo una strada comportamentale, ma è propriamente la persona stessa di Cristo, anche se nel tono e nei contenuti noi dovremmo pensare più a indicazioni di stampo etico. La scelta della via, che il vangelo definisce stretta, comporta il rifiuto della via alternativa che è invece quella diabolica, che conduce alla perdizione.

Capitolo I

1. Due sono le vie, una della vita e una della morte, e la differenza è grande fra queste due vie.

2. Ora questa è la via della vita: innanzi tutto amerai Dio che ti ha creato, poi il tuo prossimo come te stesso; e tutto quello che non vorresti fosse fatto a te, anche tu non farlo agli altri.

3. Ecco pertanto l’insegnamento che deriva da queste parole: benedite coloro che vi maledicono e pregate per i vostri nemici; digiunate per quelli che vi perseguitano; perché qual merito avete se amate quelli che vi amano? Forse che gli stessi gentili non fanno altrettanto? Voi invece amate quelli che vi odiano e non avrete nemici.

4. Astieniti dai desideri della carne. Se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra e sarai perfetto; se uno ti costringe ad accompagnarlo per un miglio, tu prosegui con lui per due. Se uno porta via il tuo mantello, dagli anche la tunica. Se uno ti prende ciò che è tuo, non ridomandarlo, perché non ne hai la facoltà.

5. A chiunque ti chiede, da’ senza pretendere la restituzione, perché il Padre vuole che tutti siano fatti partecipi dei suoi doni.  Beato colui che dà secondo il comandamento, perché è irreprensibile. Stia in guardia colui che riceve, perché se uno riceve per bisogno sarà senza colpa, ma se non ha bisogno dovrà rendere conto del motivo e dello scopo per cui ha ricevuto. Trattenuto in carcere, dovrà rispondere delle proprie azioni e non sarà liberato di lì fino a quando non avrà restituito fino all’ultimo centesimo.

6. E a questo riguardo è pure stato detto: Si bagni di sudore l’elemosina nelle tue mani, finché tu sappia a chi la devi fare.

Come si può notare nel testo, soprattutto da parte di chi ha familiarità con il testo biblico, ci sono evidenti citazioni desunte dal vangelo e armonizzate con una morale che deriva da espressioni proverbiali (come si evince al numero 6), con le quali si suggerisce un’etica naturale. Questo è ancora più evidente nel capitolo II, dove si sviluppano i dettati della legge mosaica con alcune precisazioni, che rivelano una cura del decalogo perché, come dice il vangelo, sia portato a pieno compimento.

Capitolo II

1. Secondo precetto della dottrina:

2. Non ucciderai, non commetterai adulterio, non corromperai fanciulli, non fornicherai, non ruberai, non praticherai la magia, non userai veleni, non farai morire il figlio per aborto né lo ucciderai appena nato; non desidererai le cose del tuo prossimo.

3. Non sarai spergiuro, non dirai falsa testimonianza, non sarai maldicente, non serberai rancore.

4. Non avrai doppiezza né di pensieri né di parole, perché la doppiezza nel parlare è un’insidia di morte.

5. La tua parola non sarà menzognera né vana, ma confermata dall’azione.

6. Non sarai avaro, né rapace, né ipocrita, né maligno, né superbo; non mediterai cattivi propositi contro il tuo prossimo.

7. Non odierai alcun uomo, ma riprenderai gli uni; per altri, invece, pregherai; altri li amerai più dell’anima tua.

Nel capitolo I si fa riferimento alla via da scegliere, che sulla base del contenuto dovremmo pensare sia effettivamente una indicazione da prendere nell’ambito della dottrina morale. E qui la scelta riguarda i rapporti che si devono sviluppare fra le persone: la scelta della via del Signore, che dovremmo pensare sia il Signore stesso, più che non una sua norma, poi comporta relazioni fra persone costruite sulla carità, che si deve precisare andando ben oltre la sola lettera dei comandamenti mosaici. Di per sé va rilevato che comunque queste norme morali hanno ancora un formulario che fa ricorso ai divieti più che non ai suggerimenti in chiave positiva.

Anche da questo dettaglio si deve riconoscere la provenienza del libretto da un ambiente ebraico, nel quale la dottrina morale è sempre costruita su ciò che si trova scritto nelle tavole mosaiche. Qui ancora manca una visione più positiva, quella che fa agire sulla base dello Spirito e non tanto della legge naturale, pur importante. Seguono nei capitoli successivi ulteriori determinazioni che devono poi concludersi con il richiamo alla confessione dei propri peccati, quella che si fa nell’adunanza, come dice il testo, e non è quindi da confondere con quella praticata successivamente nell’audizione personale tra il peccatore e il confessore. Al capitolo V viene introdotto il discorso che riguarda la via del male.

