LA SAPIENZA DEL VIVERE- Prolusione di inizio Anno Accademico

 

Il compito di chi nel passare degli anni ha maturato la sapienza e si è fatto un patrimonio di esperienze di vita è la consegna di sé e del proprio vissuto. Le parole sono lo strumento comunicativo per eccellenza e sono la modalità con la quale ciò che si è vissuto appare “spiegato” e quindi “ragionevole”, ma soprattutto “sapienziale”, diventando gustoso, interessante e più che mai appassionante. La consegna è indispensabile; è una sorta di “comandamento”, come l’amore, perché nel comandare “si dà la mano insieme”, come dovrebbe esserci fra le generazioni che si susseguono. Non si danno solo parole, libri, raccomandazioni, racconti o messaggi; ma si investe negli altri la propria persona con quanto uno ha vissuto, ben consapevoli che si trasmette con l’esempio, comunque tradotto in parole che lo spiegano, così come le parole che si dicono, richiedono fatti, azioni, esperienze di vita, altrimenti sono solo “flatus vocis”. Dobbiamo acquisire sempre più una capacità “narrativa” circa le e-sperienze della vita, perché chi ci segue possa apprendere la sapienza e quindi il gusto della vita, e lo possa ricevere in maniera credibile. Questo può aiutare a divenir “padroni di sé e del proprio vissuto”, che dà un maggior senso di sicurezza e quindi di fiducia. Il venir meno di una generazione al suo “dovere” (= ciò che uno ha da dare di sé) di consegna alla generazione che segue crea “dissociazioni” che si trasformano in squilibri personali e soprattutto sociali. È dunque necessario coltivare una riflessione, che non si limiti alla soddisfazione di passare un bel momento, ma che costruisca una coscienza vigile nella comunicazione significativa di sé. Un esempio di consegna,
che viene raccolta e assimilata, è quello riportato nel libro del Siracide, in cui si offre un preambolo al testo, nel quale lo scrivente dice di aver raccolto il messaggio, contenuto nel libro, dalla viva voce e dall’esperienza vissuta del nonno. Costui, poi, ha elaborato il testo in ebraico, che il nipote si premura di tradurre in greco, lingua più diffusa, perché anche altri possano attingervi la vita, per lui divenuta quanto mai significativa, proprio a partire dalla sapienza del nonno, frutto di un vissuto sostanziato dalla ricerca continua, perseguita con tenacia, e nel desiderio di compartecipare e di coinvolgere chi, seguendolo nella vita, ne avrebbe raccolto il testimone. Costui in effetti si premura di tradurre il libro e di far giungere ad altri l’insegnamento ricevuto.

LIBRO DEL SIRACIDE – PROLOGO

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AL SEPOLCRO DI GESÙ.

E FU SEPOLTO

Ancora oggi nella formula di fede, con cui pubblicamente i cristiani esprimono la loro adesione al Signore Gesù, essi dicono di credere a tutto ciò che Gesù ha vissuto nel suo percorso terreno, compresa la conclusione della sua sepoltura, mediante la quale “si mette una pietra sopra”, per dire così che tutto è finito. Ma quel fatto, pur così importante, se ancora viene segnalato nella professione di fede, non è affatto l’ultima parola con cui viene chiusa l’esistenza terrena di Gesù. La sepoltura risulta sola-mente un passaggio che introduce ad un mondo diverso: se Gesù è vis-suto dentro uno spazio preciso, come quello della Palestina, e dentro un periodo storico, come quello dell’Impero di Augusto e di Tiberio, con la morte noi dovremmo considerare chiusa definitivamente la sua esistenza, e così lo spazio è solo quello di una tomba che lo racchiude e il tempo, che continua a procedere, per lui si è fermato. Eppure questa sepoltura non è affatto la parola definitiva per Gesù: la nostra fede ci dice che lui ha superato le barriere della morte, per entrare in un’altra condizione di vita. Fa in modo di essere visto, e alcuni possono raccontare di averlo incontrato, perché lui si è mosso a cercarli. Ma egli vive in una dimensione nuova, se non altro perché lo vedono contemporaneamente in luoghi diversi, perché la sua presenza fisica non risulta spiegabile secondo criteri scientifici, anche se c’è gente che dice di averlo visto vivo, quando in precedenza avevano dovuto costatare che era morto e che era stato sepolto, per quanto la sua tumulazione risulterà essere stata provvisoria. Non lo è stata, perché chi ha fatto questa operazione aveva già in mente l’ipotesi della risurrezione, come un dato sicuro ed incontestabile sulla base di ciò che Gesù aveva anticipato. La ragione della fretta di depositarlo nella tomba derivava dal fatto che non avevano lassi di tempo per una operazione del genere, essendo imminente la festa di Pasqua e il comando rituale del riposo più rigoroso. Comunque nella tomba viene collocato ed era destinato a rimanere, così come erano assolutamente certe le donne di ritrovarlo disteso e pronto per le azioni necessarie a ripulirlo e a comporlo secondo le usanze, ma più ancora secondo le esigenze dell’affetto che le legava a quell’uomo. E se esse conservavano il desiderio di intervenire per lui, questa loro attesa spingeva ad affrettarsi, perché di buon mattino fossero sul posto a continuare la loro opera di devozione. Leggi tutto “AL SEPOLCRO DI GESÙ.”

