ACTA MARTYRUM: PRIME TESTIMONIANZE STORICHE: LA PASSIONE DEI MARTIRI SCILLITAN-LA PASSIONE DI PERPETUA E FELICITA

INTRODUZIONE

ACTA, PASSIONES, LEGENDAE

Nella prima letteratura cristiana hanno un certo rilievo i testi che
documentano le persecuzioni nei confronti dei cristiani stessi. Esse si sono
scatenate a più riprese in modo organizzato anche per il furore del popolo o
del principe tempo. Se nel I secolo sono dovute in gran parte alle follie di
imperatori, che governavano ricorrendo alla violenza e alla mattanza di
oppositori, come succede al tempo di Nerone (54-68) e di Domiziano (81-96), poi, in presenza di una sorta di resistenza passiva, che li rendeva, come gli Ebrei, irriducibili al potere costituito, i cristiani sono stati ricercati e
condannati. Anche nel II secolo, sotto gli Antonini, o imperatori adottivi,
venivano accusati e puniti perché refrattari alla cultura dominante. Quando il fenomeno persecutorio diventa un sistema che dilaga nell’impero, se ne parla non solo nei testi degli storici, ma anche nei documenti del tribunale che affronta la questione. E di qui passano anche tra le mani dei cristiani.
Nascono così le prime redazioni di resoconti del martirio, soprattutto in
presenza di personaggi che avevano un certo rilievo nella prima Chiesa o nel
territorio dove scoppiavano le persecuzioni. I testi, raccolti e fatti conoscere, sono gli stessi resoconti dei tribunali, sia nel caso che provengano direttamente di lì, magari con la complicità di qualcuno che lavora in tribunale, sia perché il redattore finale lo ricava di lì, essendo presente alla scena. Così i verbali, ridotti all’essenziale, poiché riproducevano le domande degli inquirenti e dei giudici e le risposte dei condannati, diventavano non solo la documentazione storica per il sistema giudiziario romano, ma anche un testo autorevole con cui la comunità cristiana riconosceva e glorificava i suoi eroi.
Quando i cristiani si trovavano a celebrare la memoria dei martiri sulle loro
tombe, leggevano queste composizioni, che in tal modo si aggiungono ai testi biblici; essi poi vengono conclusi con la dossologia, mediante la quale la glorificazione dei caduti per la fede diventa una glorificazione di Dio. In
assenza dei verbali, fioriscono i racconti dei testimoni oculari, o anche di
coloro che sono coinvolti nel martirio e che lasciano come una specie di
testamento, per richiamare, a chi resta, la coraggiosa testimonianza dei
caduti. Simili testi fioriscono in occasione delle persecuzioni che un po’
ovunque si verificano, soprattutto nell’intento di sradicare la “mala pianta”, considerata rovinosa perché mina alla base il sistema di potere.
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S. Clemente: l’autorità di Roma e la fraternità tra le chiese.

S. Clemente nella chiesa di Santa Sofia a Kiev

PREMESSA:

NELL’EPOCA POSTAPOSTOLICA

E LA SITUAZIONE A CORINTO

Fra gli scritti dei primi anni dopo la redazione dei testi neotestamentari (vangeli e lettere apostoliche), spiccano alcuni, che al loro primo apparire vengono catalogati come testi ispirati, e quindi parte integrante del “canone biblico”. Poi però, anche ad essere sempre ben valutati, e a farvi ricorso nelle circostanze che presentano i medesimi problemi, non dovunque sono inscritti nell’insieme dei libri biblici, e di fatto in poco tempo si troverà estromesso da essi. Uno fra i documenti meglio apprezzati e circondati da stima e onore, è la lettera scritta da Clemente, che è il quarto vescovo di Roma, e che assume un rilievo non indifferente nella Chiesa di allora, grazie a questo scritto. Si tratta di una missiva per i cristiani di Corinto, dove continuavano le divisioni già documentate nella prima lettera di S. Paolo ai cristiani di quella città. Siamo comunque a 40 anni circa dal testo paolino; e quindi le persone a cui Clemente si rivolge sono altre; ma il problema persiste, segno di una comunità segnata da questo male, ben radicato. L’apostolo, fin dalle prime battute della sua lettera tocca l’argomento, rilevando la presenza di “partiti”, cioè di gruppi che facevano riferimento all’appartenenza a qualche figura carismatica. Non sembra che ci siano forme di eresie, e quindi di dottrine varie e contrapposte; prevale invece quel tipo di personalismo che non favorisce affatto la familiarità e la fraternità.