Capitolo V

1. La via della morte invece è questa: prima di tutto essa è maligna e piena di maledizione: omicidi, adultéri, concupiscenze, fornicazioni, furti, idolatrie, sortilegi, venefici, rapine, false testimonianze, ipocrisie, doppiezza di cuore, frode, superbia, malizia, arroganza, avarizia, turpiloquio, invidia, insolenza, orgoglio, ostentazione, spavalderia.

2. Persecutori dei buoni, odiatori della verità, amanti della menzogna, che non conoscono la ricompensa della giustizia, che non si attengono al bene né alla giusta causa, che sono vigilanti non per il bene ma per il male; dai quali è lontana la mansuetudine e la pazienza, che amano la vanità, che vanno a caccia della ricompensa, non hanno pietà del povero, non soffrono con chi soffre, non riconoscono il loro creatore, uccisori dei figli, che sopprimono con l’aborto una creatura di Dio, respingono il bisognoso, opprimono i miseri, avvocati dei ricchi, giudici ingiusti dei poveri, pieni di ogni peccato. Guardatevi, o figli, da tutte queste colpe.

Questi comportamenti negativi, che corrispondono – ma qui sono in numero maggiore – a ciò che troviamo scritto nel vangelo di Marco, laddove si parla di ciò che proviene dal Maligno, e che esce da un cuore occupato dal male con le intenzioni negative, visto che tutto viene dal di dentro, sono ulteriormente precisati con azioni che rivelano un animo doppio, un modo di operare dominato dall’ingiustizia e dall’impostura.

LA COMPONENTE LITURGICA

Nella parte successiva prevale la componente liturgica con segnalazioni che vogliono precisare gesti e parole da usare durante le convocazioni rituali. Si parla del battesimo e poi del digiuno e della preghiera, come vediamo trattato nel discorso della Montagna riportato in Matteo 5-7.

Qui, oltre alla segnalazione del “Padre nostro”, citato integralmente, vengono riportate due preghiere che noi definiamo eucaristiche, perché fanno riferimento al pane e al vino consacrati, senza però che compaia la formula consacratoria.

Capitolo IX

1. Riguardo all’eucaristia, così rendete grazie:

2. Dapprima per il calice:

Noi ti rendiamo grazie, Padre nostro, per la santa vite di David tuo servo, che ci hai rivelato per mezzo di Gesù tuo servo. A te gloria nei secoli.

3. Poi per il pane spezzato:

Ti rendiamo grazie, Padre nostro, per la vita e la conoscenza che ci hai rivelato per mezzo di Gesù tuo servo. A te gloria nei secoli.

4. Nel modo in cui questo pane spezzato era sparso qua e là sopra i colli e raccolto divenne una sola cosa, così si raccolga la tua Chiesa nel tuo regno dai confini della terra; perché tua è la gloria e la potenza, per Gesù Cristo nei secoli.

5. Nessuno però mangi né beva della vostra eucaristia se non i battezzati nel nome del Signore, perché anche riguardo a ciò il Signore ha detto: Non date ciò che è santo ai cani.

Capitolo X

1. Dopo che vi sarete saziati, così rendete grazie:

2. Ti rendiamo grazie, Padre santo, per il tuo santo nome che hai fatto abitare nei nostri cuori, e per la conoscenza, la fede e l’immortalità che ci hai rivelato per mezzo di Gesù tuo servo. A te gloria nei secoli.

3. Tu, Signore onnipotente, hai creato ogni cosa a gloria del tuo nome; hai dato agli uomini cibo e bevanda a loro conforto, affinché ti rendano grazie; ma a noi hai donato un cibo e una bevanda spirituali e la vita eterna per mezzo del tuo servo.

4. Soprattutto ti rendiamo grazie perché sei potente. A te gloria nei secoli.

5. Ricordati, Signore, della tua Chiesa, di preservarla da ogni male e di renderla perfetta nel tuo amore; santificata, raccoglila dai quattro venti nel tuo regno che per lei preparasti. Perché tua è la potenza e la gloria nei secoli.

6. Venga la grazia e passi questo mondo. 

Osanna alla casa di David.

Chi è santo si avanzi, chi non lo è si penta.

Maranatha. Amen.

7. Ai profeti, però, permettete di rendere grazie a loro piacimento.

Questi sono i passi più famosi del libretto, perché riportano i primi testi usati nelle assemblee liturgiche cristiane: si tratta di preghiere eucaristiche, che tuttavia non possiamo paragonare a quelle oggi in uso, mancando l’essenziale della formula di consacrazione. Sono però impostate come rendimento di grazie e si concludono con la glorificazione, come si riscontra nella dossologia finale, quando, elevando al cielo pane e vino consacrati, si dà gloria al Padre per opera di Cristo: lì si vede e si vive il suo sacrificio come offerta data a Dio. E proprio l’aspetto sacrificale dell’Eucaristia è ribadito con estrema chiarezza in questo testo, che assume una notevole rilevanza circa il valore che si deve dare al sacramento dell’Eucaristia nella vita del cristiano.