MEDITIAMO LA PASSIONE con: – UNA VITA DI CRISTO “VOLETE ANDARVENE ANCHE VOI?” – di LUIGI SANTUCCI

A CENA: Prendete e mangiate,

questo è il mio corpo offerto Per voi1

INTRODUZIONE

La “Via Crucis” è una devozione molto popolare, che si è affermata da noi sull’esempio di quanti, andando in Terra Santa, camminano per le vie di Gerusalemme sulle quali sono segnate le tappe del percorso fatto da Gesù, una volta uscito dal palazzo del Pretorio, per salire la collinetta del Calvario. Quando questo cammino non è più possibile là, si diffonde da noi la stessa cosa, con la creazione, soprattutto in alcune zone montuose, dei percorsi che altri pellegrini possono fare, meditando sulla Passione di Gesù. E poiché l’itinerario è faticoso, si creano delle fermate, chiamate stazioni, durante le quali si eleva il pensiero ai dolori di Cristo. Le stazioni, poi, vengono segnalate da alcune immagini capaci di suscitare la compunzione e di favorire la meditazione e la preghiera. In genere queste fermate richiamano alcuni episodi evangelici, ma non vengono mai a mancare anche altri che il vangelo ignora e che la devozione popolare evoca, come possono essere le probabili cadute, come può essere l’incontro con la Madre, come è il particolare della Veronica, legata all’immagine sul panno, che si dice proveniente come reliquia dalla Palestina. Di fatto, trattandosi del cammino che conduce Gesù verso il Calvario, le stazioni mettono in risalto questi momenti. Oggi si tende ad ampliare la meditazione su altri momenti delle ore drammatiche della Passione di Gesù, facendo sempre affidamento alle immagini, che noi possiamo ricavare non solo dalla figure dei quadri appesi alle pareti della chiesa, ma anche alle opere d’arte, e, ultimamente, anche alle espressioni di altri generi, come sono le musiche, le immagini da film, le opere di letteratura e di poesia. Se tutto concorre al bene e alla edificazione spirituale, anche queste espressioni possono servire perché il nostro cammino, sempre più virtuale e non più esercizio fisico, sia un autentico accompagnamento ai dolori del Signore, ma soprattutto al suo messaggio di vita e d’amore che deve risultare più evidente. Il Signore non vuole che noi soffriamo, ma vuole che nelle nostre immancabili sofferenze, ci dimostriamo, come lui, capaci di continuare ad amare, a servire il disegno del Padre, a rivelare da noi lo Spirito, a manifestare un vivere all’insegna del bene, del dono, della generosità, della vera passione. Ciò che contempliamo, ciò che meditiamo, ciò che riviviamo deve aiutarci a concepire la sua e la nostra passione come il modo migliore di vivere. Tutte le volte che facciamo la Via Crucis entriamo in questa sua Passione, che dobbiamo fare anche nostra, sapendo che essa è il vivere di Dio e deve diventare il vivere dell’uomo..

