LA SAPIENZA DEL VIVERE- Prolusione di inizio Anno Accademico

 

Il compito di chi nel passare degli anni ha maturato la sapienza e si è fatto un patrimonio di esperienze di vita è la consegna di sé e del proprio vissuto. Le parole sono lo strumento comunicativo per eccellenza e sono la modalità con la quale ciò che si è vissuto appare “spiegato” e quindi “ragionevole”, ma soprattutto “sapienziale”, diventando gustoso, interessante e più che mai appassionante. La consegna è indispensabile; è una sorta di “comandamento”, come l’amore, perché nel comandare “si dà la mano insieme”, come dovrebbe esserci fra le generazioni che si susseguono. Non si danno solo parole, libri, raccomandazioni, racconti o messaggi; ma si investe negli altri la propria persona con quanto uno ha vissuto, ben consapevoli che si trasmette con l’esempio, comunque tradotto in parole che lo spiegano, così come le parole che si dicono, richiedono fatti, azioni, esperienze di vita, altrimenti sono solo “flatus vocis”. Dobbiamo acquisire sempre più una capacità “narrativa” circa le e-sperienze della vita, perché chi ci segue possa apprendere la sapienza e quindi il gusto della vita, e lo possa ricevere in maniera credibile. Questo può aiutare a divenir “padroni di sé e del proprio vissuto”, che dà un maggior senso di sicurezza e quindi di fiducia. Il venir meno di una generazione al suo “dovere” (= ciò che uno ha da dare di sé) di consegna alla generazione che segue crea “dissociazioni” che si trasformano in squilibri personali e soprattutto sociali. È dunque necessario coltivare una riflessione, che non si limiti alla soddisfazione di passare un bel momento, ma che costruisca una coscienza vigile nella comunicazione significativa di sé. Un esempio di consegna,
che viene raccolta e assimilata, è quello riportato nel libro del Siracide, in cui si offre un preambolo al testo, nel quale lo scrivente dice di aver raccolto il messaggio, contenuto nel libro, dalla viva voce e dall’esperienza vissuta del nonno. Costui, poi, ha elaborato il testo in ebraico, che il nipote si premura di tradurre in greco, lingua più diffusa, perché anche altri possano attingervi la vita, per lui divenuta quanto mai significativa, proprio a partire dalla sapienza del nonno, frutto di un vissuto sostanziato dalla ricerca continua, perseguita con tenacia, e nel desiderio di compartecipare e di coinvolgere chi, seguendolo nella vita, ne avrebbe raccolto il testimone. Costui in effetti si premura di tradurre il libro e di far giungere ad altri l’insegnamento ricevuto.

LIBRO DEL SIRACIDE – PROLOGO

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AL SEPOLCRO DI GESÙ.

E FU SEPOLTO

Ancora oggi nella formula di fede, con cui pubblicamente i cristiani esprimono la loro adesione al Signore Gesù, essi dicono di credere a tutto ciò che Gesù ha vissuto nel suo percorso terreno, compresa la conclusione della sua sepoltura, mediante la quale “si mette una pietra sopra”, per dire così che tutto è finito. Ma quel fatto, pur così importante, se ancora viene segnalato nella professione di fede, non è affatto l’ultima parola con cui viene chiusa l’esistenza terrena di Gesù. La sepoltura risulta sola-mente un passaggio che introduce ad un mondo diverso: se Gesù è vis-suto dentro uno spazio preciso, come quello della Palestina, e dentro un periodo storico, come quello dell’Impero di Augusto e di Tiberio, con la morte noi dovremmo considerare chiusa definitivamente la sua esistenza, e così lo spazio è solo quello di una tomba che lo racchiude e il tempo, che continua a procedere, per lui si è fermato. Eppure questa sepoltura non è affatto la parola definitiva per Gesù: la nostra fede ci dice che lui ha superato le barriere della morte, per entrare in un’altra condizione di vita. Fa in modo di essere visto, e alcuni possono raccontare di averlo incontrato, perché lui si è mosso a cercarli. Ma egli vive in una dimensione nuova, se non altro perché lo vedono contemporaneamente in luoghi diversi, perché la sua presenza fisica non risulta spiegabile secondo criteri scientifici, anche se c’è gente che dice di averlo visto vivo, quando in precedenza avevano dovuto costatare che era morto e che era stato sepolto, per quanto la sua tumulazione risulterà essere stata provvisoria. Non lo è stata, perché chi ha fatto questa operazione aveva già in mente l’ipotesi della risurrezione, come un dato sicuro ed incontestabile sulla base di ciò che Gesù aveva anticipato. La ragione della fretta di depositarlo nella tomba derivava dal fatto che non avevano lassi di tempo per una operazione del genere, essendo imminente la festa di Pasqua e il comando rituale del riposo più rigoroso. Comunque nella tomba viene collocato ed era destinato a rimanere, così come erano assolutamente certe le donne di ritrovarlo disteso e pronto per le azioni necessarie a ripulirlo e a comporlo secondo le usanze, ma più ancora secondo le esigenze dell’affetto che le legava a quell’uomo. E se esse conservavano il desiderio di intervenire per lui, questa loro attesa spingeva ad affrettarsi, perché di buon mattino fossero sul posto a continuare la loro opera di devozione. Leggi tutto “AL SEPOLCRO DI GESÙ.”

MARCIA SU ROMA

Benito Mussolini, durante la marcia su Roma, con i quadrumviri:

da sinistra Emilio De Bono, Italo Balbo e Cesare Maria De Vecchi.

Il militante in primo piano a sinistra copre la figura di Michele Bianchi.

La foto fu scattata il 30 ottobre

quando Mussolini arrivò a Roma, convocato da Vittorio Emanuele III.