Capitolo XIV

1. Nel giorno del Signore, riuniti, spezzate il pane e rendete grazie dopo aver confessato i vostri peccati, affinché il vostro sacrificio sia puro.

2. Ma tutti quelli che hanno qualche discordia con il loro compagno, non si uniscano a voi prima di essersi riconciliati, affinché il vostro sacrificio non sia profanato.

3. Questo è infatti il sacrificio di cui il Signore ha detto: In ogni luogo e in ogni tempo offritemi un sacrificio puro, perché un re grande sono io – dice il Signore – e mirabile è il mio nome fra le genti.

Come è detto con chiarezza, la riunione per l’eucaristia deve avvenire nel giorno del Signore e si deve caratterizzare per il gesto più importante che è lo spezzare del pane, con cui nei primi tempi viene definita questa celebrazione. Prima di essa è necessario fare la “confessione” dei peccati; in realtà qui si dice quanto è scritto nel vangelo e richiamato da Paolo per una corretta partecipazione alla mensa eucaristica e cioè la riconciliazione con i fratelli di fede, quando si è creata una discordia o una divisione. Propriamente non si fa riferimento alla necessità di premettere la confessione dei peccati mediante il sacramento, quanto piuttosto di rendere più vera la partecipazione alla comunione con il Signore, mediante la comunione con gli uomini, soprattutto se fratelli nella fede.

IL VALORE DELLA DIDACHE’

La “Didaché” appare un libretto di notevole valore storico, perché, comparendo fin dai primi tempi della vita della Chiesa, ci rivela che tra le cose essenziali della religione cristiana, già diffusa, si riconoscono come primarie quello della istruzione, o catechesi (che deve puntare a far operare una scelta di vita con la decisione per una via da considerarsi alternativa a quella del male) e quello della liturgia da celebrare nel giorno della domenica soprattutto come rendimento di grazie e quindi come sacrificio. Abbiamo qui richiamato l’essenziale; e questo è assolutamente irrinunciabile, in quanto viene riconosciuto come costitutivo della Chiesa, come decisivo perche essa sia fedele al Maestro e sia fedele nella sua tradizione. Poi le modalità celebrative possono modificarsi nel tempo, senza tuttavia rinunciare all’essenziale, così come la catechesi potrà trovare altri argomenti, destinati comunque a far decidere per la scelta della sola via possibile, quella di Dio, contenuta nel Vangelo, e di fatto identificabile con la persona stessa di Cristo.

IL PASTORE DI ERMA

È un altro libretto dei primi tempi della vita della Chiesa, scritto probabilmente nei primi anni del II secolo, e quindi coevo alle lettere di Ignazio, avendo in comune il medesimo clima di persecuzione che dominava in quel periodo. È un testo fortemente caratterizzato dal linguaggio di genere apocalittico, non tanto perché parla degli eventi finali, quanto perché, ricorrendo alle visioni, suggerisce, con una certa forza evocativa, la modalità giusta per reagire al male e per costruire un futuro migliore. Il linguaggio usato e il ricorso alle visioni somiglia molto a quello che noi riscontriamo nell’Apocalisse, ultimo libro della Rivelazione, attribuito all’evangelista Giovanni. Come già in quel testo, anche qui si respira un clima di tensione, che non viene attribuito alla sola persecuzione proveniente dall’esterno, quanto a ciò che si vive all’interno della Chiesa, in cui si fanno strada la stanchezza, la debolezza, l’incapacità a vivere nella giusta passione la propria testimonianza di fede. Si ipotizza che questo clima non sereno appartenga alla comunità cristiana di Roma e delle sue vicinanze: il libro registra uno stato d’animo non sereno, per il quale si deve supporre che non tutto fosse roseo e promettente, anche se non mancavano gli “eroi”, coloro cioè che, passando dalla persecuzione e vivendo il martirio di sangue, rivelavano una grande forza d’animo. Non così era invece per la maggioranza dei cristiani, spesso tentati di desistere, dopo la prima adesione. Se si avverte la necessità di scrivere il libro, si deve supporre che vi sia un clima da svelenire e ce ne debba essere un altro da costruire in cui non ci siano critiche o attacchi frontali, ma interventi che consentano il recupero, senza l’esasperazione degli animi.