Qui ci lasciamo condurre da “Una vita di Cristo”, scritta dal romanziere milanese, Luigi Santucci (1918-1999), con cui egli ci offre una rilettura dei vangeli, in chiave moderna. Lo scrittore ripercorre la vita di Gesù, come se si trovasse anche lui in quelle situazioni e ci fa sentire presenti in quei momenti, anche perché il Signore è sempre con noi e vive ogni giorno il suo vangelo che trova carne nella nostra carne e diventa spirito e vita nel nostro spirito e nella nostra vita. Dovendo fare il percorso della Passione, andiamo a cercare alcune pagine che riguardano quei momenti. Non sono state scritte per un esercizio come quello della Via Crucis, ma noi ce ne possiamo avvalere per trovare nelle sue parole qualche suggestione che ci faccia desiderare sempre più l’incontro umano con colui che è Dio, essendo uomo, e che fa diventare sempre più figli di Dio, coloro che da soli resterebbero sempre poveri uomini, gravati dal male. Queste parole, molto umane, possono elevare lo spirito a farci desiderare sempre più lo Spirito del Signore. Di fatto in questo primo momento ci fermiamo dentro il Cenacolo, dove si consuma il mistero eucaristico, che è già introduzione al grande evento pasquale: Gesù ci prepara al trauma della violenza successiva, insegnandoci a leggere in quei momenti drammatici più che il tradimento di Giuda, la consegna che Gesù fa di sé; più che l’abbandono e il rinnegamento dei suoi, il desiderio che lui ha di vivere per noi; più che la cattiveria degli uomini, la bontà di Dio che sacrifica suo Figlio..

1 – GESU’ DESIDERA STARE CON I SUOI AMICI

Lo scrittore insiste sul desiderio che ha Gesù di stare a tavola con i suoi, senza nulla nascondere della passione imminente. E su questo non vuole essere contraddetto. Noi lo dobbiamo seguire su questa strada. Ma ce la faremo? Almeno fino a quando è possibile resistere … Leggi tutto “MEDITIAMO LA PASSIONE con: – UNA VITA DI CRISTO “VOLETE ANDARVENE ANCHE VOI?” – di LUIGI SANTUCCI”

Riflessione sul Vangelo della V domenica di quaresima.