1Corinzi, 1,10-12

Vi esorto pertanto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, a essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire. Infatti a vostro riguardo, fratelli, mi è stato segnalato dai familiari di Cloe che tra voi vi sono discordie. Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: Io sono di Paolo, io invece sono di Apollo, io invece di Cefa, e io di Cristo.

Se anni dopo – siamo alla fine del I secolo – il medesimo clima affiora, vuol dire che un simile malessere è radicato: non basta più la lettera di Paolo, che pur si dovrebbe ritenere un intervento autorevole e da considerarsi indiscutibile; occorre che la figura di spicco in quel periodo prenda posizione, aggiornando la lettura della questione. Leggi tutto “S. Clemente: l’autorità di Roma e la fraternità tra le chiese.”

AL SEPOLCRO DI GESÙ.

E FU SEPOLTO

Ancora oggi nella formula di fede, con cui pubblicamente i cristiani esprimono la loro adesione al Signore Gesù, essi dicono di credere a tutto ciò che Gesù ha vissuto nel suo percorso terreno, compresa la conclusione della sua sepoltura, mediante la quale “si mette una pietra sopra”, per dire così che tutto è finito. Ma quel fatto, pur così importante, se ancora viene segnalato nella professione di fede, non è affatto l’ultima parola con cui viene chiusa l’esistenza terrena di Gesù. La sepoltura risulta sola-mente un passaggio che introduce ad un mondo diverso: se Gesù è vis-suto dentro uno spazio preciso, come quello della Palestina, e dentro un periodo storico, come quello dell’Impero di Augusto e di Tiberio, con la morte noi dovremmo considerare chiusa definitivamente la sua esistenza, e così lo spazio è solo quello di una tomba che lo racchiude e il tempo, che continua a procedere, per lui si è fermato. Eppure questa sepoltura non è affatto la parola definitiva per Gesù: la nostra fede ci dice che lui ha superato le barriere della morte, per entrare in un’altra condizione di vita. Fa in modo di essere visto, e alcuni possono raccontare di averlo incontrato, perché lui si è mosso a cercarli. Ma egli vive in una dimensione nuova, se non altro perché lo vedono contemporaneamente in luoghi diversi, perché la sua presenza fisica non risulta spiegabile secondo criteri scientifici, anche se c’è gente che dice di averlo visto vivo, quando in precedenza avevano dovuto costatare che era morto e che era stato sepolto, per quanto la sua tumulazione risulterà essere stata provvisoria. Non lo è stata, perché chi ha fatto questa operazione aveva già in mente l’ipotesi della risurrezione, come un dato sicuro ed incontestabile sulla base di ciò che Gesù aveva anticipato. La ragione della fretta di depositarlo nella tomba derivava dal fatto che non avevano lassi di tempo per una operazione del genere, essendo imminente la festa di Pasqua e il comando rituale del riposo più rigoroso. Comunque nella tomba viene collocato ed era destinato a rimanere, così come erano assolutamente certe le donne di ritrovarlo disteso e pronto per le azioni necessarie a ripulirlo e a comporlo secondo le usanze, ma più ancora secondo le esigenze dell’affetto che le legava a quell’uomo. E se esse conservavano il desiderio di intervenire per lui, questa loro attesa spingeva ad affrettarsi, perché di buon mattino fossero sul posto a continuare la loro opera di devozione. Leggi tutto “AL SEPOLCRO DI GESÙ.”

MARCIA SU ROMA

Benito Mussolini, durante la marcia su Roma, con i quadrumviri:

da sinistra Emilio De Bono, Italo Balbo e Cesare Maria De Vecchi.

