LA SAPIENZA DEL VIVERE- Prolusione di inizio Anno Accademico

 

Il compito di chi nel passare degli anni ha maturato la sapienza e si è fatto un patrimonio di esperienze di vita è la consegna di sé e del proprio vissuto. Le parole sono lo strumento comunicativo per eccellenza e sono la modalità con la quale ciò che si è vissuto appare “spiegato” e quindi “ragionevole”, ma soprattutto “sapienziale”, diventando gustoso, interessante e più che mai appassionante. La consegna è indispensabile; è una sorta di “comandamento”, come l’amore, perché nel comandare “si dà la mano insieme”, come dovrebbe esserci fra le generazioni che si susseguono. Non si danno solo parole, libri, raccomandazioni, racconti o messaggi; ma si investe negli altri la propria persona con quanto uno ha vissuto, ben consapevoli che si trasmette con l’esempio, comunque tradotto in parole che lo spiegano, così come le parole che si dicono, richiedono fatti, azioni, esperienze di vita, altrimenti sono solo “flatus vocis”. Dobbiamo acquisire sempre più una capacità “narrativa” circa le e-sperienze della vita, perché chi ci segue possa apprendere la sapienza e quindi il gusto della vita, e lo possa ricevere in maniera credibile. Questo può aiutare a divenir “padroni di sé e del proprio vissuto”, che dà un maggior senso di sicurezza e quindi di fiducia. Il venir meno di una generazione al suo “dovere” (= ciò che uno ha da dare di sé) di consegna alla generazione che segue crea “dissociazioni” che si trasformano in squilibri personali e soprattutto sociali. È dunque necessario coltivare una riflessione, che non si limiti alla soddisfazione di passare un bel momento, ma che costruisca una coscienza vigile nella comunicazione significativa di sé. Un esempio di consegna,
che viene raccolta e assimilata, è quello riportato nel libro del Siracide, in cui si offre un preambolo al testo, nel quale lo scrivente dice di aver raccolto il messaggio, contenuto nel libro, dalla viva voce e dall’esperienza vissuta del nonno. Costui, poi, ha elaborato il testo in ebraico, che il nipote si premura di tradurre in greco, lingua più diffusa, perché anche altri possano attingervi la vita, per lui divenuta quanto mai significativa, proprio a partire dalla sapienza del nonno, frutto di un vissuto sostanziato dalla ricerca continua, perseguita con tenacia, e nel desiderio di compartecipare e di coinvolgere chi, seguendolo nella vita, ne avrebbe raccolto il testimone. Costui in effetti si premura di tradurre il libro e di far giungere ad altri l’insegnamento ricevuto.

LIBRO DEL SIRACIDE – PROLOGO

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ACTA MARTYRUM: PRIME TESTIMONIANZE STORICHE: LA PASSIONE DEI MARTIRI SCILLITAN-LA PASSIONE DI PERPETUA E FELICITA