Due sorelle, seppur a distanza, dicono la stessa cosa, esprimono il medesimo lamento che suona come un rimprovero verso colui che avevano amico: “Signore, se tu fossi stato qui …”. Ma evidentemente lui non è arrivato per tempo, anche se per tempo era stato avvertito; gli era stato detto che la situazione era tragica. Ma lui ha continuato ad aspettare, con una scusa che noi oggi finiremmo per interpretare male. Convinto che la malattia non è mortale, che, anzi, “è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato”, Gesù non si muove, neppure in presenza dell’appello accorato delle due donne preoccupate per le condizioni del fratello. Poi, quando ormai la situazione ha preso una brutta piega, si decide, finalmente, a muoversi pur con tutti i rischi. Lo sa che è morto; e ora ci va. A che fare? Ormai! Sì, ormai anche le sorelle, sfiduciate, non si aspettano più nulla, anche se la loro fiducia nel Maestro è immutata. E tuttavia non rinunciano a dire il loro disappunto, per questa sua assenza, per questo suo ritardo, per questo suo modo di fare che sembrava poco interessato all’amicizia. Dov’è l’amico, quando uno ha veramente bisogno? Dove sta il taumaturgo, quando noi stiamo male? Perché tarda a dire la sua e a fare qualcosa prima che sia troppo tardi? Oggi, più che mai, le parole delle sorelle di Betania possono essere anche nostre, in presenza dei morti che abbiamo cari e più ancora dei morti di questi giorni che vediamo più che mai abbandonati, proprio quando avrebbero più bisogno di sentirsi sostenuti nell’estremo passaggio, in quel tipo di passamano che li fa sentire sorretti da noi e dalla mano di Dio che li riceve. Spesso, alle esequie, trovo questa pagina, e soprattutto questo sfogo, molto pertinenti alla situazione. Oggi, ancora di più. E come in altre occasioni mi permetto di aggiungere al Signore: “Non rispondermi … non tentare di giustificarti in presenza di questa mia lamentela. Mi basta solo di aver espresso il mio disappunto, aggiungendo poi di provvedere a loro, non a me; di provvedere non a quella risurrezione provvisoria, come è stato nel caso di Lazzaro, ma a quell’incontro beatificante, che mi piacerebbe fosse come quello del buon ladrone, ladro anche nell’estremo istante, ladro, finalmente dalla parte giusta, per avere subito l’accesso al Regno che noi immaginiamo debba passare, per certe categorie di persone, da un periodo di purificazione”. Neppure Marta aveva fatto la richiesta di una risurrezione ritenuta improbabile, e che invece avvenne davanti ai suoi occhi stupefatti. Marta si era limitata a dire a Gesù di intercedere presso il Padre. Anche noi ci aggrappiamo a questa sua mediazione, perché Gesù, uomo come noi, uomo del dolore come noi, può davvero capire il nostro dolore, che è pure il suo, come dimostra, piangendo per l’amico, come dimostra, dicendo al Padre tutta la sua angoscia nella notte più nera. E quando Marta si sente dire da Gesù una dichiarazione che ha come il sapore di un’affermazione dottrinale, non risponde affatto con l’assenso ad una definizione dal sapore filosofico. Lei crede in Lui! Crede nella sua persona. Crede che dentro quella persona c’è lo Spirito stesso di Dio, colui che anche in presenza del male più terribile e più temibile, fa emergere nell’uomo e nella donna tutta la forza e la verità che sono necessarie perché il vivere sia superiore al morire, anche a dover morire. Ecco, anch’io, pur con il grande rammarico di non poter vedere più tante persone care, perse nel passato e perse in questi pochi giorni, quando una specie di bollettino di guerra mi presenta nomi e volti di tanti che sono passati nel mio vivere o nel vivere di altri che hanno sfiorato la mia esistenza, e mi sento sempre più attanagliato da un dolore impotente, da uno sconvolgimento che vorrebbe farmi disperare, voglio qui dire quello che ha detto Marta. In questa occasione la sento davvero grande, Marta, colei che altrove è accusata di essere tutta affaccendata nelle cose e di aver poca profondità nel vivere. Lei, proprio lei dice con fierezza che Gesù è il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo! E anch’ io voglio dirgli non gli elaborati della dottrina, pur utile, ma voglio affermare che è il mio Signore e il mio Dio, più volte dichiarato in questo modo; è colui al quale mi aggrappo, come il ladro in croce, per avere, nel momento della sua morte, tutta la forza della sua vita, e quindi lo Spirito, con la speranza che nella mia morte possa avere la vita eterna, anche ad avere colpe da espiare. Eppure il Signore in croce, nel momento della morte che è il momento della verità, non promette al ladro di averlo con sé dopo che avrà espiato, così come non promette la salvezza a Zaccheo dopo che avrà restituito il maltolto.

“Oggi, oggi, Signore, io ti chiedo la salvezza, quella che tu prometti sempre, accompagnandola con l’“oggi”, non per svilire le nostre colpe, che sono sempre gravi, ma per dare più peso al tuo amore che è sempre più grande”. Semmai, l’espiazione la proviamo ora, nell’angoscioso tormento di sentire sopra il collo l’aria di morte e di non sentire a sufficienza l’aria nei polmoni. Sentiamo piuttosto la vicinanza del Signore, lui che non ha paura di toccare persino il lebbroso, perché guarisca. Eppure gli poteva bastare, anche da lontano, la parola. Sentiamo la sua vicinanza, la medesima del buon Samaritano che non ha paura di sollevare il disgraziato, dopo aver pulito le sue piaghe. Sentiamo la vicinanza anche quando osa entrare nella tomba, prima quella dell’amico e poi la sua, perché fino a quel punto vale la sua incarnazione! E allora può capire – sì, capire – che cosa significa non solo il nostro vivere, ma anche quel momento dell’esistenza umana che è la morte: essa oggi ci sfiora, in coloro che cadono attorno a noi; domani – il più lontano possibile! – ci prenderà, ma sapendo che lui è entrato nel nostro morire, si è rinchiuso nel nostro essere sepolti, noi abbiamo la speranza di essere con lui nel nostro risorgere. E come tende la mano a Lazzaro, dicendogli di venir fuori e di sciogliersi dalle bende, – Lazzaro (= Dio ti aiuta) è proprio colui che nel nome ricorda di avere una mano da Dio – così la tende anche a noi, la tende ora a quanti sono partiti senza che una mano li tenesse; la tende a noi, perché non abbiamo a cadere; la tende a tutti perché ci sentiamo più vicini e più solidali nel vivere e nel morire, superando gli egoismi, le asprezze, le forme di intolleranza che abbiamo lasciato tracimare nel recente passato. Dovremmo essere contenti che Lazzaro sia uscito da quella tomba, ma già si preparano i giorni della passione, con le trame perverse, che non mancano mai, e di cui sembriamo quanto mai esperti quando ci lasciamo dominare dallo spirito del male. Eppure quella passione che Gesù affronta, quella che anche noi stiamo affrontando con lui e come lui, anche ad essere amara ed angosciosa, pesante da sopportare, è passione d’amore. Se la viviamo così, possiamo ritrovarci davvero migliori, anche ad avere di meno, anche a fare di meno, anche a dire di meno. Siamo il meglio, perché ci ritroviamo con lo Spirito del Signore, quello che lui ci sta offrendo con tutto quell’eroismo di grande umanità che ritroviamo in quanti lottano per noi, con noi e – auguriamocelo – come noi!