GLI EVENTI

E IL GIUDIZIO STORICO:

UN FATTO EVERSIVO

E COSTITUZIONALE

1

INTERPRETAZIONE DEL FATTO

Questo evento (la marcia su Roma) e questa data (il 28 ottobre 1922) sono ormai entrati nei libri di storia come l’avvio del regime fascista in Italia. Contribuì a questa lettura già lo stesso regime, che nella nuova datazione, obbligatoria sui documenti ufficiali, si faceva partire tutto da lì e naturalmente tendeva a presentare i fatti successi con un alone mitico e, per certi versi, addirittura epico, quasi fosse stato concepito e realizzato un evento grandioso e glorioso, come se fosse stata combattuta una battaglia degna di essere enfatizzata, e di lì derivasse qualcosa di decisivo che segnava una sorta di spartiacque. Il fascismo già esisteva e la sua nascita è da far risalire al 1919, quando a Milano vengono fondati i Fasci di combattimento. Invece il regime, inteso come sistema totalitario, non è propriamente realizzato qui, se il governo presieduto da Mussolini è ancora di coalizione e i partiti hanno pur sempre voce in Parlamento. L’azione, considerata di forza e messa in campo con manipoli di milizie non inquadrate nell’esercito, si rivela di fatto una manifestazione, che poteva diventare eversiva e che in realtà non ha prodotto alcunché. Piuttosto il fatto mediante il quale si può dire che prende avvio la dittatura fascista è il famoso discorso di Mussolini alla Camera del 3 gennaio 1925. Tuttavia già nell’insediamento del suo primo governo le parole usate da Mussolini non lasciano dubbi circa la maniera con cui egli vuole prendere e tenere il potere e di fatto dall’incarico ricevuto nell’ottobre 1922 egli diventa Capo del governo, che poi presiedette fino al Gran Consiglio del 25 luglio 1943. I giudizi storici, che furono – e sono ancora – emessi sugli inizi della dittatura, sono di fatto legati a questo episodio, che fu ingigantito dal regime stesso e che invece deve essere meglio riletto, anche per capire la natura di certi eventi. Il partito, che qui pretende di avere la gestione del governo, nonostante l’esigua rappresentanza in Parlamento, sulla base dei risultati elettorali, proprio per questa sua determinazione, e per i fatti che accompagnano la sua richiesta di avere e di esercitare direttamente il potere, con il ricorso alla violenza, esprime parole e azioni che devono essere considerate di natura eversiva. Lo dimostra mettendo in campo uomini armati che convergono su Roma; nello stesso tempo si deve riconoscere che sia i dirigenti di partito, sia gli affiliati che vengono messi in campo esprimono la volontà di andare contro la legalità. E tuttavia non viene prodotto nulla di anticostituzionale, se di fatto è il re a chiamare Mussolini al governo. Insomma, la lettura da fare circa quanto è successo in quei momenti, non può essere lasciata alla retorica usata dal regime, quando lo diventa; e neppure va considerata a partire dalla retorica opposta che maschera la reale incapacità dei partiti di opposizione di comprendere i fenomeni in corso e di porvi gli argini necessari. Una lettura più attenta di ciò che è successo in quel giorno deve servire a comprendere eventi analoghi, mai identici, che possono generarsi e dare origine a fenomeni sicuramente aberranti. Se davvero questa “marcia”, poi ostentata con la figura possente del capo del fascismo che sta avanti alle sue “truppe di occupazione” – ma questo non avvenne affatto – è da considerarsi l’episodio emblematico della nascita di una dittatura, come il regime voleva e come i partiti d’opposizione hanno pure pensato, allora noi dovremmo vedervi una occupazione di stampo militare che non ci fu.

FU UN COLPO DI STATO? Leggi tutto “MARCIA SU ROMA”

Pasqua 2023: Il Signore è risorto!

CRISTO SIGNORE E’ RISORTO!

Non sta rinchiuso nelle viscere della terra. Vuole raggiungere i suoi.

Si fa vedere ai suoi. Si fa incontrare. Entra nel cuore di ciascuno …

Io l’ho visto! Io l’ho incontrato! Io lo porto con me!

Non è cambiato il quadro del mondo, sempre segnato dal male …

Ma a chi si fa vedere e a chi arriva a vederlo, a incontrarlo, cambia il cuore.

E tu l’hai visto? Tu lo hai incontrato sui tuoi passi? E ti senti cambiato?

Non fa cose prodigiose per convincere. È lui già un prodigio!

La sua “passione” è affascinante, perché lui ci mette e ci rimette …

Qualcuno l’ha davvero visto in giro? E l’ha visto con la passione nel cuore?

Allora ce ne sono altri come lui a portare attorno la passione.

Allora questa sua passione sta diventando il nuovo vivere per tutti.

Veramente è stato visto! Veramente chi l’ha visto si sente più vivo che mai

CRISTO RISORTO E’ ANCORA TRA NOI!

Se ne accorge chi non si lascia sgomentare dal tanto male diffuso …

Lo fa vedere chi invece di lamentarsi si rimbocca le maniche per il bene …

Lo porta con sé chi, credendoci davvero, si fa credibile agli altri …

Lo vive chi non si lascia umiliare e risponde sempre con la passione …

Lo può dire chi ce l’ha dentro e lo sa comunicare come la vera gioia …

Lo testimonia chi, anche a passare dal dolore, ha la speranza di uscirne …

RISORGIAMO ANCHE NOI CON LUI!

