L’immagine che si ha dell’Africa, soprattutto nel suo percorso storico, è piuttosto sfuocata, sia perché non se ne parla, sia perché non se ne sa nulla o ben poco, sia perché non gode di alcun interesse, come se la sua presenza rispetto al resto del mondo non avesse rilievo alcuno. Se ne curano gli storici sulla base dei dati che posseggono, che non corrispondono a quelli in uso in Europa, in prevalenza fonti scritte, anche se va riconosciuto che non solo questi contribuiscono a produrre la storia. Va riconosciuto che nel continente, già noto nella sua estensione, ma non raggiunto al suo interno da alcun avventuriero di origine europea, si sviluppano sistemi di governo e raggruppamenti di popoli in grado di garantire non solo la sopravvivenza, ma anche un certo sviluppo, che è possibile, grazie al commercio, e, prima ancora, ad una produzione in eccedenza. Sono ben noti i diversi imperi e i regni, così definiti a partire da un potere centrale, più o meno forte, e soprattutto in grado di far sentire la sua autorità anche nelle zone periferiche del proprio dominio; bisogna tener conto che tali sistemi raggruppano etnie diverse, le quali riconoscono il potere centrale nella misura in cui esso è in grado di sviluppare una economia capace di spingersi oltre i confini e quindi di creare mercati. Questo comporta una conoscenza del territorio, dentro il quale il clima e il terreno, l’idrografia e l’orografia garantiscono coltivazioni che possono dare una produzione in esubero e consentire così il mercato. Ciò significa che anche in queste aree geografiche, mai raggiunte dagli Europei, soprattutto se considerate proibitive in ragione delle diverse febbri malariche, era comunque possibile uno sviluppo, seppur limitato, perché anche per le popolazioni locali spesso il clima non consentiva quel genere di sviluppo che si può constatare in altre aree geografiche del mondo. Qualcosa è possibile ricostruire della storia di simili strutture economiche e governative, che rivelano come sia stato possibile costruire anche su questo territorio delle forme istituzionali che hanno svolto un ruolo non indifferente per il vivere della popolazione locale. Ciò che noi abbiamo oggi nel panorama politico del continente dipende molto dall’epoca coloniale e da ciò che le potenze europee hanno lasciato, misconoscendo il patrimonio storico, che pure l’Africa aveva sviluppato, quando l’Europa non si interessava a questo territorio, pur ricco, ma non facilmente raggiungibile in ragione delle condizioni climatiche. Leggi tutto “Storia dell’Africa: IMPERI E REGNI PRIMA DELLA COLONIZZAZIONE EUROPEA.”
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Storia dell’Africa: la fase dei grandi imperi
MALI, GUINEA, NUBIA …
INTRODUZIONE
SISTEMI TRIBALI
E SISTEMI IMPERIALI
Abituati come siamo ad una cartina geografico-politica dell’Africa frazionata in diversi Stati. i cui confini sono stati stesi “a tavolino” dalla spartizione che ne hanno fatto i paesi coloniali europei, non riusciamo a immaginare altre possibilità, rispetto a quella forma di equilibrio che non prevede altre soluzioni per le attuali strutture. Eppure, prima dell’arrivo degli Europei, l’Africa presentava ben altro quadro, con la presenza di imperi, i quali avevano nomi, che oggi ritroviamo in alcuni Stati; questi, anche ad avere oggi istituzioni diverse, si richiamano alle realtà del passato. La storia di questo continente, per quanto privo della documentazione classica, fatta di fonti scritte, ha sviluppato un patrimonio orale, perché, a viva voce, nei secoli si sono tramandati racconti che ci possono apparire non molto diversi da certi racconti di natura mitologica, che pur fanno la loro comparsa nella nostra tradizione. Quando lo storico Tito Livio affronta nella sua opera “Ab urbe condita” quella parte di storia romana, che vede protagonisti i re, stilati dalla tradizione in numero di sette e ciascuno regnante per la media numerica fissa di 35 anni, costui ovviamente si rifà alla tradizione orale, fornendo racconti dal forte sapore mitico e scrivendo ripetutamente che di costoro è possibile raccontare con le formule solite del “si dice, si racconta, si tramanda, ecc.”