INTRODUZIONE

ACTA, PASSIONES, LEGENDAE

Nella prima letteratura cristiana hanno un certo rilievo i testi che
documentano le persecuzioni nei confronti dei cristiani stessi. Esse si sono
scatenate a più riprese in modo organizzato anche per il furore del popolo o
del principe tempo. Se nel I secolo sono dovute in gran parte alle follie di
imperatori, che governavano ricorrendo alla violenza e alla mattanza di
oppositori, come succede al tempo di Nerone (54-68) e di Domiziano (81-96), poi, in presenza di una sorta di resistenza passiva, che li rendeva, come gli Ebrei, irriducibili al potere costituito, i cristiani sono stati ricercati e
condannati. Anche nel II secolo, sotto gli Antonini, o imperatori adottivi,
venivano accusati e puniti perché refrattari alla cultura dominante. Quando il fenomeno persecutorio diventa un sistema che dilaga nell’impero, se ne parla non solo nei testi degli storici, ma anche nei documenti del tribunale che affronta la questione. E di qui passano anche tra le mani dei cristiani.
Nascono così le prime redazioni di resoconti del martirio, soprattutto in
presenza di personaggi che avevano un certo rilievo nella prima Chiesa o nel
territorio dove scoppiavano le persecuzioni. I testi, raccolti e fatti conoscere, sono gli stessi resoconti dei tribunali, sia nel caso che provengano direttamente di lì, magari con la complicità di qualcuno che lavora in tribunale, sia perché il redattore finale lo ricava di lì, essendo presente alla scena. Così i verbali, ridotti all’essenziale, poiché riproducevano le domande degli inquirenti e dei giudici e le risposte dei condannati, diventavano non solo la documentazione storica per il sistema giudiziario romano, ma anche un testo autorevole con cui la comunità cristiana riconosceva e glorificava i suoi eroi.
Quando i cristiani si trovavano a celebrare la memoria dei martiri sulle loro
tombe, leggevano queste composizioni, che in tal modo si aggiungono ai testi biblici; essi poi vengono conclusi con la dossologia, mediante la quale la glorificazione dei caduti per la fede diventa una glorificazione di Dio. In
assenza dei verbali, fioriscono i racconti dei testimoni oculari, o anche di
coloro che sono coinvolti nel martirio e che lasciano come una specie di
testamento, per richiamare, a chi resta, la coraggiosa testimonianza dei
caduti. Simili testi fioriscono in occasione delle persecuzioni che un po’
ovunque si verificano, soprattutto nell’intento di sradicare la “mala pianta”, considerata rovinosa perché mina alla base il sistema di potere.
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S. Clemente: l’autorità di Roma e la fraternità tra le chiese.

S. Clemente nella chiesa di Santa Sofia a Kiev

PREMESSA:

NELL’EPOCA POSTAPOSTOLICA

E LA SITUAZIONE A CORINTO

Fra gli scritti dei primi anni dopo la redazione dei testi neotestamentari (vangeli e lettere apostoliche), spiccano alcuni, che al loro primo apparire vengono catalogati come testi ispirati, e quindi parte integrante del “canone biblico”. Poi però, anche ad essere sempre ben valutati, e a farvi ricorso nelle circostanze che presentano i medesimi problemi, non dovunque sono inscritti nell’insieme dei libri biblici, e di fatto in poco tempo si troverà estromesso da essi. Uno fra i documenti meglio apprezzati e circondati da stima e onore, è la lettera scritta da Clemente, che è il quarto vescovo di Roma, e che assume un rilievo non indifferente nella Chiesa di allora, grazie a questo scritto. Si tratta di una missiva per i cristiani di Corinto, dove continuavano le divisioni già documentate nella prima lettera di S. Paolo ai cristiani di quella città. Siamo comunque a 40 anni circa dal testo paolino; e quindi le persone a cui Clemente si rivolge sono altre; ma il problema persiste, segno di una comunità segnata da questo male, ben radicato. L’apostolo, fin dalle prime battute della sua lettera tocca l’argomento, rilevando la presenza di “partiti”, cioè di gruppi che facevano riferimento all’appartenenza a qualche figura carismatica. Non sembra che ci siano forme di eresie, e quindi di dottrine varie e contrapposte; prevale invece quel tipo di personalismo che non favorisce affatto la familiarità e la fraternità.

1Corinzi, 1,10-12

Vi esorto pertanto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, a essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire. Infatti a vostro riguardo, fratelli, mi è stato segnalato dai familiari di Cloe che tra voi vi sono discordie. Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: Io sono di Paolo, io invece sono di Apollo, io invece di Cefa, e io di Cristo.

Se anni dopo – siamo alla fine del I secolo – il medesimo clima affiora, vuol dire che un simile malessere è radicato: non basta più la lettera di Paolo, che pur si dovrebbe ritenere un intervento autorevole e da considerarsi indiscutibile; occorre che la figura di spicco in quel periodo prenda posizione, aggiornando la lettura della questione. Leggi tutto “S. Clemente: l’autorità di Roma e la fraternità tra le chiese.”