HA VINTO E VINCE ANCORA LA MORTE

Questa icona bizantina è la celebrazione della risurrezione con la discesa di Gesù agli Inferi: lì, dopo aver scardinato le porte, che ha sotto i suoi piedi, e che nella voragine aperta rivelano il mondo sotterraneo nel buio più completo, dentro il quale tutti i suoi elementi (chiavi, chiodi, bulloni e cardini …) sono gettati via, il Risorto fa uscire dalle loro tombe i progenitori, Adamo ed Eva, afferrati per i polsi ed elevati a sé con la sua grande energia. Egli è il Risorto immerso nella mandorla divina, simbolo di fertilità e di rinascita, come è l’uovo di Pasqua, e rivestito di un abito luminoso e splendente. Attorno i santi patriarchi e profeti lo indicano come colui nel quale si compiono le promesse divine. Così il mondo può rinascere, come ben si vede nella montagna che sta dietro e che sembra spaccarsi per far uscire il nuovo seme di vita, colui che è davvero, come Vincitore della morte, il Dio della Vita.

IL RISORTO CI PRECEDE

(Omelia di Pasqua di don Primo Mazzolari)

Chi ci rimuoverà la pietra dall’ingresso del sepolcro?” (Marco 16,3). Così di-cevano Maria Maddalena, la madre di Giacomo, e Salome, mentre la mattina del primo giorno della settimana, molto per tempo, andavano al sepolcro per imbalsamare Gesù. Quando si oscurano in noi le grandi certezze della fe-de e della speranza, i nostri problemi divengono meschini, e banali le nostre preoccupazioni. Guardiamoci intorno, o meglio consultiamo noi stessi. Il vecchio mondo s’inabissa, il nuovo faticosamente emerge da un mare di do-lori e di sangue: e noi quasi non ci facciamo caso … Nessuno e niente fer-merà il crollo: nessuno e niente arresterà la novità che cammina con passo sicuro. È come la Pasqua; è la Pasqua: poiché ogni cosa che muore, come o-gni cosa che incomincia a vivere nella morte, è un aspetto della Pasqua. Nes-suno e niente può fermare la Pasqua: non la paura coagulata dei piccoli uo-mini, non le coalizioni dei più divergenti interessi e dei più contrastanti sen-timenti, non le guardie più o meno prezzolate poste a custodia dei sepolcri della storia. Credo ai terremoti che scuotono le profondità della storia, e agli angeli, che li guidano e che siedono sereni sulle pietre rovesciate dei sepol-cri per gli annunci che fanno paura soltanto agli uomini senza fede. A nessu-na delle tre donne che camminano verso il sepolcro canta in cuore l’Alleluia della grande speranza. L’Alleluia è nato spontaneamente dall’infinita bontà del Signore, che, invece di guardare alla nostra mancata attesa, pone il suo sguardo pietoso sul nostro bisogno di vita. La Pasqua si ripete. Quanti cre-dono veramente al Risorto? Quanti, fra gli stessi che in questi giorni affol-lano le chiese, sentono negli attuali avvenimenti il ritorno del Cristo, come sentiamo nell’aria e nei campi il ritorno della primavera? Chi di noi vuole la Pasqua, come un impegno, preso nell’Eucaristia, per la giustizia, la pace e la carità di Cristo nel mondo? Come le donne ci mettiamo in cammino all’alba verso le chiese. Non sappiamo sottrarci a certi misteriosi richiami e abbiamo gli aromi per imbalsamare Gesù … Il nostro sacramento pasquale è ancora u-na volta un atto di pietà, come se il Signore avesse bisogno di piccole pietà: i morti vogliono la pietà, il vivente vuole l’audacia. “Non vi spaventate. Gesù è risorto, non è qui. questo è il luogo dove era stato deposto”. Le civiltà, le culture, la tradizione, le grandezze, perfino le nostre basiliche, possono essere divenute il luogo ove gli uomini di un’epoca l’avevano posto. Il comanda-mento è un altro: “Andate, dite ai discepoli e a Pietro che egli vi precede”. Do-ve? Dappertutto in Galilea e in Samaria, a Gerusalemme e a Roma, nel cena-colo e sulla strada di Emmaus … “Egli vi precede”. Questa è la conseguenza della Pasqua. Se, alzandoci dalla tavola eucaristica, avremo l’animo disposto a tenergli dietro ove egli ci precede, lo vedremo, come egli disse.

IL RISORTO CI ACCOMPAGNA

Signore Risorto, togli anche noi dalle catene della mortalità, che appesantiscono il nostro vivere imprigionato dal male, a tiraci a te, riconoscendo che la tua passione è vita vera.Signore Gesù, apri questo mondo ad accogliere il seme di vita, perché sia più accogliente con chi nasce e con chi si sta formando, più benevolo con chi soffre e vuol vivere meglio, più incoraggiante con chi è debole e sfiduciato.

Tu che trionfi sulle oscurità infernali che ci vogliono mortificare, dona la tua pace di Risorto, perché possiamo portare la vera pace, dona il tuo perdono, perché diventiamo più misericordiosi, dona il tuo amore, perché ora diventi il nostro, quello che dona sempre.

Tu che sei l’eterno Vivente, il comunicatore di Vita, quella vera, raggiungi ciascuno di noi con la viva passione del cuore, riaccendi la speranza, anche a trovarci dentro tanti segni di morte, risveglia quella fede che ci fa sentire la tua persona accanto a noi: con te, solo con te, possiamo rinnovarci e rinnovare questo mondo!