Il militante in primo piano a sinistra copre la figura di Michele Bianchi.

La foto fu scattata il 30 ottobre

quando Mussolini arrivò a Roma, convocato da Vittorio Emanuele III.

GLI EVENTI

E IL GIUDIZIO STORICO:

UN FATTO EVERSIVO

E COSTITUZIONALE

1

INTERPRETAZIONE DEL FATTO

Questo evento (la marcia su Roma) e questa data (il 28 ottobre 1922) sono ormai entrati nei libri di storia come l’avvio del regime fascista in Italia. Contribuì a questa lettura già lo stesso regime, che nella nuova datazione, obbligatoria sui documenti ufficiali, si faceva partire tutto da lì e naturalmente tendeva a presentare i fatti successi con un alone mitico e, per certi versi, addirittura epico, quasi fosse stato concepito e realizzato un evento grandioso e glorioso, come se fosse stata combattuta una battaglia degna di essere enfatizzata, e di lì derivasse qualcosa di decisivo che segnava una sorta di spartiacque. Il fascismo già esisteva e la sua nascita è da far risalire al 1919, quando a Milano vengono fondati i Fasci di combattimento. Invece il regime, inteso come sistema totalitario, non è propriamente realizzato qui, se il governo presieduto da Mussolini è ancora di coalizione e i partiti hanno pur sempre voce in Parlamento. L’azione, considerata di forza e messa in campo con manipoli di milizie non inquadrate nell’esercito, si rivela di fatto una manifestazione, che poteva diventare eversiva e che in realtà non ha prodotto alcunché. Piuttosto il fatto mediante il quale si può dire che prende avvio la dittatura fascista è il famoso discorso di Mussolini alla Camera del 3 gennaio 1925. Tuttavia già nell’insediamento del suo primo governo le parole usate da Mussolini non lasciano dubbi circa la maniera con cui egli vuole prendere e tenere il potere e di fatto dall’incarico ricevuto nell’ottobre 1922 egli diventa Capo del governo, che poi presiedette fino al Gran Consiglio del 25 luglio 1943. I giudizi storici, che furono – e sono ancora – emessi sugli inizi della dittatura, sono di fatto legati a questo episodio, che fu ingigantito dal regime stesso e che invece deve essere meglio riletto, anche per capire la natura di certi eventi. Il partito, che qui pretende di avere la gestione del governo, nonostante l’esigua rappresentanza in Parlamento, sulla base dei risultati elettorali, proprio per questa sua determinazione, e per i fatti che accompagnano la sua richiesta di avere e di esercitare direttamente il potere, con il ricorso alla violenza, esprime parole e azioni che devono essere considerate di natura eversiva. Lo dimostra mettendo in campo uomini armati che convergono su Roma; nello stesso tempo si deve riconoscere che sia i dirigenti di partito, sia gli affiliati che vengono messi in campo esprimono la volontà di andare contro la legalità. E tuttavia non viene prodotto nulla di anticostituzionale, se di fatto è il re a chiamare Mussolini al governo. Insomma, la lettura da fare circa quanto è successo in quei momenti, non può essere lasciata alla retorica usata dal regime, quando lo diventa; e neppure va considerata a partire dalla retorica opposta che maschera la reale incapacità dei partiti di opposizione di comprendere i fenomeni in corso e di porvi gli argini necessari. Una lettura più attenta di ciò che è successo in quel giorno deve servire a comprendere eventi analoghi, mai identici, che possono generarsi e dare origine a fenomeni sicuramente aberranti. Se davvero questa “marcia”, poi ostentata con la figura possente del capo del fascismo che sta avanti alle sue “truppe di occupazione” – ma questo non avvenne affatto – è da considerarsi l’episodio emblematico della nascita di una dittatura, come il regime voleva e come i partiti d’opposizione hanno pure pensato, allora noi dovremmo vedervi una occupazione di stampo militare che non ci fu.

FU UN COLPO DI STATO? Leggi tutto “MARCIA SU ROMA”

Pasqua 2023: Il Signore è risorto!

CRISTO SIGNORE E’ RISORTO!