S. Ignazio di Antiochia e le sette lettere

PREMESSA:

SCRITTI APOSTOLICI E POST-APOSTOLICI

C’è una copiosa letteratura cristiana antica, ai più poco nota, che rivela una produzione di notevole valore e meritevole di essere conosciuta anche oltre gli addetti ai lavori, anche oltre i credenti, che comunque ben raramente vi si accostano. La produzione scritta si sviluppa già ai primi tempi: si conoscono diverse lettere spedite dagli apostoli alle loro comunità, di cui si conservano quelle che oggi appartengono al “canone” e sono quindi ritenute “ispirate”. Nelle stesso periodo i detti di Gesù venivano diffusi per via orale, attraverso la predicazione dei discepoli, che raccontavano le proprie esperienze e mettevano in luce gli episodi necessari per illustrare meglio la dottrina, cioè gli elementi qualificanti del vivere e dell’operare di chi voleva essere cristiano e voleva testimoniare la propria fede. Poi, forse anche per la congerie di documenti e soprattutto di versioni che potevano anche allargarsi a comprendere pure ciò che non si poteva ritenere uscito dalla bocca del Maestro, si arrivò alla decisione di scrivere quei libri che sono noti come “Vangeli”, in quanto contengono la “bella notizia” che ha come protagonista Gesù di Nazareth. Tra questi libri, scritti probabilmente dopo la catastrofe di Gerusalemme distrutta dai Romani nel 70, e proprio perché di qui si ebbe il distacco dei cristiani dal mondo ebraico, così duramente provato con la rivolta finita male, emergono i quattro considerati “canonici”, perché tutte le Chiese li ritengono tali, mentre altri, poi definiti “apocrifi”, non sono ritenuti ispirati e quindi essenziali per la fede da parte di tutte le Chiese sparse nel mondo occidentale e orientale dell’Impero. La medesima considerazione accompagna i testi attributi a Paolo, e cioè le sue lettere scritte a diverse comunità, che sempre più, già in questo periodo si utilizzano negli incontri di preghiera. Questa fase di valorizzazione di testi scritti, accanto alle comuni-cazioni orali che continuano, non si esaurisce con l’età “apostolica”, cioè quando sono ancora vivi e operanti coloro che sono stati protagonisti con Gesù del vangelo, essendo stati designati da lui. Quando, verso la fine del secolo I, si esaurisce questa età, perché scompaiono gli apostoli e si passa all’età successiva, il posto di guida viene affidato ai collaboratori, che li hanno seguiti e sono diventati i loro successori, con la designazione di “ispettori” (in greco = episcopoi). Anche costoro ricorrono a lettere e ad altro genere di scritti per comunicare la fede e soprattutto dare istruzioni e incoraggiamenti alle comunità non facilmente raggiungibili. Leggi tutto “S. Ignazio di Antiochia e le sette lettere”