. Con queste espressioni che introducono i racconti, per nulla documentati e desunti da ciò che gli anziani raccontavano a viva voce, lo storico patavino lascia intendere che lì la storia viene fatta con la tradizione orale. Lo stesso fenomeno è riscontrabile nei racconti delle terre africane: qui prevalgono i miti con personaggi le cui vicende vengono “affabulate”, e quindi, di volta in volta, caricate di elementi che ingigantiscono e creano attorno un atmosfera da racconto leggendario. Ciò che colpisce poi in questi racconti è il fatto che essi, anche a parlare di luoghi ben precisi, non ci offrono solo storie locali, o comunque limitate ad una etnia, ma coinvolgono etnie ed aree geografiche a più ampio raggio, facendo pensare a un mondo effettivamente molto più allargato. Ecco perché si tende a parlare di “imperi”, entro i quali possiamo trovare popolazioni di tribù diverse, le quali si trovano associate in una sorta di confederazione o per una conquista di tipo economico e soprattutto militare. Leggi tutto “Storia dell’Africa: la fase dei grandi imperi”
San Giustino: le due apologie e il dialogo con Trifone.
PREMESSA:
IL CRISTIANESIMO E IL PREGIUDIZIO
La religione cristiana si è presentata come una derivazione dal mondo ebraico: fin dalle sue origini, i promotori della sua diffusione, i discepoli mandati “fino agli estremi confini della terra” da Cristo dipendono strettamente dalla sinagoga, che frequentano tutti i sabati per le letture, mentre, passato il sabato, la sera stessa di quel giorno, si trovano nelle case per “la cena”, che diventerà progressivamente la loro riunione caratteristica. Fino al 70, anno della distruzione di Gerusalemme, i cristiani, pur nella diffidenza e nell’ostilità dei farisei e dei sacerdoti del tempio, cercano sempre il contatto con la sinagoga, come vediamo fare da Paolo nei suoi viaggi. E nei primi discorsi che troviamo riassunti da Luca negli Atti degli Apostoli, appare con chiarezza che il Dio di Cristo è sempre quello dei Padri d’Israele, e che dunque deve essere rivendicato questo legame con la storia ebraica. Anche tra la gente comune si riflette questa impostazione: quando a Roma, nel 49, avvengono tumulti a causa delle contestazioni ebraiche nei confronti dei cristiani, dovute a motivo di un certo Cristo, che, per quanto scrive Svetonio (“impulsore Chresto”), sembrava essere il fomentatore delle risse, Claudio volendo la pace e la tranquillità, decide di mandar via tutti, Ebrei e Cristiani. E così accontenta la popolazione che voleva la quiete pubblica. Ma di fatto il decreto di espulsione non va a buon fine, se molti rimangono ed altri confluiscono a Roma, dove, secondo Tacito, arriva di tutto, comprese le superstizioni più vergognose. Lo storico dice questo, mentre sta raccontando che Nerone si defila dalla responsabilità dell’incendio, che lui ha appiccato ad alcuni quartieri della città, accusando i cristiani di questo. Nell’esposizione si deve notare che lo storico ha raccolto alcune informazioni sul Cristo, pur riconoscendo questa fede come una pericolosa superstizione. Leggi tutto “San Giustino: le due apologie e il dialogo con Trifone.”