LEGENDA .

Lo spunto dalla “Legenda” di S. Francesco (5 ottobre 2018)

La figura di S. Francesco, che si celebra come patrono d’Italia, ci viene offerta da una lunga serie di biografie, in ognuna delle quali la fisionomia del santo viene dispiegata sulla base della sensibilità e delle priorità di chi scrive. Le prime biografie hanno il pregio di essere le più vicine ai tempi del santo, perché all’indomani della sua scomparsa si avvertì la necessità di far conoscere i tratti umani e spirituali di colui che ormai tutti riconoscevano come santo, perché vedevano  in lui la fisionomia di Cristo stesso. Del resto si tendeva, anche forzando gli eventi, a dire che ogni episodio della sua vita si potesse ricollegare a ciò che si trova scritto nel vangelo; per questo si arriva a scrivere che lui pure era nato in una stalla e che lui pure porta impressi nella carne i segni della crocifissione.

Le prime biografie vengono definite “LEGENDA”, cioè “cose da leggersi” e quindi erano proposte perché se ne facesse lettura; ovviamente non tutti erano in grado di leggere, ma tutti erano in grado di ascoltare, e, proprio perché si imprimesse la fisionomia del santo, ecco l’utilizzo della grafica pittorica, che a partire da Giotto nella basilica superiore di Assisi ci offre in riquadri episodi della vita di Francesco desunti da quella biografia che allora era in auge e di fatto si era imposta.

Le prime tre biografie, tutte definite “LEGENDA”, compaiono con l’intento di far conoscere la figura del santo sulla base di coloro che sembrano essere i destinatari dell’opera. Leggi tutto “LEGENDA .”

I compagni del crocifisso: il centurione.

UOMO SOLO, SOLO UOMO

Solitamente nella crocifissione di Gesù balza all’occhi la totale solitudine di Cristo, che viene, sì, innalzato da terra ed elevato al cielo, ma di fatto, in quanto pontefice, appare come il naturale ponte fra Dio e gli uomini, in una posizione che sembra vederlo reietto dagli uomini e abbandonato da Dio. Eppure, proprio per questo, egli diventa il prediletto di Dio e diventa il Salvatore degli uomini. Questa sua posizione dobbiamo imparare a riconoscere, volendo esprimergli riconoscenza per quello che ha fatto e per quello che ha vissuto, lui solo. Per quella particolare collocazione in croce si potrebbe dire che egli ci rappresenta tutti davanti a Dio nell’offerta della nostra umanità salvata, e ci rappresenta Dio che per raggiungere noi assume questa stessa umanità segnata dal peccato, anche a non aver, lui, commesso nessun peccato. Nella sua solitaria posizione egli è il solo uomo che si eleva a Dio e che ci eleva tutti a Dio; egli è anche l’uomo solo in cui Dio, mettendo le sue compiacenze, investe il suo vivere e fa diventare divino il nostro vivere umano. Nel momento della morte, con le parole che gli evangelisti mettono in bocca al centurione, egli viene riconosciuto come l’uomo di Dio e come il solo giusto fra gli uomini, che sono, in realtà, tutti colpevoli. Questa sua fisionomia dobbiamo cercare di cogliere meditando su colui che, testimone del suo morire o del suo vivere la morte, ce lo rappresenta come il solo vero uomo, che proprio per questo è anche vero Dio!