La Pasqua di Cristo nel mondo religioso e culturale russo

MORS ET VITA DUELLO

CONFLIXERE MIRANDO

Sul “fronte russo” continuano a udirsi rumori di guerra, e di lì ci vengono im-magini impressionanti di rovine, lasciate sul territorio ucraino, anche se i morti e i feriti sono da entrambe le parti, in un conflitto dal forte sapore di scontro tra popoli “fratelli”, che hanno avuto una lunga storia in comune. È inevitabile inoltre che siano coinvolte anche le diverse confessioni religiose, le quali si rifanno al comune mondo cristiano: qui i credenti nel Signore, morto in croce e poi risorto, celebrano i medesimi misteri pasquali, pur con forme liturgiche diverse. E tuttavia essi non sanno superare le divisioni e ricercare l’intesa che deve impedire inutili distruzioni, ma più ancora i troppi morti, e più ancora sopire i risentimenti che si fatica a contenere e a impedire. Davanti ad un quadro desolante e sempre più imbarbarito da tanta violenza “gratuita” e selvaggia, non c’è molto spazio per discorsi di natura religiosa, per letture e visioni che parlino di rinascita, di risurrezione. Anzi, a volte anche simili auguri appaiono fuori luogo, intrisi di un sapore molto amaro. Come si fa a di-re che Cristo è risorto, in un quadro di devastazione, che pur si assicura di vo-ler ricostruire come prima? Non sarà più come prima! Non può essere come prima! Come si fa a ripetere l’augurio di pace del Cristo risorto? Raccontando l’evento della risurrezione e più ancora il suo farsi vedere ai discepoli il mattino di Pasqua nel cenacolo, dove entra a porte chiuse ed augura loro la pace, la sua pace, noi osiamo credere che tutto questo si rinnova anche oggi. Ma dove lui appare? Dove lui viene visto? Dove lui irrompe come allora con il suo augurio di pace? Se nel nostro non lontano oriente, invece di veder sorgere un nuovo sole di speranza, vediamo sempre più infittirsi le nubi tenebrose della disperazione, mentre noi vorremmo altre nubi cariche di pioggia, come facciamo a sperare? Ancora sentiamo a noi lontana questa guerra, come se non ne fossimo coinvolti. Ed invece il rischio di sentirci trascinati nel baratro è non molto dissimile da ciò che per le guerre precedenti si avvertiva, pur nella spensieratezza di chi non ci pensa mai, di chi si convince che non potrà mai succedere. Eppure è già successo. E può succedere ancora. Già a partire dalle esperienze passate di conflitti nel cuore dell’Europa ci siamo chiesti come siano stati possibili, laddove una civiltà secolare si era formata sull’umanesimo più che su altre considerazioni. Eppure anche allora si era scatenata l’assurdità del male, poi letta come “banalità”, nonostante la presenza di tanti pensatori animati dallo spirito umanistico. Leggi tutto “La Pasqua di Cristo nel mondo religioso e culturale russo”

Nel bicentenario di Fermo e Lucia.

INTRODUZIONE: UNA NUOVA FASE

In un tempo relativamente breve, quello tra il 1821 e i 1823, Manzoni arriva a comporre la storia che poi diventerà famosa nell’edizione del romanzo di vent’anni dopo. Qui elabora la vicenda dei due giovani, con il corollario di altre vicende personali, che potrebbero essere storie a sé stanti, anche se poi vi metterà mano per una revisione sostanziale che riguarda i contenuti, ma soprattutto la forma espressiva. Comunque il canovaccio, che troviamo poi nelle edizioni successive, anche con i tagli doverosi, emerge fin dalla prima stesura ed è il frutto di una ricerca che lo interesserà per molto tempo. Qualcuno ipotizza che si tratti di due storie diverse. Ma così non è, anche se la conduzione della trama presenta differenze e gli stessi personaggi sono proposti con nomi e caratteri diversi. La lettura, a cui ci ha abituati la scuola, è quella condotta sulla edizione definitiva. Qui è utile conoscere il lavoro non indifferente che ha portato al capolavoro, tenendo conto che simile operazione non è solo un lavoro di rifinitura, ma è soprattutto la ricerca di un modo di scrivere che ha prodotto qualcosa che è ben di più di un romanzo, di un libro, di un’opera letteraria: qui è stato avviato un percorso che ha contribuito a costruire la cultura popolare di un Paese, ancora tutto da realizzare.

Non esiste forse romanzo la cui nascita resti più misteriosa. Noi non sappiamo, e forse non sapremo mai, attraverso quali tentativi il Manzoni si sia deciso ad affrontare il romanzo, anzi il romanzo popolare. Quali prove in campo narrativo lo resero sicuro di possedere quanto fosse necessario per lavorare in maniera ampia e decisiva su un genere con cui non si era mai cimentato, e per dar vita a personaggi, all’immagine della sua città, della sua terra e descrivere paesaggi sereni, e delitti e crudeltà atroci? Quale forza, quale determinazione lo spinsero insomma a cacciarsi in un’impresa che fu la sua gloria e il suo tormento … (Macchia, p. 49) Leggi tutto “Nel bicentenario di Fermo e Lucia.”

NATALE 2022

 

TU VIENI SEMPRE …

In contemplazione del nostro presepio, costruito secondo le forme tradizionali, quelle che ci forniscono la poesia vera del Natale, ci viene proprio da dire a Gesù: “Tu vieni sempre!”.