LA DIDACHE’: IL PASTORE DI ERMA
PREMESSA:
SCRITTI DIDASCALICI
Fin dalle origini del Cristianesimo si è avvertita la necessità di comporre scritti da accompagnare alla fase orale delle predicazione itinerante, che vedeva gli Apostoli e i loro collaboratori impegnati nel bacino del Mediterraneo e anche altrove in Oriente per comunicare il Vangelo non ancora fissato in libri. Nel periodo in cui sono ancora vivi gli Apostoli, si fa, certo, memoria di ciò che Gesù ha detto e ha fatto, ma la composizione scrit-ta delle sue vicende e della sua predicazione si ha dopo la distruzione di Gerusalemme e la diaspora ebraica che ne segue. Ne deriva anche una più marcata separazione fra mondo ebraico e mondo cristiano, che comporta la definizione di una morale e di una liturgia nuova che devono caratterizzare i cristiani. Negli stessi vangeli si avverte l’esistenza di una polemica sempre viva ed accesa fra Gesù e i farisei: essa probabilmente apparteneva di fatto al periodo successivo, quando i cristiani devono più che mai distinguersi rispetto agli Ebrei, i quali del resto nel mondo romano costituiscono un problema politico non irrilevante per la loro resistenza ad accettare il dominio di Roma. Probabilmente in presenza di tensioni esistenti con gli Ebrei che resistono e spesso anche fanno ricorso ad attentati, chi derivava da loro, come i cristiani, fino ad allora legati alla celebrazione tenuta in sinagoga, sentiva l’esigenza di marcare la diversità, sia sotto il profilo dottrinario, sia sotto quello liturgico. Forse, questa necessità portava a segnalare presso i cristiani i tratti distintivi della propria dottrina e delle proprie adunanze celebrative: è una esigenza diffusa che dà origine a testi redatti con questi intenti e offerti alle diverse comunità sparse per tutto l’impero. I testi scritti devono servire alla comunità di riferimento perché possa regolarsi anche in presenza di interventi dell’autorità locale chiamata a vigilare circa le attività che si immaginavano sovversive da parte degli Ebrei e di coloro che apparivano ad essi affiliati. Ci si spiega così la presenza di alcuni libri che vogliono offrire un po’ di chiarezza sia nell’ambito della morale e soprattutto testi eucologici, cioè preghiere e formulari per le assemblee celebrative, al fine di garantire documenti sicuri che permettano di giustificare i riti e i comportamenti dei cristiani, non solo per l’organizzazione interna, ma anche per favorire attorno una migliore conoscenza del nuovo fenomeno religioso che già appariva diffuso. Leggi tutto “LA DIDACHE’: IL PASTORE DI ERMA”
S. Ignazio di Antiochia e le sette lettere
PREMESSA:
SCRITTI APOSTOLICI E POST-APOSTOLICI
C’è una copiosa letteratura cristiana antica, ai più poco nota, che rivela una produzione di notevole valore e meritevole di essere conosciuta anche oltre gli addetti ai lavori, anche oltre i credenti, che comunque ben raramente vi si accostano. La produzione scritta si sviluppa già ai primi tempi: si conoscono diverse lettere spedite dagli apostoli alle loro comunità, di cui si conservano quelle che oggi appartengono al “canone” e sono quindi ritenute “ispirate”. Nelle stesso periodo i detti di Gesù venivano diffusi per via orale, attraverso la predicazione dei discepoli, che raccontavano le proprie esperienze e mettevano in luce gli episodi necessari per illustrare meglio la dottrina, cioè gli elementi qualificanti del vivere e dell’operare di chi voleva essere cristiano e voleva testimoniare la propria fede. Poi, forse anche per la congerie di documenti e soprattutto di versioni che potevano anche allargarsi a comprendere pure ciò che non si poteva ritenere uscito dalla bocca del Maestro, si arrivò alla decisione di scrivere quei libri che sono noti come “Vangeli”, in quanto contengono la “bella notizia” che ha come protagonista Gesù di Nazareth. Tra questi libri, scritti probabilmente dopo la catastrofe di Gerusalemme distrutta dai Romani nel 70, e proprio perché di qui si ebbe il distacco dei cristiani dal mondo ebraico, così duramente provato con la rivolta finita male, emergono i quattro considerati “canonici”, perché tutte le Chiese li ritengono tali, mentre altri, poi definiti “apocrifi”, non sono ritenuti ispirati e quindi essenziali per la fede da parte di tutte le Chiese sparse nel mondo occidentale e orientale dell’Impero. La medesima considerazione accompagna i testi attributi a Paolo, e cioè le sue lettere scritte a diverse comunità, che sempre più, già in questo periodo si utilizzano negli incontri di preghiera. Questa fase di valorizzazione di testi scritti, accanto alle comuni-cazioni orali che continuano, non si esaurisce con l’età “apostolica”, cioè quando sono ancora vivi e operanti coloro che sono stati protagonisti con Gesù del vangelo, essendo stati designati da lui. Quando, verso la fine del secolo I, si esaurisce questa età, perché scompaiono gli apostoli e si passa all’età successiva, il posto di guida viene affidato ai collaboratori, che li hanno seguiti e sono diventati i loro successori, con la designazione di “ispettori” (in greco = episcopoi). Anche costoro ricorrono a lettere e ad altro genere di scritti per comunicare la fede e soprattutto dare istruzioni e incoraggiamenti alle comunità non facilmente raggiungibili. Leggi tutto “S. Ignazio di Antiochia e le sette lettere”
LA CINA AL TEMPO DI MATTEO RICCI: Problemi di natura morale e religiosa.