UN VERO COMPAGNO DI DIO Leggi tutto “I compagni del crocifisso: il centurione.”

I compagni del crocifisso: il buon ladrone.

GESU’ SOLO CON UN LADRO

Secondo la testimonianza dell’evangelista Giovanni, l’apostolo Tommaso aveva detto con molta chiarezza che tutti sarebbe stati pronti ad andare a morire con lui, quando Gesù aveva preso la decisione di andare in Giudea per l’amico Lazzaro ormai morto, nonostante il clima poco favorevole nei suoi confronti. E altrettanto, se non con più forza, aveva sostenuto Pietro nelle ore immediatamente precedenti la tragedia che li avrebbe travolti. Era pronto a dare la vita per lui; eppure – ed è il Signore stesso ad avvisarlo – di lì a poco lo avrebbe rinnegato, proprio per salvare la pelle. Insomma, con il Maestro non c’è nessuno dei suoi, perché abbandonatolo, nel momento della cattura, se ne fuggirono e non si fecero più vedere, andando a rintanarsi nel cenacolo per paura dei Giudei. L’unico a trovarsi a morire davvero con lui è il buon ladrone. Era costretto, in realtà, dalla condanna a scontare quella pena; e tuttavia in quella posizione lo riconosce innocente, lo riconosce amico, lo riconosce Dio e Salvatore! Ancora una volta dobbiamo riconoscere che Gesù è veramente solo sulla croce, ad ha la sola compagnia di un … ladro assassino. Evidentemente egli ci vuole insegnare che la croce è tale se abbracciata e vissuta in solitudine, perché solo così apre alla vera solidarietà e alla eterna comunione.

IL BUON LADRONE:

VERO COMPAGNO NELLA CROCE E NELLA GLORIA Leggi tutto “I compagni del crocifisso: il buon ladrone.”

I compagni della passione: Il Cireneo.

GESU’ DA SOLO

E NOI SOLIDALI CON LUI

Nelle ore del dolore e delle brutalità, Gesù appare solo. Nessuno dei suoi è con lui, se non Maria, Giovanni e le donne sotto la croce. Il suo grido nello spasimo delle sofferenze fisiche si eleva al cielo, che sembra ancora più opaco, più cupo, più vuoto, e da cui non arriva nessun segnale, come invece era successo in altre circostanze: nessuna voce del Padre si fa sentire ad incoraggiamento e sostegno, nessun gesto dell’Onnipotente arriva a farlo uscire da tanto male. È talmente solo che deve gridare a Dio: “ … perché mi hai abbandonato?”. Sente già di essere lasciato solo in simili frangenti e proprio da Colui che egli continua ad invocare: “Dio mio, Dio mio …”. Lo considera ancora suo, mentre il Padre sembra non degnarlo più neppure di uno sguardo compassionevole. Sembra … e tut-tavia Gesù non è proprio solo totalmente, perché accanto a lui si vedono persone, che noi potremmo definire suoi compagni, coloro che assumono la sua stessa condizione, prendendo la croce come il cireneo, finendo in croce come il ladro pentito, stando sotto la croce a difenderlo come il centurione. Sono i suoi compagni, nel vero senso della parola, perché condividono quel pane amaro che è la sua sofferenza, perché gli stanno vicino, condividendo la medesima situazione, compreso il centurione con la sua dichiarazione che lo fa stare dalla parte del condannato. Questa compagnia vogliamo cercare di considerare, perché noi pure dobbiamo muoverci sulla medesima strada e portare la stessa croce.

IL CIRENEO:  SE QUALCUNO VUOL VENIRE DIETRO A ME … Leggi tutto “I compagni della passione: Il Cireneo.”

Il Libro di Ester.

MEGHILLOT

In questi anni nella giornata per la conoscenza, il rispetto e il dialogo con il mondo religioso ebraico siamo invitati ad entrare più da vicino nei libri definiti MEGHILLOT, cioè “rotoli”, che risultano 5, come lo sono i testi di fondamento posti all’inizio della Scrittura Sacra, e cioè il Pentateuco. Questi rotoli sono usati in occasione di feste considerate “sinagogali”, perché appartengono al periodo in cui le celebrazioni religiose vengono vissute nelle sinagoghe, essendo venuto meno il tempio di Gerusalemme. Leggi tutto “Il Libro di Ester.”