Tu vieni sempre, ogni anno e in ogni luogo e vieni con le stesse modalità di allora, che secondo le reazioni manifestate a quei tem-pi, ti vedono non accolto, non compreso nel tuo messaggio di vita. Tu vieni sempre come un bambino e noi ti potremmo trovare nelle fattezze di un essere fragile e ancora tutto da formare, perché possa mettersi in questo mondo dove il male vuol farla da padrone. Tu vieni comunque nelle forme umane di un bambino estremamente povero, perché privo di tutto: e ce ne sono ancora in questo mondo, che s’illude di avere molto, di poter godere di tante cose, trascu-rando l’essenziale. Tu vieni sempre nella precarietà del vivere, perché, nel freddo, puoi prendere anche tu una malattia, perché anche contro di te si scatena l’odio omicida, perché tu pure non hai un avvenire sicuro, se ti manca la casa, se ti mancano i mezzi per il sostentamento, se ti manca ogni ale. Eppure vieniforma assistenzi adesso, vieni oggi, vieni in questo momento, non aspettando tempi migliori, non cercando la condizione ideale che possa dare sicurez-za. Vieni nel bel mezzo di una guerra, e ti presenti come principe di pace, disarmato, indifeso, incapace di far del male e senza aspetta-re che siano intavolate trattative, senza che si creino corridoi di-plomatici, senza pretendere nulla, pur potendo tutto. Vieni un po’ dovunque, ma soprattutto dove sta chi soffre, fuggendo da luoghi di estrema miseria e di impossibilità a vivere, perché non c’è futu-ro. Vieni anche qui, nelle terre dell’abbondanza e della infelicità, perché si fatica a coltivare buone relazioni, perché le troppe cose che si hanno non aiutano a cercare ciò che veramente conta e a vivere con più serenità, puntando sulla Provvidenza. Non abbiamo bisogno di supplicarti, caro Gesù: tu vieni sempre; vieni comunque si trovi questo mondo; vieni, perché sai che questo mondo ha sem-pre bisogno di te; oggi più che mai noi contiamo sulla tua presenza e sulla presenza di bambini, che diventeranno gli uomini di do-mani, in grado di portare quello che hai portato tu, e cioè te stesso, la tua persona, la tua vita da mettere in gioco.

TU DEVI VENIRE!

Continuando a stare davanti al nostro presepio con lo sguardo ammirato di chi gusta le cose genuine, ci viene da aggiungere al Signore Bambino: “Tu devi venire!”.

È una bella pretesa aggiungere una richiesta così perentoria, come se tu fossi obbligato con noi, ma soprattutto da noi. In realtà sei tu a volerti legare a noi, sei tu a sentirti in obbligo, sei tu a presentarti in questa maniera. Perché a te, per la tua natura divina, piace stare dalla nostra parte, piace condividere la nostra esistenza, anche ad essere segnata dal male, che a te non piace. Non sei costretto da nessuno, anche se questa è la volontà del Padre, il tuo che è pure il nostro. Noi ti diciamo le cose come stanno nel disegno suo, fatto sulla misura nostra e tua, perché ci rendiamo conto che davvero senza di te non è possibile per noi vivere bene, vivere secondo un disegno positivo e costruttivo. Tu devi venire, perché non possiamo sentire altrove parole così chiare e forti che ci segnano profonda-mente, come le sentiamo da te. Tu devi venire, perché non tro-viamo da nessuna parte chi ci possa qualificare meglio l’esistenza e costruircela sul sacrificio, che davvero valorizza le virtù e le qualità che abbiamo come dono tuo. Tu devi venire, perché solo la tua compagnia ci garantisce un vivere genuino che possa definirsi un “vivere da Dio”. Tu devi venire ancora, in modo particolare oggi, perché allontanandoci da te e pensando di poter fare da soli, finia-mo per smarrirci: e comunque senza il tuo Spirito non ci è possi-bile fronteggiare il male in maniera adeguata. Tu devi venire per-ché il male sta aumentando e noi non siamo in grado di arginarlo, di reagire nella maniera giusta, di restare fermi, forti, fiduciosi, felici. Tu devi venire, perché quelli che si sono messi dalla parte del male si ravvedano, e facendo la giusta penitenza portino ovunque il messaggio che è sempre possibile recedere dal male e mettersi dalla parte del bene. Tu devi venire per noi, e soprattutto per colo-ro che sono sfiduciati in presenza del male, perché non si lascino travolgere da esso, ma contrappongano al male quanto di meglio sono in grado di fare, perché il bene e la pace possano trionfare. Tu solo puoi portare questi beni; e noi da te, Bambino, li aspettiamo e li accogliamo come i più bei doni di Natale!

IL NATALE NEL MONDO RELIGIOSO RUSSO-UCRAINO

Celebriamo un Natale segnato dalla guerra alle nostre porte. Non è la prima volta. Le tensioni, che ci coinvolgono ed obbligano a prendere po-sizione, ci possono indurre nella tentazione di esprimere giudizi duri e incattiviti. E quando ci si lascia offuscare la mente, si può giungere a quelle forme di denigrazione che comportano il rifiuto di un popolo, della sua cultura, del suo spirito religioso. Anche di questi tempi, con la doverosa condanna di un attacco ingiustificato, di una campagna militare accompagnata da distruzioni ed uccisioni, di una propaganda costruita sulla menzogna e sull’annientamento dell’altro, spesso il giudizio severo trascende fino a negare la storia e la cultura di un popolo: è come se le colpe di oggi coinvolgessero anche coloro che nel passato hanno dato un contributo non indifferente alla cultura umanistica che non è solo patrimonio di un periodo e di un paese, ma è divenuto un bene che appartiene all’umanità. Proprio per non trascinarci dentro un sistema sbagliato, costruito sul pregiudizio, è raccomandabile che non si perda invece l’occasione per ritrovare lo spirito giusto che ci fa considerare a proposito la cultura russa, con il suo patrimonio di fede e di arte. È vero che noi abbiamo davanti agli occhi il martirio del popolo ucraino, ancora una volta, nella sua storia, brutalizzato, anche a motivo della sua posizione storica e geografica. E tuttavia non dobbiamo neppure trascurare l’anima russa che ha fatto grande questo popolo nel corso della sua storia, da condurre oggi su strade migliori, secondo la sua migliore tradizione. In modo particolare dobbiamo riconoscere che quanto di bello si è sviluppato in Russia è dovuto al modo, tutto suo, di esprimere la fede cristiana che ci ha dato pagine ineguagliabili di letteratura ed opere d’arte raffinata, che sono, e rimangono, documento vivo di una fede profonda. Leggi tutto “IL NATALE NEL MONDO RELIGIOSO RUSSO-UCRAINO”