INTRODUZIONE – Occorre ribadire che lo scopo fondamentale del viaggio di Matteo Ricci in Cina e più ancora della sua relazione scritta che ci fa conoscere la Cina con i suoi occhi, secondo il metodo dell’autopsia, è quello di seminare la parola evangelica, anche se nel modo stesso che Ricci ha di operare e poi di redigere la sua relazione, egli lascia questo obiettivo sullo sfondo. Preferisce cercare un approccio rispettoso con il mondo cinese, che egli deve riconosce costruito su una profonda e seria ricerca della saggezza, che fa ritenere i costumi cinesi degni di rispetto. Non si verifica uno scontro, ma si assiste ad un vero e serio confronto, che poi a Roma darà adito a qualche sospetto, come se Ricci volesse perseguire un certo sincretismo. La Controriforma, che si respirava in Europa, vedeva una rigida contrapposizione contro ogni altro credo religioso che non fosse il Cattolicesimo: esso si riteneva accerchiato, e reagiva in modo dogmatico e senza un vero spirito dialogico. Anzi, non lasciava molto campo di libertà per questo modo che aveva Ricci, e con lui, l’avanguardia missionaria gesuita, nel suo contatto con un mondo ritenuto lontano dal Cristianesimo e come tale considerato terra di “conquista”. Ricci, da missionario, non si poteva sottrarre al suo mandato; ma nel contempo non poteva neppure presentarsi con tutto il suo apparato dogmatico da imporre in un mondo già sospettoso e poco incline a “lasciarsi inglobare”, mentre era piuttosto teso ad “inglobare” il resto del mondo. Se in altre aree del mondo, dove sembrava fin troppo evidente la condizione di uno “status” ancora primitivo con usi e costumanze ritenute inadeguate, secondo una certa visione umanistica, acquisita e data per scontata in Europa, qui invece si respirava un mondo di natura filosofica e morale, con cui si poteva dialogare, come del resto era stato fatto già agli albori del Cristianesimo tra il vecchio mondo pagano e il nuovo mondo cristiano. Così la componente religiosa, che si sarebbe dovuta ritenere prioritaria, affiorava non soltanto perché Ricci era un prete con questo specifico incarico, ma perché la scoperta in Cina di una religiosità radicata doveva più che altrove richiedere particolare attenzione. Proprio questo spirito religioso va riconosciuto come essenziale nella storia cinese; si potrebbe dire che anche negli anni del furore persecutorio contro ogni forma religiosa e nel vano tentativo di mortificare ogni credo religioso, comunque questo spirito è radicato e come tale è da associare alla conoscenza storica della Cina.
LA RELIGIOSITA’ CINESE
E CONFUCIO Leggi tutto “LA CINA AL TEMPO DI MATTEO RICCI: Problemi di natura morale e religiosa.”
LA CINA AL TEMPO DI MATTEO RICCI: Il governo.