Non sta rinchiuso nelle viscere della terra. Vuole raggiungere i suoi.

Si fa vedere ai suoi. Si fa incontrare. Entra nel cuore di ciascuno …

Io l’ho visto! Io l’ho incontrato! Io lo porto con me!

Non è cambiato il quadro del mondo, sempre segnato dal male …

Ma a chi si fa vedere e a chi arriva a vederlo, a incontrarlo, cambia il cuore.

E tu l’hai visto? Tu lo hai incontrato sui tuoi passi? E ti senti cambiato?

Non fa cose prodigiose per convincere. È lui già un prodigio!

La sua “passione” è affascinante, perché lui ci mette e ci rimette …

Qualcuno l’ha davvero visto in giro? E l’ha visto con la passione nel cuore?

Allora ce ne sono altri come lui a portare attorno la passione.

Allora questa sua passione sta diventando il nuovo vivere per tutti.

Veramente è stato visto! Veramente chi l’ha visto si sente più vivo che mai

CRISTO RISORTO E’ ANCORA TRA NOI!

Se ne accorge chi non si lascia sgomentare dal tanto male diffuso …

Lo fa vedere chi invece di lamentarsi si rimbocca le maniche per il bene …

Lo porta con sé chi, credendoci davvero, si fa credibile agli altri …

Lo vive chi non si lascia umiliare e risponde sempre con la passione …

Lo può dire chi ce l’ha dentro e lo sa comunicare come la vera gioia …

Lo testimonia chi, anche a passare dal dolore, ha la speranza di uscirne …

RISORGIAMO ANCHE NOI CON LUI!

HA VINTO E VINCE ANCORA LA MORTE

Questa icona bizantina è la celebrazione della risurrezione con la discesa di Gesù agli Inferi: lì, dopo aver scardinato le porte, che ha sotto i suoi piedi, e che nella voragine aperta rivelano il mondo sotterraneo nel buio più completo, dentro il quale tutti i suoi elementi (chiavi, chiodi, bulloni e cardini …) sono gettati via, il Risorto fa uscire dalle loro tombe i progenitori, Adamo ed Eva, afferrati per i polsi ed elevati a sé con la sua grande energia. Egli è il Risorto immerso nella mandorla divina, simbolo di fertilità e di rinascita, come è l’uovo di Pasqua, e rivestito di un abito luminoso e splendente. Attorno i santi patriarchi e profeti lo indicano come colui nel quale si compiono le promesse divine. Così il mondo può rinascere, come ben si vede nella montagna che sta dietro e che sembra spaccarsi per far uscire il nuovo seme di vita, colui che è davvero, come Vincitore della morte, il Dio della Vita.

IL RISORTO CI PRECEDE

(Omelia di Pasqua di don Primo Mazzolari)