Maria del Parco

LA NOSTRA MADONNA

E’ UNA MAMMA SERENA

La “nostra” Madonna, a chi la guarda con particolare affetto, dona tanta pace e serenità, perché con il suo sorriso affabile ci dona il suo Bambino, ce lo vuole mettere in braccio, come se lo volesse affidare per un momento e poter così gustare la soddisfazione di portarcelo con noi. E’ suo figlio; l’ha tenuto nel suo grembo, come ogni mamma; l’ha accudito con amore, ripagata da una presenza che le ha comunicato tanta pace nel cuore. Ma ora non vuole più tenerlo come se fosse tutto suo e solo per sé. Lei sa che quel Bambino è di Dio e proprio per questo appartiene al Padre e dal Padre è mandato per ogni uomo, per ogni donna, per chi lo vuole sentire come suo fratello. Ecco perché lo protende ed ha piacere che qualcuno lo abbia con sé, lo prenda in braccio, lo porti ovunque affinché altri lo conoscano, lo amino, lo seguano. E questo lei lo fa volentieri: accompagna il suo gesto con un volto sorridente che lascia trasparire tanta serenità, in modo tale che chi si prende quel bambino tra le mani possa avere la medesima sensazione di piacere, di distensione, di serenità. D’altra parte, la presenza di quel Bambino, sia nel momento in cui si stava formando nel suo grembo, sia quando, venuto al mondo, è stato deposto nella povertà, portato ovunque fra mille tribolazioni, e fatto crescere nelle piccole e grandi prove della vita, ha sempre procurato a Maria una grande serenità. Questa non le impedisce di dover soffrire, di provare angoscia, di sentirsi amareggiata; mai, comunque, perdendo la speranza, la visuale cioè che permette di andare oltre le oscurità tempo-ranee, per vedere ogni cosa con lo sguardo di Dio. Abbondano le imma-gini di Maria con un volto dimesso, segno di profonda umiltà; quelle con un fare meditabondo, proprio di chi non lasciava passare nulla senza rifletterci; quelle che rivelano preoccupazione, come avvenne nel primo distacco di Gesù a 12 anni; e, non di meno, quelle segnate da una profonda mestizia e da un acuto dolore, per vederlo sofferente con la croce, morente su di essa, o morto e disteso sulle sue ginocchia. Ma non sono da trascurare le fisionomie che ce la danno con un volto sereno e rasserenante, come traspare dalla nostra. In questa sua fisionomia ella ci vuole ricordare che anche noi in questo luogo, dove molti vengono a trovarsi per cercare e trovare un po’ di serenità, dobbiamo rivelarci nell’atteggiamento di chi trasmette la distensione dell’animo, per far ritrovare oggi ciò che sembra perso, dimenticato, trascurato.

LA SERENITA’ E’ DONO DELLO SPIRITO

Testi, poesie, preghiere e immagini ci aiutano a trovare la serenità di Maria e in lei la nostra serenità. Ne abbiamo un gran bisogno in un momento segnato da forti e angoscianti preoccupazioni. Si susseguono tante crisi: le minacce del terrorismo, le cadute vertiginose della finanza, le varie epidemie che dilagano nel mondo, le guerre che si fanno sentire un po’ ovunque, la miseria che si diffonde e che attanaglia tanta gente. E in esse la paura cresce, la disperazione assale, la rassegnazione impedisce di reagire. Abbiamo bisogno di coltivare quel tipo di serenità che, anche ad essere raggiunti e pressati dal male, permette di non esserne travolti e di saper far fronte con la bontà e con la bellezza, che hanno il loro vertice in Dio, sorgente del bene e del bello. La serenità che coltiva Maria è quella che le deriva dallo Spirito Santo: ripiena di grazia, cioè dello Spirito stesso di Dio, ella non fa che dispensare questo dono ricevuto, il solo capace di far reagire con il bene, avendo davanti tanto male, di produrre il bello, quando il brutto vorrebbe avere il sopravvento. Appena lo riceve con le parole di Gabriele che la riempiono della potenza proveniente dall’Altissimo, lei porta lo Spirito da Elisabetta, e costei sente sussultare il bambino, con quella esultanza che è gioia e pace dello Spirito. E allora si mette a magnificare Dio: anche a continuare la sua esistenza di donna povera, di donna semplice, di donna sconosciuta ai grandi del mondo, lei conserva nel cuore una grande serenità, con la quale fa fronte a tutte le circo-stanze che la vedono lontana da casa nel momento del parto, allontanarsi da casa nel momento della fuga, faticare a trovare una casa tra le insidie dei potenti che minacciano continuamente la vita del bambino. Ma lei è sempre forte.

Mettiamoci alla ricerca di immagini di Maria che diano a noi tanta serenità: le parole, le figure devono ispirare in noi l’animo di Maria, che eleva il suo cantico. In esso lei dice che davvero il Signore onnipotente innalza gli umili, ricolma di beni gli affamati, soccorre i poveri, coloro cioè che godono della pienezza della beatitudine, proveniente da Dio. Proviamola anche noi, mettendoci nel cuore semplice di Maria, guardando il suo volto rasserenante, contemplando il suo animo veramente felice, ascoltando le sue parole semplici, ma piene del sapore stesso di Dio. Cerchiamo così di avere la sua serenità e di avvertire che essa è davvero un grande dono dello Spirito, ed è un’esperienza che proprio in occasione dei passaggi difficili ed impegnativi sentiamo affiorare nel cuore.

1.