E così si ricorre a cinque visioni e a dieci similitudini o parabole, inframmezzate da dodi-ci precetti, che costituiscono le indicazioni da offrire per la rinascita della comunità cristiana con un vivere migliore e più stabile. Il tono usato da chi scrive non è quello dell’intervento censorio o addirittura minaccioso: mediante la forma dialogica si vuole piuttosto recuperare, insieme con chi sbaglia, un clima di relazioni più corrette e più serene, per avere una Chiesa all’altezza della sua missione. Il protagonista, considerato l’autore del libretto, è un certo Erma, non meglio identificato. Origene, scrittore del III secolo, lo individua in un Erma citato da Paolo nella lettera ai Ro-mani, quando, tra i vari personaggi che saluta, spunta anche questo nome, senza che sia chiarito chi egli sia. Ciò che possiamo conoscere dell’autore lo desumiamo dal testo, anche a sapere che le vicende narrate hanno un forte sapore allegorico e definiscono una situazione che riguarda un po’ tutti. Secondo altre fonti questo personaggio misterioso che porta il nome di Erma, sarebbe fratello di Papa Pio I (140-154), vissuto in un periodo piuttosto turbolento, per la presenza nella Chiesa di vari eretici con un largo seguito. Se esiste questa parentela fra i due, si deve supporre che all’autore del libretto, divenuto un testo rilevante in quel periodo storico, si volesse dare un certo peso, collegandolo con l’autorità suprema della Chiesa romana di quel tempo. Ma il testo non richiedeva simili supporti, visto che esso ebbe diffusione e risonanza notevoli, soprattutto per i contenuti e anche per la modalità con cui questi vengono proposti.

Prima Visione

Chi mi aveva allevato a Roma mi vendette a una certa Rode (si noti la corrispondenza del nome della serva della casa di Marco a Gerusalemme, dove Pietro liberato dal carcere va a stabilirsi durante la notte, accompagnato dall’angelo che lo ha liberato, come si racconta in Atti 12). La ritrovai dopo molti anni e incominciai ad amarla come sorella. Trascorso qualche tempo, la vidi che si bagnava nel fiume Tevere, le diedi la mano e la tirai dal fiume. Vedendo la sua bellezza, dissi nel mio cuore: “Sarei felice se avessi una moglie come questa per bellezza e per carattere”. Desideravo solo ciò e null’altro. Qualche tempo dopo, mentre andavo verso Cuma, contemplando le opere di Dio perché grandi, splendide e potenti, mi addormentai lungo la strada. Uno spirito mi prese e mi portò in una parte impraticabile per dove l’uomo non poteva camminare. Era un luogo dirupato e franato dalle acque. Attraversando il fiume, venni alla pianura e piegando le ginocchia incominciai a pregare il Signore e a riconoscere i miei peccati. Mentre pregavo, il cielo si spalancò e vidi quella donna, che avevo desiderato, salutarmi dicendomi: “Salve, Erma”.

Fissando lo sguardo su di essa le chiesi: “Signora, che fai tu là?”. Essa mi rispose: “Sono stata elevata in cielo per accusare i tuoi peccati al Signore”. Soggiungo: “Ora tu sei mia accusatrice?”. “No, dice, ascolta le parole che voglio dirti”. Dio che abita nei cieli e fece da ciò che non era le cose che sono, moltiplicandole e accrescendole per la sua santa Chiesa, è adirato con te perché hai peccato contro di me”. Rispondendo le dico: “Ho peccato contro di te? In che modo? Quando ti ho detto una parola sconveniente? Non ti ho sempre considerato come una creatura divina? Non ti ho sempre rispettato come una sorella? Come mai, inventi, o donna, tali cattiverie e brutture?”. Sorridendo mi dice: “Nel tuo cuore salì il desiderio della cattiveria. Non ti sembra che sia cosa malvagia per un uomo giusto, che un desiderio cattivo entri nel suo cuore? È un grande peccato, dice. Infatti l’uomo giusto desidera le cose giuste, e col volere le cose giuste, la sua gloria si dirige ai cieli ed ha propizio il Signore in ogni cosa. Quelli che nel loro cuore vogliono cose malvagie si preparano la morte e la schiavitù; soprattutto chi si afferra a questo mondo, magnifica le sue ricchezze e non si preoccupa dei beni futuri. Si pentiranno le anime di coloro che non hanno speranza ma hanno disperato di sé e della loro vita! Ma tu prega Dio ed egli guarirà i tuoi peccati, quelli di tutta la tua casa e di tutti i fedeli”.

Già in questa prima visione emerge la questione di fondo del libretto, che riguarda il peccato: non si tratta solo di un peccato personale, quanto piuttosto di una situazione che coinvolge un po’ tutti nella Chiesa, dove l’adesione, inizialmente fervorosa, lascia presto il posto alla fragilità, alla mancanza di fedeltà, alle cadute. Di qui il richiamo deciso al pentimento e alla conversione che deve accompagnare il vivere del credente. Costui rimane tale anche a rivelarsi debole, e tuttavia deve anche imparare a riconoscere la sua fragilità e a fare opera penitenziale, richiamando in continuazione ciò che risulta essenziale al vivere di fede. Di qui la visione finale, durante la quale compare colui che dà il titolo all’operetta e cioè il Pastore: costui fornisce ad Erma i precetti che devono essere richiamati perché il cristiano si converta.

Quinta visione: Osservare i precetti

In casa, dopo che ebbi pregato e mi fui seduto sul letto, entrò un uomo di volto venerando, nelle sembianze di pastore. Era vestito di una bianca pelle di capra, con la bisaccia sulle spalle e il bastone in mano. Mi salutò e risposi al suo saluto. Subito mi si sedette vicino e disse: “Sono stato inviato dall’angelo più venerabile per abitare con te i rimanenti giorni della tua vita”.