È interessante nella lettura dell’opera scritta da Matteo Ricci che, prima ancora degli aspetti religiosi, vengano segnalati quelli che riguardano la vita quotidiana, e soprattutto l’attività lavorativa con i prodotti principali, che risultano essere specifici della Cina e dei suoi abitanti. Sappiamo che l’autore, in quanto prete e gesuita missionario, ha come sua finalità la predicazione evangelica; ma, nel contempo, come già operavano anche altrove gli stessi gesuiti, formati a Roma, anche lui si dedica alla ricerca scientifica coltivata negli anni della formazione, riconoscendo che gli studi fatti sono importanti per avviare il dialogo con la popolazione locale. Si rendeva conto che, per far entrare la proposta evangelica, era necessario conoscere più attentamente il percorso operato dalla gente del luogo e mettersi al passo con essa, avendo cura di conoscere da vicino il vissuto quotidiano. Abbiamo visto che ha iniziato la sua opera monumentale con l’attenzione al territorio, da considerare alla stessa maniera con cui veniva visto dagli stessi Cinesi, e da presentare ai lettori europei con lo sguardo di chi vi abita, suggerendo in tal modo di nutrire verso i Cinesi un’attenzione rispettosa. Naturalmente, anche per la considerazione che Ricci ha nei confronti del mondo culturale cinese, non può mancare la stima verso i letterati, gli scrittori, i ricercatori in genere, Anzi, egli stesso fa notare che persino nel mondo militare cinese si ha cura di formare le persone tenendo conto della componente che possiamo definire umanistica.
Questo modo di far gradi di Licenziato e di Dottore si usa anco negli stessi anni ai soldati, con gli stessi nome di chiugin e di zinsu, e negli stessi luoghi; cioè il grado di Licenziato nelle metropoli, e quello di Dottore in Pacchino, in un altro mese diverso. Ma come in questo regno vagliono puoco le armi, e la arte militare è sì puoco stimata, si fa con tanto manco solennità, e si dà a sì puoca gente, che pare una Compassione. (Ricci, p. 38)
Dopo una rapida presentazione di ciò che si produce e di ciò che caratterizza la cultura cinese, Matteo Ricci nel capitolo VI del primo libro si dedica al governo della Cina, che gli permette di offrire una narrazione molto sintetica dei principali eventi storici, per spiegare come al suo tempo ci si trovi con un sistema politico, che egli cerca di far comprendere ai suoi lettori, usando anche i parametri del mondo europeo, pur segnalando che la storia e la politica cinese sono di gran lunga diverse e diversamente vanno comprese e analizzate. Di fatto, più che un susseguirsi di eventi storici, Ricci definisce nelle sue linee essenziali il governo, che, essendo monarchico, senza limitazioni di sorta, se non per il suo apparato burocratico, rende la Cina un impero. Lo è inoltre per il fatto che nell’estensione del suo territorio, la Cina comprende al suo interno varie popolazioni o gruppi etnici, dominati da un governo unico, la cui struttura viene proposta dall’autore per spiegare al lettore occidentale come deve essere intesa la Cina. Perciò a chi scrive, che pur dimostra di conoscere l’essenziale della storia cinese, la segnalazione che maggiormente conta è il fatto di essere in presenza di una struttura di governo, che è certamente il risultato di una lunga gestazione nella storia. Esso, inoltre, appare ben strutturato, e così si spiega come esso persista e come esso continui a rinnovarsi e a sussistere insieme, per tutti i sistemi di equilibrio che si sono creati nel corso dei secoli, per far giungere la Cina ad essere un grande Impero, come lo stesso Ricci deve constatare ed ammirare. Anche se nel capitolo si accenna a qualche personaggio ed evento storico – e non si potrebbe fare diversamente per un pubblico, come quello occidentale, che appariva sguarnito degli elementi essenziali della storia cinese –, poi però allo scrittore interessa maggiormente comunicare il sistema istituzionale cinese, che non ha corrispondenti nel nostro mondo, per quanto Ricci cerchi di spiegare i fenomeni, ricorrendo anche a qualche termine ed esempio appartenente al nostro occidente. Del resto è lui stesso a precisare quanto ha in mente di segnalare al lettore.