Storia della Cina: Francesco Saverio e i primi gesuiti in Cina

INTRODUZIONE

L’opera storica che Matteo Ricci scrive ha come titolo: “Della entrata della Compagnia di Giesù e Christianità nella Cina”. Per la lingua che usa e, più ancora, per il genere di contenuti che vi trovano ampio spazio, si deve pensare che essa non si preoccupi di dialogare con il mondo cinese, come avviene invece in altre opere da lui lasciate. Questo è evidentemente un lavoro che deve spiegare in Occidente e, in modo particolare, nel mondo cattolico, come sia stata condotta l’attività missionaria che il gesuita marchigiano si prefiggeva di compiere e che costituiva l’assillo fondamentale del nuovo Ordine religioso, da poco fondato e già schierato sui diversi fronti dei luoghi geografici che erano stati contattati nei viaggi avventurosi del secolo. Se in altri settori Ricci si rivela un uomo ben avviato negli studi scientifici e soprattutto preoccupato di comunicare in maniera rispettosa con il mondo cinese, qui, in un ambito più propriamente storico, tenuto conto che deve riferire alla Compagnia, secondo le richieste del fondatore, fatte ai suoi missionari in giro per il mondo, vediamo emergere una cura più attenta, da parte dello scrittore, per giustificarsi nel suo modo di operare. Egli si deve mettere sul solco dei suoi immediati predecessori, che hanno aperto la strada per la presenza, non solo degli occidentali, ma soprattutto dei missionari del vangelo in Cina. Se Ricci appare spesso dominato da un tipo di “curiosità” scientifica, che lo fa essere attento alla cultura cinese e dialogante con essa, qui si fa strada, più che lo storico, il cronista della missione, e quindi colui che deve spiegare ai superiori le linee guida della sua azione, in cui predomina l’obiettivo di proporre il vangelo e di farlo conoscere con lo spirito dei pionieri. Costoro, anni prima della sua venuta in Cina, hanno comunicato il vangelo secondo l’impostazione allora perseguita di ottenere conversioni e adesioni alla Chiesa, già squassata da scismi ed eresie, che in Europa avevano lacerato la sua unità e compattezza. Soprattutto a partire dalla intraprendenza dei Portoghesi, i Gesuiti cercavano di accompagnarsi a loro, anche perché i Lusitani avevano una buona flotta e notevoli interessi un po’ dovunque, nell’intento di creare punti di approdo, a partire dai quali potevano creare sbocchi di mercato per raccogliere materiale e smerciare. Da quando erano iniziati i viaggi sull’Atlantico con l’intenzione di raggiungere più facilmente quello che nella geografia di allora risultava l’Oriente, senza la cognizione che ci fosse un continente in mezzo, l’obiettivo rimaneva comunque Cipango (Giappone) e Catai (Cina), ma più ancora l’India sempre considerata “favolosa” per le ricchezze che si ipotizzava di trovarvi. Leggi tutto “Storia della Cina: Francesco Saverio e i primi gesuiti in Cina”

MARCIA SU ROMA

Benito Mussolini, durante la marcia su Roma, con i quadrumviri:

da sinistra Emilio De Bono, Italo Balbo e Cesare Maria De Vecchi.

Il militante in primo piano a sinistra copre la figura di Michele Bianchi.

La foto fu scattata il 30 ottobre

quando Mussolini arrivò a Roma, convocato da Vittorio Emanuele III.

GLI EVENTI

E IL GIUDIZIO STORICO:

UN FATTO EVERSIVO

E COSTITUZIONALE

1

INTERPRETAZIONE DEL FATTO

Questo evento (la marcia su Roma) e questa data (il 28 ottobre 1922) sono ormai entrati nei libri di storia come l’avvio del regime fascista in Italia. Contribuì a questa lettura già lo stesso regime, che nella nuova datazione, obbligatoria sui documenti ufficiali, si faceva partire tutto da lì e naturalmente tendeva a presentare i fatti successi con un alone mitico e, per certi versi, addirittura epico, quasi fosse stato concepito e realizzato un evento grandioso e glorioso, come se fosse stata combattuta una battaglia degna di essere enfatizzata, e di lì derivasse qualcosa di decisivo che segnava una sorta di spartiacque. Il fascismo già esisteva e la sua nascita è da far risalire al 1919, quando a Milano vengono fondati i Fasci di combattimento. Invece il regime, inteso come sistema totalitario, non è propriamente realizzato qui, se il governo presieduto da Mussolini è ancora di coalizione e i partiti hanno pur sempre voce in Parlamento. L’azione, considerata di forza e messa in campo con manipoli di milizie non inquadrate nell’esercito, si rivela di fatto una manifestazione, che poteva diventare eversiva e che in realtà non ha prodotto alcunché. Piuttosto il fatto mediante il quale si può dire che prende avvio la dittatura fascista è il famoso discorso di Mussolini alla Camera del 3 gennaio 1925. Tuttavia già nell’insediamento del suo primo governo le parole usate da Mussolini non lasciano dubbi circa la maniera con cui egli vuole prendere e tenere il potere e di fatto dall’incarico ricevuto nell’ottobre 1922 egli diventa Capo del governo, che poi presiedette fino al Gran Consiglio del 25 luglio 1943. I giudizi storici, che furono – e sono ancora – emessi sugli inizi della dittatura, sono di fatto legati a questo episodio, che fu ingigantito dal regime stesso e che invece deve essere meglio riletto, anche per capire la natura di certi eventi. Il partito, che qui pretende di avere la gestione del governo, nonostante l’esigua rappresentanza in Parlamento, sulla base dei risultati elettorali, proprio per questa sua determinazione, e per i fatti che accompagnano la sua richiesta di avere e di esercitare direttamente il potere, con il ricorso alla violenza, esprime parole e azioni che devono essere considerate di natura eversiva. Lo dimostra mettendo in campo uomini armati che convergono su Roma; nello stesso tempo si deve riconoscere che sia i dirigenti di partito, sia gli affiliati che vengono messi in campo esprimono la volontà di andare contro la legalità. E tuttavia non viene prodotto nulla di anticostituzionale, se di fatto è il re a chiamare Mussolini al governo. Insomma, la lettura da fare circa quanto è successo in quei momenti, non può essere lasciata alla retorica usata dal regime, quando lo diventa; e neppure va considerata a partire dalla retorica opposta che maschera la reale incapacità dei partiti di opposizione di comprendere i fenomeni in corso e di porvi gli argini necessari. Una lettura più attenta di ciò che è successo in quel giorno deve servire a comprendere eventi analoghi, mai identici, che possono generarsi e dare origine a fenomeni sicuramente aberranti. Se davvero questa “marcia”, poi ostentata con la figura possente del capo del fascismo che sta avanti alle sue “truppe di occupazione” – ma questo non avvenne affatto – è da considerarsi l’episodio emblematico della nascita di una dittatura, come il regime voleva e come i partiti d’opposizione hanno pure pensato, allora noi dovremmo vedervi una occupazione di stampo militare che non ci fu.

FU UN COLPO DI STATO? Leggi tutto “MARCIA SU ROMA”

Fermo e Lucia: pagine a confronto.

LA REVISIONE DEL ROMANZO

La lettura che oggi si fa del “Fermo e Lucia” ha come scopo la verifica del profondo cambiamento che interviene nella stesura del romanzo, la quale risulta definitiva nell’edizione del 1840-42, quella poi divenuta ben nota al largo pubblico, che però non conosce e non legge la prima redazione. C’è indubbiamente un notevole cambiamento, anche se l’impianto della vicenda rimane immutato: gli stessi personaggi cambiano (alcuni persino nel nome, come lo stesso protagonista, Renzo); l’impostazione del percorso appare alla fine più organico, come se l’argomento stesso venisse maggiormente padroneggiato e meglio costruito; più ancora, il lessico e il linguaggio vengono talmente ripuliti da fluire con maggior scioltezza, e ne trae giovamento il racconto; anche il ridimensionamento di storie collaterali contribuisce a rendere più organico il racconto stesso. Il lavoro che ne deriva richiede parecchi anni, e soprattutto uno sforzo non indifferente in diverse direzioni, anche sotto la spinta di amici, che gli suggeriscono quel genere di limatura, che per lui diventerà revisione totale e, per certi versi, anche radicale.