Pensai che fosse a tentarmi e gli dissi: “Tu chi sei? Io so a chi fui affidato”. Egli mi risponde: “Non mi riconosci?”. “No, dico”. ” Io sono, riprese, il pastore cui fosti affidato”. Mentre parlava la sua figura cambiò e riconobbi che era quello a cui fui affidato. Rimasi subito confuso, mi prese la paura e mi sentii tutto schiacciato dall’angoscia, perché gli avevo risposto malamente e con stoltezza. Egli mi disse: “Non ti confondere e fatti coraggio per i precetti che sto per darti. Infatti, aggiunse, fui mandato per mostrarti nuovamente tutte le cose che in precedenza hai viste, le principali che sono per voi utili. Prima di tutto scrivi i miei precetti e similitudini, e le altre cose come te le mostrerò, così le scriverai. Per questo ti ordino di scrivere prima i precetti e le similitudini perché tu subito li legga e li possa osservare”. Scrissi, dunque, i precetti e le similitudini come mi aveva ordinato. Se voi, dopo averli sentiti, li osserverete e, camminando nella loro via, li metterete in pratica con cuore puro, conseguirete dal Signore quanto vi ha promesso. Se, invece, dopo averli sentiti non vi pentirete, tornando ai vostri peccati, riceverete dal Signore il contrario. Il pastore, l’angelo della penitenza, mi ordinò così di scrivere tutte queste cose.

Rilevando queste parole e questo tono narrativo si deve riconoscere che il libretto prende posizione su un problema non indifferente che ha scosso la Chiesa per parecchio tempo: già nel periodo più drammatico delle persecuzioni si era acceso un vivo dibattito circa i “lapsi”, come venivano chiamati coloro che erano caduti e avevano preferito rinnegare la fede piuttosto che venire torturati e uccisi. Erano definiti così anche quelli che, senza rinnegare, avevano deciso di nascondersi per non essere catturati e sottoposti a processo. La discussione, piuttosto animata, aveva coinvolto un po’ tutti nella Chiesa, compresi coloro che avevano responsabilità come vescovi, tenuto conto che alla metà del III secolo, sono proprio loro ad essere perseguiti per legge nel vano tentativo da parte delle autorità politiche di scardinare il sistema, eliminando i capi e disperdendo gli altri. Il caso più clamoroso era stato quello di S. Cipriano, vescovo di Cartagine, uomo ricco e notabile della città, divenuto famoso nel mondo cristiano come un notevole scrittore. Costui era stato invitato dalla comunità locale a nascondersi; poi, rientrato, si era difeso e aveva suggerito la linea da te-nere nella Chiesa in presenza di simili casi. Successivamente anche lui fu preso, processato e condotto al martirio, avvenuto il 14 settembre 258, di cui abbiamo una fedele ricostruzione. Il Pastore di Erma, che dovrebbe essere anteriore a questo periodo, tratta la medesima questione.

L’indicazione che suggerisce è quella della comprensione nei confronti dei deboli, i quali, ovviamente, si devono pentire e sono invitati a riconoscere la loro debolezza, sottoponendosi ad un periodo di penitenza per poter essere ri-ammessi. Non era ancora in uso la Confessione dei peccati, come viene oggi praticata, e cioè ricorrendo al prete, in presenza del quale dire le proprie colpe per avere l’assoluzione; allora questa era assicurata di fatto verso il termine della vita quando questa sembrava imminente. Evidentemente, in presenza di un peccato ben noto, perché pubblico, potevano sorgere tensioni nella comunità; proprio per questo si farà strada l’idea di una Confessione, che inizialmente è pubblica e che poi diventa sempre più privata. Rimaneva comunque la delicatezza di un problema non indifferente circa il trattamento di coloro che risultavano deboli davanti alla persecuzione e che potevano chiedere di essere riammessi, una volta passata la bufera. Di faceva strada poi il riconoscimento della debolezza nel vivere le esigenze della vita cristiana e proprio per questo cresceva il sen-so di frustrazione per chi sbagliava, ma anche la diffidenza nei confronti di chi appariva sempre incapace di reggere nei suoi impegni e nella sua immagine di credente. Per quanto fossero anche diffuse le eresie e quindi posizioni che non si faticava a riconoscere sbagliate, perché deviate e devianti, qui la questione riguarda soprattutto “ad intra”, cioè la posizione dei credenti che peccavano: forse alcuni si portavano il complesso della propria inadeguatezza; altri vivevano come una sorta di scandalo la presenza nella comunità di persone, incapaci di reggere nelle situazioni difficili, anche per colpa delle proprie intemperanze,. Se si considerano i precetti indicati dal Pastore, si scopre che appunto vengono enumerati quei modi di essere e di operare che sono da considerare come peccati e che sono all’ordine del giorno un po’ per tutti e che evidentemente possono creare tensioni anche nelle relazioni tra fratelli di fede. Si stigmatizza la maldicenza, in testa a questi comportamenti negativi, segno evidente che questo male appare radicato e rovinoso per una comunità che deve dare una bella testimonianza di sé, soprattutto nella coerenza con le scelte essenziali derivate dal comandamento della carità. E non manca il richiamo alla verità, come pure l’invito alla castità, segno che su questi terreni Erma deve riconoscere le sue radicate debolezze. Esse però non appartengono solo a lui, perché lui rappresenta una generazione che si rivela quanto mai debole e soprattutto incapace di un serio pentimento e di una altrettanto seria conversione.