Chi ci rimuoverà la pietra dall’ingresso del sepolcro?” (Marco 16,3). Così di-cevano Maria Maddalena, la madre di Giacomo, e Salome, mentre la mattina del primo giorno della settimana, molto per tempo, andavano al sepolcro per imbalsamare Gesù. Quando si oscurano in noi le grandi certezze della fe-de e della speranza, i nostri problemi divengono meschini, e banali le nostre preoccupazioni. Guardiamoci intorno, o meglio consultiamo noi stessi. Il vecchio mondo s’inabissa, il nuovo faticosamente emerge da un mare di do-lori e di sangue: e noi quasi non ci facciamo caso … Nessuno e niente fer-merà il crollo: nessuno e niente arresterà la novità che cammina con passo sicuro. È come la Pasqua; è la Pasqua: poiché ogni cosa che muore, come o-gni cosa che incomincia a vivere nella morte, è un aspetto della Pasqua. Nes-suno e niente può fermare la Pasqua: non la paura coagulata dei piccoli uo-mini, non le coalizioni dei più divergenti interessi e dei più contrastanti sen-timenti, non le guardie più o meno prezzolate poste a custodia dei sepolcri della storia. Credo ai terremoti che scuotono le profondità della storia, e agli angeli, che li guidano e che siedono sereni sulle pietre rovesciate dei sepol-cri per gli annunci che fanno paura soltanto agli uomini senza fede. A nessu-na delle tre donne che camminano verso il sepolcro canta in cuore l’Alleluia della grande speranza. L’Alleluia è nato spontaneamente dall’infinita bontà del Signore, che, invece di guardare alla nostra mancata attesa, pone il suo sguardo pietoso sul nostro bisogno di vita. La Pasqua si ripete. Quanti cre-dono veramente al Risorto? Quanti, fra gli stessi che in questi giorni affol-lano le chiese, sentono negli attuali avvenimenti il ritorno del Cristo, come sentiamo nell’aria e nei campi il ritorno della primavera? Chi di noi vuole la Pasqua, come un impegno, preso nell’Eucaristia, per la giustizia, la pace e la carità di Cristo nel mondo? Come le donne ci mettiamo in cammino all’alba verso le chiese. Non sappiamo sottrarci a certi misteriosi richiami e abbiamo gli aromi per imbalsamare Gesù … Il nostro sacramento pasquale è ancora u-na volta un atto di pietà, come se il Signore avesse bisogno di piccole pietà: i morti vogliono la pietà, il vivente vuole l’audacia. “Non vi spaventate. Gesù è risorto, non è qui. questo è il luogo dove era stato deposto”. Le civiltà, le culture, la tradizione, le grandezze, perfino le nostre basiliche, possono essere divenute il luogo ove gli uomini di un’epoca l’avevano posto. Il comanda-mento è un altro: “Andate, dite ai discepoli e a Pietro che egli vi precede”. Do-ve? Dappertutto in Galilea e in Samaria, a Gerusalemme e a Roma, nel cena-colo e sulla strada di Emmaus … “Egli vi precede”. Questa è la conseguenza della Pasqua. Se, alzandoci dalla tavola eucaristica, avremo l’animo disposto a tenergli dietro ove egli ci precede, lo vedremo, come egli disse.

IL RISORTO CI ACCOMPAGNA

Signore Risorto, togli anche noi dalle catene della mortalità, che appesantiscono il nostro vivere imprigionato dal male, a tiraci a te, riconoscendo che la tua passione è vita vera.Signore Gesù, apri questo mondo ad accogliere il seme di vita, perché sia più accogliente con chi nasce e con chi si sta formando, più benevolo con chi soffre e vuol vivere meglio, più incoraggiante con chi è debole e sfiduciato.

Tu che trionfi sulle oscurità infernali che ci vogliono mortificare, dona la tua pace di Risorto, perché possiamo portare la vera pace, dona il tuo perdono, perché diventiamo più misericordiosi, dona il tuo amore, perché ora diventi il nostro, quello che dona sempre.

Tu che sei l’eterno Vivente, il comunicatore di Vita, quella vera, raggiungi ciascuno di noi con la viva passione del cuore, riaccendi la speranza, anche a trovarci dentro tanti segni di morte, risveglia quella fede che ci fa sentire la tua persona accanto a noi: con te, solo con te, possiamo rinnovarci e rinnovare questo mondo!