LA MADONNA DEL SOLLETICO

C’è una curiosa immagine di Maria, in una posa particolare, ben poco nota. Il grande pittore toscano, Masaccio (1401-1428), è considerato l’autore di questa piccola tavola che rappresenta Maria con il gesto materno di chi vuole benedire il suo piccolo. In realtà, sembrerebbe il gesto più umano e familiare della mamma, la quale cerca di suscitare il sorriso nel bambino, con il gesto delle dita che toccano il collo scoperto del piccolo, come per fargli solletico. Così sembra; se non altro per la reazione del bambino, il quale vorrebbe come difendersi, cercando di afferrare il braccio della madre, che continua a solleticarlo. Maria appare seria, anche a fare questo gesto per suscitare il riso; il bambino invece appare divertito, anche a cercare di trattenere la mano della mamma.

Qui vediamo qualcosa di molto umano: non sembrerebbe quell’immagine spesso ieratica e solenne della Madonna, a cui siamo abituati; anche perché i committenti esigevano dagli artisti una figura che risultasse motivo di devozione e di preghiera da tenere in casa, perché gli occhi, rapiti in contemplazione, potessero poi suggerire la migliore preghiera da elevare. Così questa immagine non appartiene certo al patrimonio da esporre in chiesa, come figura pubblica, ma da mostrare in casa come richiamo alla devozione privata. Ed essa può ispirare anche a noi quel genere di tenerezza che induce ad avvertire qui tanta serenità, in grado di infondere la medesima sensazione in coloro che si mettono davanti all’immagine. A noi pure verrebbe il desiderio di fare il medesimo gesto, sia per esprimere la nostra familiarità con Gesù, sia per provare dal suo sorriso ad avere noi pure tanta pace.

La preghiera alla Madonna del Solletico

Maria, madre dei poveri e dei piccoli,

di quelli che non hanno nulla, che soffrono solitudine

perché non trovano comprensione in nessuno.

Grazie per averci dato il Signore.

Ci sentiamo felici e col desiderio di contagiare molti di questa gioia,

di gridare agli uomini che si odiano che Dio è Padre e ci ama,

di gridare a quanti hanno paura: «Non temete».

E a quelli che hanno il cuore stanco: «Avanti che Dio ci accompagna».

Madre di chi è in cammino, come te, senza trovare accoglienza, ospitalità,

insegnaci a essere poveri e piccoli,

a non avere ambizioni, a uscire da noi stessi e a impegnarci,

a essere i messaggeri della pace e della speranza.

Che l’amore viva al posto della violenza.

Che ci sia giustizia tra gli uomini e i popoli.

Che nella verità, giustizia e amore nasca la vera pace di Cristo,

di cui come Chiesa siamo sacramento.

2.

LA MADONNA

CHE GIOCA COL BAMBINO

Anche questa è una immagine curiosa, perché non appartiene all’impianto solito delle figure religiose di Maria con il Bambino Gesù. Se non ci fossero le aureole, si potrebbe dire che qui è riprodotta una giovane mamma, elegantemente vestita e in un ambiente signorile, che sta intrattenendo il suo piccolo. Costui è tutto inteso a voler prendere il fiorellino che la mamma gli sta mostrando. Lui ha il viso paffuto con l’atteggiamento un po’ curioso, presente in tanti piccoli che sono sorpresi davanti a ciò che non hanno mai visto. È invece molto divertita la mamma nel guardare e considerare la curiosità del suo piccolo: la bocca accenna ad un sorriso di soddisfazione, in cui è ben espressa la sua serenità, derivata comunque dalla contemplazione del proprio bambino. È di Leonardo (1452-1519).

È una bella scena familiare da cui si ricava la piacevolezza nel considerare il gioco fra i due, mai preso in considerazione, quando si considera Maria e Gesù, come se una tale scena potesse diventare irriverente o inadatta a far entrare nel mistero e nel giusto sentimento religioso.

La preghiera alla Madonna che gioca

Da vera Madre, o Maria, tu ti riveli, quando giochi con Gesù Bambino:

con il tuo sorriso lo rassereni, con la tua voce soave lo distendi,

con il tuo gesto dolcissimo lo intrattieni,

con la tua presenza amabilissima gli doni sicurezza.

Ed egli ti ridona gioia e pace nel cuore,

mostrando il desiderio di scoprire il mondo,

di capire la bellezza delle cose, di aprire l’animo a tutto e a tutti.

Anche a noi, o Madre, riserba un po’ del tuo tempo,

per aiutarci a vivere meglio, a vivere nella serenità,

perché non rimaniamo schiacciati dai tanti problemi,

e non veniamo assorbiti dalle troppe inquietudini.

Fa’ che possiamo scoprire anche nelle cose semplici,

il grande disegno con cui Dio ci ama e ci vuole con sé,

e rendici sempre sereni coltivando nel cuore la pace di Dio.

3.

A COLEI CHE PUO’ ABBRACCIARE

CON UN SORRISO

IL VILLAGGIO DEL MONDO

Anche nella poesia compare Maria a infondere serenità e dolcezza, mentre all’intorno i problemi si moltiplicano e le prove pesano sull’animo. Proprio la vicinanza di colei che tutti sentiamo come una mamma, può accendere la speranza, può far continuare un cammino divenuto pesante, può alleviare la fatica e condurre ad insistere anche dentro le sofferenze e i disagi. Già la preghiera rivolta alla madre fa bene, soprattutto perché si avverte che lei è presente, che lei ci sostiene …

Il poeta russo Sergéj Aleksándrovič Esénin (1895-1925) ebbe una vita travagliata, soprattutto nella parte finale della sua breve esistenza. Ma già da piccolo coltivava la poesia e aveva anche una buona formazione religiosa propria del suo ambiente contadini. Poi ci fu una crescita vorticosa, una tensione notevole nei confronti della rivoluzione bolscevica e sorse per lui il periodo più tribolato, immerso nell’alcool e in amori impossibili. L’epilogo della morte fu tragico. Ma il suo vorticoso girare in cerca di pace e di una vita da gustare pienamente, non gli impedisce di avere parole e toni di raffinata elegia. E non manca neppure la preghiera, soprattutto quella del figlio nei confronti della Madre …

Madre di Dio,

cadi come una stella sull’aspro cammino

entro la sorda valle.