Il richiamo dei precetti che viene fatto dal Pastore può aiutare a vincere i mali, o quanto meno a risollevarsi quando si è caduti rivelando non solo la sincerità d’animo, ma la ricerca continua dello Spirito di Dio. È interessante la pagina nella quale viene evocata la presenza nella comunità del falso profeta: costui sembra essere un personaggio di rilievo nella comunità, forse un capo, forse lo stesso vescovo di Roma, il Papa, che non si rivela tale, se non è lo Spirito a parlare in lui. Così va riconosciuto chi è il vero profeta: il criterio qui suggerito è già presente nella Bibbia, quando si tratta dell’argomento e perciò il libretto si rivela ancorato a questa tradizione che va ribadita anche nel contesto cristiano in un momento che risulta piuttosto problematico.

Undicesimo precetto: Il falso profeta

Mostrandomi uomini seduti su una panca e un uomo seduto su di una cattedra mi dice: “Vedi quelli che siedono sulla panca?”. “Vedo, signore”. Mi precisa: “Questi sono i fedeli, e quello che è seduto sulla cattedra è un falso profeta che rovina la mente dei servi di Dio. Rovina, cioè, la mente dei dissociati, non dei fedeli. I dissociati vanno da lui come da un mago e gli chiedono che cosa accadrà loro. Il falso profeta, non avendo forza alcuna dello Spirito di Dio, risponde secondo le domande e le passioni della loro iniquità e soddisfa le loro anime come essi vogliono. Essendo egli vano, cose vane dice ai vani. Su ciò che gli si domanda, risponde con la vanità dell’uomo. Dice anche cose vere. Il diavolo, infatti, lo riempie del suo spirito, con lo scopo di piegare qualche giusto. Quanti, dunque, sono forti nella fede del Signore, poiché sono rivestiti di verità non aderiscono agli spiriti malvagi, ma se ne allontanano. Quanti, invece, sono incerti e si convertono spesso, si rivolgono agli indovini come i pagani ed acquisiscono un peccato maggiore divenendo idolatri. Chi interroga un falso profeta su qualche faccenda, è un idolatra, uno privo di verità, un insulso. Infatti, ogni spirito dato da Dio non si fa interrogare, ma avendo la forza divina, da sé dice ogni cosa poiché è dall’alto, dalla potenza dello Spirito di Dio. Invece, lo spirito che si fa interrogare e si pronunzia secondo le passioni degli uomini, è terreno, leggero e non ha forza. Addirittura non parla se non è interrogato”. Chiedo: “Come, o signore, l’uomo distinguerà chi è profeta da chi è falso profeta?”. “Ascolta, e di entrambi i profeti, come ti sto per dire, valuterai il profeta e il falso profeta. Dalla vita distingui l’uomo che ha lo Spirito di Dio. Prima, chi ha dall’alto lo Spirito è calmo, sereno, umile e lontano da ogni malvagità e desiderio vano di questo secolo. Egli considera se stesso inferiore a tutti gli uomini e, interrogato, non risponde a nessuno, né parla come una monade. Lo Spirito Santo non parla quando l’uomo vuole, ma solo quando Dio vuole che parli.

Quando un uomo che ha lo Spirito di Dio entra in una riunione di uomini giusti, che hanno la fede dello Spirito di Dio, e c’è la preghiera della riunione di quegli uomini a Dio, allora l’angelo dello spirito profetico, che dimora in lui, riempie l’uomo, e quell’uomo pieno dello Spirito Santo parla alla moltitudine come il Signore vuole. Così si manifesta lo spirito divino. Tale è la potenza del Signore sullo spirito divino.

L’autore che immagina di ricevere i precetti a partire dalle visioni che ha, si rende conto che le indicazioni proposte sono molto impegnative e che chi ha responsabilità di governo può trovarsi in difficoltà a dare simili indicazioni, visto che la stessa autorità nella Chiesa è fatta di persone fragili, portate a sbagliare: non possono erigersi a giudici implacabili verso gli erranti e devono dunque esercitare la misericordia. Questa però non deve affatto significare che vengano diluite le richieste, che la proposta cristiana debba essere annacquata. Il Pastore è molto chiaro con lo stesso Erma e, quindi, con coloro che esercitano nella Chiesa la loro autorità: i precetti, per quanto siano duri, devono essere osservati; anzi, la consapevolezza che essi sono molto impegnativi deve indurre ad andare fino in fondo.