La Pasqua di Cristo nel mondo religioso e culturale russo

MORS ET VITA DUELLO

CONFLIXERE MIRANDO

Sul “fronte russo” continuano a udirsi rumori di guerra, e di lì ci vengono im-magini impressionanti di rovine, lasciate sul territorio ucraino, anche se i morti e i feriti sono da entrambe le parti, in un conflitto dal forte sapore di scontro tra popoli “fratelli”, che hanno avuto una lunga storia in comune. È inevitabile inoltre che siano coinvolte anche le diverse confessioni religiose, le quali si rifanno al comune mondo cristiano: qui i credenti nel Signore, morto in croce e poi risorto, celebrano i medesimi misteri pasquali, pur con forme liturgiche diverse. E tuttavia essi non sanno superare le divisioni e ricercare l’intesa che deve impedire inutili distruzioni, ma più ancora i troppi morti, e più ancora sopire i risentimenti che si fatica a contenere e a impedire. Davanti ad un quadro desolante e sempre più imbarbarito da tanta violenza “gratuita” e selvaggia, non c’è molto spazio per discorsi di natura religiosa, per letture e visioni che parlino di rinascita, di risurrezione. Anzi, a volte anche simili auguri appaiono fuori luogo, intrisi di un sapore molto amaro. Come si fa a di-re che Cristo è risorto, in un quadro di devastazione, che pur si assicura di vo-ler ricostruire come prima? Non sarà più come prima! Non può essere come prima! Come si fa a ripetere l’augurio di pace del Cristo risorto? Raccontando l’evento della risurrezione e più ancora il suo farsi vedere ai discepoli il mattino di Pasqua nel cenacolo, dove entra a porte chiuse ed augura loro la pace, la sua pace, noi osiamo credere che tutto questo si rinnova anche oggi. Ma dove lui appare? Dove lui viene visto? Dove lui irrompe come allora con il suo augurio di pace? Se nel nostro non lontano oriente, invece di veder sorgere un nuovo sole di speranza, vediamo sempre più infittirsi le nubi tenebrose della disperazione, mentre noi vorremmo altre nubi cariche di pioggia, come facciamo a sperare? Ancora sentiamo a noi lontana questa guerra, come se non ne fossimo coinvolti. Ed invece il rischio di sentirci trascinati nel baratro è non molto dissimile da ciò che per le guerre precedenti si avvertiva, pur nella spensieratezza di chi non ci pensa mai, di chi si convince che non potrà mai succedere. Eppure è già successo. E può succedere ancora. Già a partire dalle esperienze passate di conflitti nel cuore dell’Europa ci siamo chiesti come siano stati possibili, laddove una civiltà secolare si era formata sull’umanesimo più che su altre considerazioni. Eppure anche allora si era scatenata l’assurdità del male, poi letta come “banalità”, nonostante la presenza di tanti pensatori animati dallo spirito umanistico. Leggi tutto “La Pasqua di Cristo nel mondo religioso e culturale russo”

Pietro il Grande.

LA RUSSIA ENTRA NEL MONDO EUROPEO

Il regno di Pietro il Grande coincise con la più grande trasformazione vissuta dalla Russia fino alla Rivoluzione del 1917. A differenza della Rivoluzione sovietica, tuttavia, la trasformazione imposta alla Russia da Pietro ebbe uno scarso impatto sull’ordinamento sociale, poiché il servaggio rimase e i nobili mantennero tutte le loro prerogative. Ciò che Pietro cambiò fu la struttura e la forma dello Stato, trasformando il tradizionale regno zarista in una variante della monarchia europea. Pietro impose al tempo stesso profondi mutamenti alla cultura russa, con un lascito che persiste tutt’oggi accanto alla sua nuova capitale San Pietroburgo. (Bushkovitch, p.93)

In questa breve presentazione del capitolo dedicato alla figura e all’opera di Pietro il Grande, si coglie il grande ruolo che ha avuto questo personaggio nella storia della Russia, diventando pure egli una sorta di mito. Anche ad avere molte informazioni ed anche a riconoscerle veritiere, il personaggio si staglia nella storia russa come una figura unica e gigantesca per il ruolo che ha giocato. Molto è dovuto a lui circa l’apertura nei confronti dell’Europa, dalla quale ha cercato di ricavare il meglio per un ammodernamento delle strutture statali della Russia. Pietro il Grande ha sempre cercato di inserire la Russia tra le potenze europee, non solo per competere con i vicini, che sotto il profilo territoriale non potevano vantare il medesimo spazio vitale della Russia, ma potevano comunque ostacolarne il passaggio per competere con le grandi potenze centrali, come la Prussia, l’Austria, o, ancora più in là, la Francia e l’Inghilterra. Se evidentemente voleva competere con esse, la Russia avrebbe dovuto attrezzarsi di strumenti che risultavano in quel tempo, come assolutamente indispensabili alla costruzione di un Paese dalle pretese imperialiste. Una struttura appesantita dalla zavorra di tipo feudale, come era il sistema dei boiari, non avrebbe mai consentito la costruzione di un Paese più moderno, che sarebbe potuto diventare con la crescita della classe borghese, quella che cerca di allargare il campo del mercato e insieme anche un tipo di produttività che permetta il commercio fuori dei confini nazionali. Lo zar si rende conto che una simile struttura è possibile solo con la libera imprenditoria, quella che va alla ricerca di nuovi spazi, di nuovi mercati, di nuove attività, costruite grazie all’ingegno, alla concorrenza e ai capitali finanziari.  Leggi tutto “Pietro il Grande.”