Una volta finita la prima stesura del romanzo, o, come aveva scritto a Fauriel, il “noioso guazzabuglio”, il “grosso fascio di carte”, prima di mettersi a rielaborare il tutto aveva ascoltato e meditato i suggerimenti degli amici. Fauriel arrivò a Milano nel novembre del ’23, progettando un soggiorno fino all’aprile seguente. I suoi consigli furono preziosi, e la ripresa del lavoro ebbe luogo in gran parte dopo la sua partenza. Da allora in poi, tutto seguì con straordinaria sollecitudine. Il 30 giugno, infatti, lo stampatore, che anche questa volta era il Ferrario, inviava al R. I. Ufficio di Censura “il primo tomo del Romanzo storico del Signore Alessandro Manzoni intitolato Gli Sposi Promessi”. È chiaro, visto le date, che in tre o quattro mesi Manzoni aveva dovuto rifare i dieci capitoli di cui era composto il primo tomo. La tecnica era questa: sul margine di sinistra del foglio riscriveva quanto era stato scritto nella colonna di destra che recava la prima minuta (cioè il Fermo e Lucia). Come sempre succede, le correzioni meno importanti erano rimandate al lavoro sulle bozze. Prevedeva di avere pronto tutto il romanzo per la tipografia prima della fine d’ottobre del ’23; anche se, per esperienza, non si faceva troppe illusioni. Nel render conto nell’agosto a Fauriel, ancora a Parigi, di quanto era riuscito fino allora a fare, “in coscienza” Manzoni osservava: “I materiali sono ricchi: tutto ciò che può far fare agli uomini una triste figura c’è in abbondanza, la sicurezza nell’ignoranza, la presunzione nella stupidità, la sfrontatezza nella corruzione, sono ahimè i caratteri più salienti di quell’epoca, fra molti altri dello stesso genere. Leggi tutto “Fermo e Lucia: pagine a confronto.”

PERSONAGGI A CONFRONTO: IL CONTE DEL SAGRATO LA MONACA DI MONZA

PERSONAGGI IN CERCA D’AUTORE

L’idea del romanzo derivò dunque da un cronista e da un economista, fonti del tutto degne di un tenace illuminista. E fu in quelle pagine ch’egli scoprì una grida sui matrimoni impediti. Questo matrimonio contrastato sarebbe stato per lui un buon soggetto per un romanzo, che avrebbe avuto come finale grandioso la peste “che aggiusta ogni cosa”. Così prima di pensare agli avvenimenti e ai personaggi, egli intendeva fissare con sicurezza le condizioni economiche, civili e politiche di un popolo, nella prima metà del XVII secolo. Sino al 1821 Manzoni non parlava che di liriche e di tragedie. Al ritorno da un viaggio a Parigi, pensa sì all’Adelchi, ma l’idea del romanzo si fa più insistente. Non può togliersi dalla testa la lettura di quelle grida, le figure di quei bravi. Nell’aprile del 1821 si mette a scrivere e informa quasi periodicamente il Fauriel dei progressi del suo lavoro. E furono due anni percorsi da una strana forma di allegria, quale non aveva mai provato. Furono insomma gli anni più felici della sua vita. E confesserà al suo amico e parente, il Giorgini (suo genero, avendo sposato la figlia di Manzoni, Vittoria), che alzarsi ogni mattino con le immagini vive del giorno innanzi alla mente, scendere nello studio, tirar fuori dal cassetto dello scrittoio qualcuno di quei soliti personaggi, disporli davanti a sé come tanti burattini, osservarne le mosse, ascoltarne i discorsi, poi mettere in carta e rileggere, era un godimento così vivo come quello di una curiosità soddisfatta. Sembra quasi sentire Pirandello dinanzi ai suoi personaggi, giulivo, anche se la materia che trattava fosse nera e dolorosa. (Macchia, p. 50-52) Leggi tutto “PERSONAGGI A CONFRONTO: IL CONTE DEL SAGRATO LA MONACA DI MONZA”

Nel bicentenario di Fermo e Lucia.

INTRODUZIONE: UNA NUOVA FASE

In un tempo relativamente breve, quello tra il 1821 e i 1823, Manzoni arriva a comporre la storia che poi diventerà famosa nell’edizione del romanzo di vent’anni dopo. Qui elabora la vicenda dei due giovani, con il corollario di altre vicende personali, che potrebbero essere storie a sé stanti, anche se poi vi metterà mano per una revisione sostanziale che riguarda i contenuti, ma soprattutto la forma espressiva. Comunque il canovaccio, che troviamo poi nelle edizioni successive, anche con i tagli doverosi, emerge fin dalla prima stesura ed è il frutto di una ricerca che lo interesserà per molto tempo. Qualcuno ipotizza che si tratti di due storie diverse. Ma così non è, anche se la conduzione della trama presenta differenze e gli stessi personaggi sono proposti con nomi e caratteri diversi. La lettura, a cui ci ha abituati la scuola, è quella condotta sulla edizione definitiva. Qui è utile conoscere il lavoro non indifferente che ha portato al capolavoro, tenendo conto che simile operazione non è solo un lavoro di rifinitura, ma è soprattutto la ricerca di un modo di scrivere che ha prodotto qualcosa che è ben di più di un romanzo, di un libro, di un’opera letteraria: qui è stato avviato un percorso che ha contribuito a costruire la cultura popolare di un Paese, ancora tutto da realizzare.