Al termine dei dodici precetti

Terminati i dodici precetti, mi dice: “Questi sono i precetti, cammina nella loro via e prega quelli che ascoltano che la loro conversione sia pura per i rimanenti giorni della loro vita. Adempi con cura il ministero che ti affido e opererai molto. Sarai gradito a quelli che vogliono convertirsi e crederanno alle tue parole. Sarò con te e li indurrò a credere”. Gli chiedo: “Questi precetti sono grandi, belli, eccellenti, e possono rallegrare il cuore dell’uomo che può osservarli. Non so, o signore, se questi precetti possono essere os-servati dall’uomo, poiché sono troppo duri”. Rispondendo mi dice: “Se sei convinto che si possono osservare, li osserverai senza difficoltà e non saranno duri. Se, invece, si insinua nel tuo cuore che non possono essere osservati dall’uomo, non li osserverai. Ora ti dico: se non li osserverai, ma li trascuri, non avrai salvezza né tu, né i tuoi figli, né la tua casa poiché tu hai ritenuto che questi precetti non possono essere osservati dall’uomo”.

Sulla base di un simile intervento da parte del Pastore si potrebbe concludere che il libro si presenta scritto con particolare severità, come un manuale di precetti che non possono essere disattesi. Ed invece il libretto è all’insegna della misericordia; è stato scritto per aiutare la comunità cristiana a superare la tensione che si può creare in presenza di posizioni rigide e di pretese che possono dare origine a forme settarie.

L’autore fa intervenire “il Pastore”, il vero protagonista del libretto, per stemperare una impressione di severità che, se riguarda l’osservanza dei precetti, non deve comunque diventare un indurimento del cuore da parte di nessuno, soprattutto da chi esercita nella Chiesa l’autorità.

Mi disse queste cose con uno sdegno tale che rimasi sconvolto ed ebbi molta paura. Il suo aspetto si alterò in modo che un uomo non poteva sostenere la sua ira. Vedendomi tutto disorientato e confuso, incominciò a parlarmi con più moderazione e dolcezza e mi disse: “Insulso, dissennato e incerto, non sai che la gloria di Dio è grande, forte e stupenda? Egli non creò il mondo per l’uomo e tutta la sua creazione sottomise all’uomo dandogli il potere di dominare ogni cosa che è sotto il cielo? Se, dunque, dice, l’uomo è il signore di tutte le creature di Dio e su tutte domina, non può dominare anche questi precetti? Può, precisa, dominare tutti questi precetti solo l’uomo che ha il Signore nel suo cuore. Quelli che hanno il Signore sulle labbra, ma il cuore indurito, sono assai lontani da Dio e per loro questi precetti sono duri e inattuabili. Mettete il Signore nel vostro cuore, voi che siete vani e leggeri nella fede, e credete che nulla è più facile più dolce e più mite di questi precetti. Pentitevi, voi che camminate nei precetti del diavolo, difficili, aspri, duri e licenziosi e non temete il diavolo perché non ha forza contro di voi. Sarò con voi io, l’angelo della penitenza che lo domina. Il diavolo incute solo paura e la sua paura non ha forza. Non temetelo, dunque, e fuggirà da voi”.

È interessante l’indicazione che l’autore suggerisce mettendola in bocca al Pastore: dal Creatore l’uomo è stato fatto signore del creato stesso e quindi deve dominare; il suo dominio non deve però tramutarsi in “spadroneggiamento”, che fa uscire dalla “padronanza di sé”: il vero signore ha padronanza di sé e come tale può avere padronanza dei precetti stessi. Viene rovesciato lo schema per cui il precetto sembra una tale imposizione da imbrigliare l’uomo costretto a fare e non chiamato ad essere responsabile di sé. Ed è ancora più forte l’affermazione successiva nella quale lo scrittore offre un criterio valido anche oggi: chi ha il cuore indurito, e dunque impone un fardello pesante senza misericordia sugli altri, anche a sostenere di essere un credente in Dio e quindi ad avere sulla bocca il nome di Dio, è di fatto assai lontano da lui e come tale i suoi precetti non possono essere divini, perché questi sono dati da un Dio esigente e nello stesso tempo misericordioso, un Dio, che essendo Padre, tratta i suoi figli con severità, perché chiede ad essi ciò che lui stesso chiede a sé, ma nel contempo sa capire la debolezza dei figli e quindi li sa incoraggiare sempre al bene, sempre al meglio.

La conclusione a cui arriva il libro è quella di avere fiducia, perché anche a dover osservare precetti impegnativi, la grazia di Dio dà una mano: non potrebbero essere “comandamenti”, se Dio facesse mancare la sua mano, mai pesante. Soprattutto, afferma il Pastore, il cuore deve essere puro, secondo il senso vero di questa parola e cioè una coscienza di sé impostata su ciò che dice Dio e non sulle proprie emozioni o reazioni istintive.