La Russia verso l’Europa.

LA RUSSIA E IL MONDO CIRCOSTANTE

Nel corso della sua storia la Russia si presenta “tirata” ad oriente e ad occidente, perché il suo immenso territorio la spinge o da una parte o dall’altra in base alle convenienze del momento e soprattutto alle scelte politiche che vengono operate da chi la guida. Ovviamente le motivazioni sono da ricercarsi soprattutto nell’ambito economico, perché le sue risorse e le sue esigenze la spingono nell’una o nell’altra direzione in cerca di materie prime, ma anche di manufatti da vendere, soprattutto, o da acquistare. A dominare la scena in questo, sono ovviamente coloro che detengono gli interessi di natura economica, che tuttavia sono pur sempre una parte minima della popolazione: i ceti sociali più numerosi sono di fatto in prevalenza i lavoratori della terra, e sopra di loro ci sono i grandi latifondisti in possesso di estensioni notevoli di terreni da coltivare. La classe che noi definiamo “borghese”, quella cioè che troviamo nei “borghi”, nelle città, a capo di attività manifatturiere, è minoritaria, anche perché le città che si sviluppano sul criterio prevalente nel resto dell’Europa, e cioè sul ricorso al denaro, appaiono veramente poche e in prevalenza sono quelle che stanno maggiormente vicino ai Paesi dell’Europa occidentale. In particolare sono in contatto con le città baltiche, le sole dotate di un certo spirito imprenditoriale, ma comunque dislocate su un mare interno, dove si affollano altri competitori. L’espansione, poi, di natura territoriale, come succede nel medesimo periodo anche per altri Paesi europei, esige che ci sia pure l’esercito ben organizzato e tenuto efficiente anche con armamenti adeguati. Se per i Paesi europei occidentali la conquista di nuove terre richiede una buona rete di colonizzatori, che aprano nuove strade, ma soprattutto che siano in grado di sfruttare al massimo le regioni acquisite, altrettanto si deve dire per la Russia in espansione ad est. Ovviamente l’espansione richiede anche il supporto dell’esercito, che, anche a non essere composto di un numero cospicuo di soldati, deve comunque risultare dotato di mezzi che permettano di imporsi su una popolazione non ancora in grado di opporre strumenti adeguati. Lo Stato europeo in genere interviene garantendo la difesa, ma anche controllando con le “Compagnie” tutti gli affari economici che si possono aprire e incrementare. Il medesimo fenomeno si ha in Russia. Anche qui le imprese di tipo coloniale appartengono a buoni imprenditori che hanno investimenti da fare; essi però dicono di farlo in nome dello Stato a cui appartengono. Leggi tutto “La Russia verso l’Europa.”

La Russia di Mosca: LA TERZA ROMA

CORONA DI MONOMACO SIMBOLO DELL’AUTOCRAZIA RUSSA

Una leggenda narra che tale corona ( che questa piattaforma non consente di riportare qui)sia stata regalata dall’imperatore bizantino Costantino IX Monomaco al nipote Vladimir, fondatore della città di Vladimir e antenato di Ivan III, il primo ad essere zar.

La leggenda serve come fondamento per costruire la teoria politica di “MOSCA – TERZA ROMA”.

Questa corona, detta di Monomaco, viene così definita per la prima volta in un documento del 1518, durante il regno di Vasilij III.