Non esiste forse romanzo la cui nascita resti più misteriosa. Noi non sappiamo, e forse non sapremo mai, attraverso quali tentativi il Manzoni si sia deciso ad affrontare il romanzo, anzi il romanzo popolare. Quali prove in campo narrativo lo resero sicuro di possedere quanto fosse necessario per lavorare in maniera ampia e decisiva su un genere con cui non si era mai cimentato, e per dar vita a personaggi, all’immagine della sua città, della sua terra e descrivere paesaggi sereni, e delitti e crudeltà atroci? Quale forza, quale determinazione lo spinsero insomma a cacciarsi in un’impresa che fu la sua gloria e il suo tormento … (Macchia, p. 49) Leggi tutto “Nel bicentenario di Fermo e Lucia.”

Pietro il Grande.

LA RUSSIA ENTRA NEL MONDO EUROPEO

Il regno di Pietro il Grande coincise con la più grande trasformazione vissuta dalla Russia fino alla Rivoluzione del 1917. A differenza della Rivoluzione sovietica, tuttavia, la trasformazione imposta alla Russia da Pietro ebbe uno scarso impatto sull’ordinamento sociale, poiché il servaggio rimase e i nobili mantennero tutte le loro prerogative. Ciò che Pietro cambiò fu la struttura e la forma dello Stato, trasformando il tradizionale regno zarista in una variante della monarchia europea. Pietro impose al tempo stesso profondi mutamenti alla cultura russa, con un lascito che persiste tutt’oggi accanto alla sua nuova capitale San Pietroburgo. (Bushkovitch, p.93)

In questa breve presentazione del capitolo dedicato alla figura e all’opera di Pietro il Grande, si coglie il grande ruolo che ha avuto questo personaggio nella storia della Russia, diventando pure egli una sorta di mito. Anche ad avere molte informazioni ed anche a riconoscerle veritiere, il personaggio si staglia nella storia russa come una figura unica e gigantesca per il ruolo che ha giocato. Molto è dovuto a lui circa l’apertura nei confronti dell’Europa, dalla quale ha cercato di ricavare il meglio per un ammodernamento delle strutture statali della Russia. Pietro il Grande ha sempre cercato di inserire la Russia tra le potenze europee, non solo per competere con i vicini, che sotto il profilo territoriale non potevano vantare il medesimo spazio vitale della Russia, ma potevano comunque ostacolarne il passaggio per competere con le grandi potenze centrali, come la Prussia, l’Austria, o, ancora più in là, la Francia e l’Inghilterra. Se evidentemente voleva competere con esse, la Russia avrebbe dovuto attrezzarsi di strumenti che risultavano in quel tempo, come assolutamente indispensabili alla costruzione di un Paese dalle pretese imperialiste. Una struttura appesantita dalla zavorra di tipo feudale, come era il sistema dei boiari, non avrebbe mai consentito la costruzione di un Paese più moderno, che sarebbe potuto diventare con la crescita della classe borghese, quella che cerca di allargare il campo del mercato e insieme anche un tipo di produttività che permetta il commercio fuori dei confini nazionali. Lo zar si rende conto che una simile struttura è possibile solo con la libera imprenditoria, quella che va alla ricerca di nuovi spazi, di nuovi mercati, di nuove attività, costruite grazie all’ingegno, alla concorrenza e ai capitali finanziari.  Leggi tutto “Pietro il Grande.”