LE SIMILITUDINI

Alle visioni e ai precetti seguono le similitudini, che sembrano parabole evangeliche, mediante le quali gli stessi temi e le medesime argomentazioni date in precedenza vengono come stemperate e chiarite ricorrendo ad alcuni esempi, dal sapore di una favola, atti a far comprendere meglio ciò che l’autore vuole insegnare nel suo libretto. Significativa nella sua brevità è la terza similitudine, nella quale si parla delle piante che d’inverno sembrano tutte uguali, sia quelle che non hanno vegetazione per la stagione, sia quelle che sono allo stesso modo perché già morte. Il mondo, compreso quello attuale, ci rivela la compresenza, come nella parabola del buon grano e della zizzania, sia dei giusti sia degli ingiusti. Anche se non sembrano avere rilevanza, i giusti sono presenti e proprio per questo è sempre possibile vivere secondo Dio, così come la presenza di chi sbaglia ci aiuta a riconoscere la comune debolezza e la necessità del ricorso all’unico veramente misericordioso, che è Dio.

Terza similitudine: Gli abitanti di questo mondo

Mi mostrò molti alberi senza foglie, che mi sembravano quasi secchi. Erano tutti uguali. Mi dice: “Vedi questi alberi?”. “Li vedo tutti uguali e secchi”. Mi risponde: “Gli alberi che vedi sono gli abitanti di questo mondo”. “Perché sono come secchi e uguali?”. “Perché in questo mondo non si vedono né i giusti né i peccatori, ma sono uguali. Questo mondo è un inverno per i giusti e non si vedono perché abitano con i peccatori. Come nell’inverno gli alberi perdono le foglie e sono uguali e non si vedono quali sono secchi e quali vegeti, così in questo mondo non si vedono né i giusti né i peccatori, ma tutti sono uguali”.

CONCLUSIONE

Come si può notare dai due libretti, comparsi agli inizi non facili del per-corso della Chiesa dentro la storia umana, c’è una specie di letteratura sotterranea, o poco nota e soprattutto poco considerata, che propone questioni di un certo spessore, su cui il dibattito, mai concluso, può offrire, se non soluzioni ai problemi, vie da perseguire. Trattandosi di testi che fanno parte del patrimonio della Chiesa e che riguardano problemi interni alla comunità cristiana, si potrebbe concludere che interessano solo quanti frequentano la Chiesa o che risultano addetti ai lavori; simili testi affiorano laddove si vanno a cercare anche i piccoli dettagli di storia. Poi però si può scoprire che anche oltre le questioni temporanee e locali, ci sono problemi che toccano il vivere umano e la convivenza fra le persone e che richiedono un approccio meno sbrigativo e ideologico per far raggiungere al vivere sociale un equilibrio che spesso manca. La Didaché è specifica con le sue indicazioni morali e liturgiche; e tuttavia anche al di fuori della Chiesa c’è bisogno di ritrovare un insegnamento circa i valori fondamentali e nel contempo anche una maniera meno retorica in riferimento alle celebrazioni civili, pur sempre significative per il cammino di un popolo. Nella Chiesa e nella società è più che mai necessario il recupero di valori e anche di modalità particolari perché gli stessi valori possano essere trasmessi in maniera utile e costruttiva del senso sociale, oggi piuttosto deficitario. Anche per “Il Pastore di Erma” il problema affrontato riguarda un periodo particolare della storia della Chiesa, che poi appare tramontato. In realtà, se si considera la questione di chi sbaglia e di chi giudica in modo impietoso gli erranti, ci si rende conto che anche oggi, sia a livello religioso, sia a livello civile, risulta indifferibile il problema di come si valutano le questioni, soprattutto quando ci si trova in presenza di scontri per i quali non è più possibile il compromesso, la negoziazione, il rispetto l’uno dell’altro, una valutazione dei contenziosi che, anche a dover riconoscere errori e mali, vada alla ricerca del bene comune e quindi della salvaguardia di tutti, compreso di chi si è messo sulla strada più sbagliata. È vero che il libretto vuole trattare in maniera specifica di questioni di ordine religioso e che le soluzioni cercate e poi indicate devono toccare in modo particolare quanti hanno responsabilità di governo nella Chiesa, ma, fatti gli opportuni adattamenti, ciò che lì troviamo scritto può essere utile anche oggi, sia nella Chiesa, dove stanno montando le tensioni proprio perché si vuole affermare una verità legata ai concetti e ai principi, ai dogmi e ai sistemi, fino a costruire malanimo e risentimento nei confronti delle persone, sia nella società civile, essa pure incamminata ad erigere steccati ideologici, che non danno la priorità alle persone da rispettare, anche se si trovano in campi avversi.