GLI INIZI DI MOSCA

La città che noi oggi riconosciamo come capitale della Russia e che nel corso della storia è sempre stata considerata come strettamente legata alla Russia stessa, molto più della successiva Pietroburgo, è divenuta un centro aggregatore per i Russi solo a Medioevo inoltrato, quando le altre città all’intorno si sono avviate ad un lento ma inesorabile tramonto. Dobbiamo ritenere che gli stessi Russi non avevano la percezione di essere un popolo con la vocazione nazionale e imperiale, come si è costruita successivamente. Solo dopo il 1000, solo con la scelta del Cristianesimo le diverse tribù che abitano il bassopiano sarmatico, cercano anche di avviare quel senso di appartenenza, che finora le vedeva legate alle figure emergenti, soprattutto nell’ambito militare. Più che un popolo unito, qui c’erano popolazioni diverse, che si aggregavano nei centri abitati, dando origine ad una città con in mezzo un’altura o una fortificazione, chiamata “cremlino”. Lì aveva spazio colui che di fatto deteneva il potere, espresso soprattutto con le armi. Alcune città avevano dominanti i proprietari terrieri, o, nel caso di una ben avviata attività mercantile, si trovava a guidarle una sorta di corporazioni di mestieri, che di fatto dettavano la conduzione della politica locale. Fra tutte le città, quella che ha avuto una storia gloriosa ed orgogliosa, è Novgorod, fiera di ritenersi e di essere effettivamente “libera”: lì non poteva esserci nessun potere di natura monarchica, cioè un autocrate destinato a governare senza alcun controllo. E tuttavia anche qui, a volte, si avverte la necessità di avere un principe in grado di condurre le truppe contro i nemici: per questa città libera essi sono di fatto gli Svedesi e i Teutoni, i quali impedivano il libero accesso ai traffici sul Baltico. Di qui lo scontro, affidato ad Aleksandr Nevskij. Con lui entrambi i nemici sono bloccati, anche se poi l’eroe liberatore non potrà diventare il leader dei Russi, il capo riconosciuto con poteri monarchici. Anzi, da nessuna parte, in nessuna città, possiamo riscontrare qualcuno che porti questo titolo e che abbia un simile potere. Sulle città russe domina sempre un principe, a volte un duca o un granduca, qualcuno insomma che gestisce il potere grazie alla sua milizia e che ha il proprio riconoscimento con un titolo di stampo feudale, perché un altro potere superiore lo riconosce. In quest’area geografica la ricerca di un riconosci-mento viene fatta a partire da Bisanzio; ma ormai dopo la IV crociata (1202) anche quest’alta autorità ha perso il suo prestigio e soprattutto la sua forza.  Leggi tutto “La Russia di Mosca: LA TERZA ROMA”

La figura mitica di Aleksandr Nevskij

Il primo grande eroe della storia russa, colui nel quale i Russi stessi si identificano, soprattutto nei momenti più difficili della loro storia, è senz’altro Aleksandr Nevskij, che appare circondato da un alone “mitico”. È pur sempre un personaggio storico, le cui vicende sono note a partire dalle cronache coeve; ma nel corso dei secoli si tende a proporlo come un eroe nazionale, un cavaliere “senza macchia”, un lottatore gigantesco, un uomo senza pari, capace di raccogliere attorno a sé i Russi nella difesa della patria. Così, dalla storia egli trapassa al “mito”, e come tale sarà sempre proposto in diversi momenti della lunga storia russa; anche quando figure simili, proprie di un epoca autocrate o monarchica, dovrebbero essere demitizzate o addirittura cancellate, egli affiora, perché anche nell’epoca dell’ideologia bolscevica prevale la necessità di ricorrere all’appartenenza del mondo russo. In questo modo non è facile ricostruire nel modo più oggettivo possibile chi sia stato davvero quest’uomo, che a noi arriva sempre con una fisionomia che lo vuole santo, eroe epico, condottiero vittorioso.

Il personaggio di Alessandro Nevski sembra aver conosciuto, ancora in vita, un’apoteosi epica e morale e un’idealizzazione che il tempo doveva rafforzare e la cui linea di sviluppo è nettamente rintracciabile nelle successive Vite che gli sono state dedicate. (Durand- Cheynet, p. 9) Leggi tutto “La figura mitica di Aleksandr Nevskij”