Versa come olio i capelli della luna

nei presepi contadineschi del mio paese.

Lungo è il corso della notte.

Dorme in essi tuo figlio.

Cala come una cortina il crepuscolo sull’azzurro.

Abbraccia con un sorriso il villaggio del mondo,

e il sole come una zana (cesta ovale) agli arbusti appendi.

Si rallegrerà in essa, lodando il giorno

del paradiso terrestre, il santo bambino.

Io vedo: in azzurrina veste sulle lievi nuvole alate,

va la Madre adorata col Figlio purissimo in braccio.

Per la pace Ella porta nuovamente il Cristo risorto a crocifiggere.

È una bella immagine natalizia, che fa riferimento in modo particolare alla madre di Dio, sempre più sentita come madre degli uomini, proprio per aver portato dentro questo mondo suo figlio. Per quanto buia possa essere la scena notturna nella quale avviene il mistero natalizio, basta il sorriso della madre ad allietare, a rasserenare. Proprio il sorriso di Maria abbraccia il mondo e lo avvolge di una pace infinita, mentre il sole appare come una cesta ovale appesa in cielo. In questo mondo Maria introduce il Figlio ed insieme lo porta a camminare verso la sua croce: solo di lì può venire la pace; solo dalla croce rinasce la vita … Leggi tutto “Maria del Parco”

9 maggio: memoria del beato Serafino Morazzone

LA BIOGRAFIA

Prete Serafino Morazzone” diventa beato a quasi due secoli dalla morte. Un altro “Curato d’Ars”: lo definisce così il B. Card. Schuster. Ma lui precede negli anni il curato del villaggio francese, in quanto Giovanni Maria Vianney vive fra il 1786 e il 1859. Certamente poi il B. Serafino è meno noto e la sua santità è celebrata solo fra il Resegone e il lago, nella più periferica parrocchia di Lecco.

Tra i due comunque c’è una straordinaria sintonia spirituale e umana. A cominciare dalle umilissime origini, perché Serafino arriva da una famiglia povera e numerosa. Suo padre ha una minuscola rivendita di granaglie e vive in un modesto alloggio di Milano, dalle parti di Brera: qui nasce Serafino, il 1 febbraio 1747. Dato che vuole farsi prete e mancano i soldi per farlo studiare, i gesuiti lo accolgono a titolo gratuito nel collegio di Brera. E qui inizia la sua “carriera ecclesiastica”, che non prevede però cambiamenti di natura sociale: a 13 anni riceve la talare, a 14 la tonsura, a 16 i primi due ordini minori. A 18 anni, per potersi pagare gli studi, va a fare il chierichetto in Duomo: per dieci lire al mese, al mattino presta servizio all’altare e al pomeriggio studia teologia. Così per otto anni, fedelissimo e puntuale, cortese e sorridente. A 24 anni riceve gli altri ordini minori e due anni dopo, a sorpresa, gli fanno fare concorso per Chiuso, nel lecchese: una piccola parrocchia che all’epoca conta 185 abitanti ed alla quale nessun altro aspira. Vince il concorso, ma non è ancora prete; così, nel giro di un mese, riceve il suddiaconato, il diaconato e l’ordinazione sacerdotale e il giorno dopo è già insediato a Chiuso: vi resterà per 49 anni, cioè fino alla morte. Per scelta, perché anche quando gli offriranno parrocchie più importanti o incarichi più onorifici sceglierà di essere sempre e soltanto il “buon curato di Chiuso”, da cui non si allontanerà mai. Testimoni oculari hanno attestato le lunghe ore trascorse in ginocchio nella chiesa parrocchiale e quelle, interminabili, trascorse in confessionale ad accogliere i penitenti. Ovviamente non soltanto i suoi, ma pure quelli che arrivano da Lecco e dai paesi vicini. Perché a Chiuso, come ad Ars, si fa la fila per andarsi a confessare dal “beato Serafino”, come lo chiamano i contemporanei, mentre lui si considera solo un povero peccatore, infinitamente bisognoso della misericordia di Dio e delle preghiere del prossimo. Le sue ottengono miracoli, ma lui non se ne accorge, impegnato com’è a non trascurare neppure uno dei suoi parrocchiani: raccontano che i malati li va a trovare anche di sera o di notte, se non è riuscito a farlo di giorno, e così tutti i giorni, fino a quando si ristabiliscono o chiudono gli occhi per sempre. E non solo per portare loro i conforti della religione: dicono che i bocconi migliori e tutto quello che gli viene regalato siano per i suoi poveri, per i suoi malati. Ad uno, piuttosto male in arnese,  finisce per regalare anche il suo materasso, di cui per un bel po’ deve fare a meno, perché nessuno si è accorto del suo gesto di carità. Ai ragazzi, oltre al catechismo, insegna a leggere e a contare, in una specie di scuola che ha aperto in canonica, forse ricordando quanto anche lui ha faticato a studiare. Muore il 13 aprile 1822 e un piccolo giallo avvolge la sua sepoltura, quando ci si accorge che di lui non c’è traccia nella fossa che dovrebbe essere la sua. Il giallo si risolve grazie alla testimonianza di un anziano: i parrocchiani, che non si rassegnavano a saperlo nella nuda terra del cimitero, lo avevano esumato la notte stessa del funerale, adagiandolo sotto il pavimento della chiesa, in barba a tutte le disposizioni di legge. Leggi tutto “9 maggio: memoria del beato Serafino Morazzone”