Non toccherò di questa materia se non quanto viene al proposito di questo sommario; percioché proseguirla come essa richiederebbe esattamente sarebbe cosa da farsi in molti Capitoli. In questo Regno non si usò mai altro che di Governo monarchico di un suolo Signore, senza aver notitia di altro. E nel principio, ancorché fusse un solo Re e signore, con tutto vi erano anco molti signori soggetti al signore Universale, sotto vari titoli, come tra noi, di Duchi, Marchesi e Conti. (Ricci, p.39) Leggi tutto “LA CINA AL TEMPO DI MATTEO RICCI: Il governo.”
La Cina al tempo di Matteo Ricci.
INTRODUZIONE.
Ci rendiamo conto che nei nuovi equilibri geopolitici la Cina vuol essere una presenza sempre più forte e sempre più riconosciuta, con un suo ruolo, che sta cercando di ritagliare. La sua immagine è quella che si è costruita nel corso dei secoli, anche sotto diverse forme istituzionali: è, e rimane sempre, un “impero”: questo termine non sta più a indicare una forma monarchica, come spesso la intendiamo, ma la rappresentazione di un mondo che ingloba al suo interno popoli diversi, culture e lingue differenti, magari anche con il disegno politico di poter allargare più che lo spazio geografico, lo spazio di potere che ogni impero vuole sentire riconosciuto. Noi oggi vediamo la Cina con un sistema politico che sembra sopravvissuto al crollo del comunismo in Russia, dove quel fenomeno si era per primo affermato. Essa è indubbiamente gestita da un apparato che si richiama a quel sistema di governo, anche se viene da osservare quanto sia sopravvissuto del marxismo nella sua ideologia e quanto rimanga del leninismo nella sua gestione di potere. Queste sovrastrutture persistono, soprattutto se si pensa che uno Stato siffatto richiede una struttura di potere da esercitare secondo le forme “autocratiche” del passato, secondo le rigidità di un sistema ideologico che il recente passato ha costruito e contribuito a rafforzare. Ma il sistema imperiale, che poi diventa “imperialistico” appartiene alla storia cinese, che noi conosciamo poco, non avendo costruito, nella scuola, una visione del mondo nella sua integralità, se non per gli addetti ai lavori; e soprattutto ci siamo costruiti una conoscenza indiretta, che spesso legge la storia di quel Paese, come di altri, secondo le categorie occidentali. La stessa Cina, anche nel recente passato, vuol essere considerata secondo le sue proprietà e non secondo uno schema di pensiero “occidentale”: l’incontro fra i due mondi (ma i mondi sono plurali e non semplicemente duali!) richiede una conoscenza e un rispetto reciproco, che deve valere da ambo le parti. Il recente tentativo di ripensare alla famosa “via della seta”, quella che ha consentito nel passato di avviare rapporti, anche di tipo commerciale, fra i due popoli, ci obbliga a considerare meglio la Cina dentro il corso della storia e nel suo rivelarsi a noi non solo in riferimento ai rapporti umani e commerciali che si sono sviluppati, ma anche per la funzione che la Cina si è ritagliata portandola fino ai nostri giorni. Leggi tutto “La Cina al tempo di Matteo Ricci.”
La marcia su Roma : Verso la dittatura
VERSO LA DITTATURA
Il fascismo è abbinato alla dittatura, perché di fatto essa si è realizzata in Italia con gli uomini che venivano da quel partito e da quella impostazione, come pure dall’uso della violenza fisica, che in realtà non era un fenomeno e un mezzo gestiti in maniera esclusiva da quel partito. Del resto anche la forma dittatoriale di potere e di occupazione del governo non può essere considerato un obiettivo da raggiungere perseguito solo da quel partito, anche se per l’Italia, gli anni della dittatura hanno visto il fascismo dominare la scena politica. Eppure, come stanno a testimoniare gli inizi del governo di Mussolini, anche se il ricorso alla violenza non è mancato, anche se i progetti e i metodi usati facevano presagire un esito che conduceva verso il totalitarismo, i primi passi non possono essere considerati già manifestazione di un esercizio del potere in forma dittatoriale. Del resto qualcuno ancora sperava che il fascismo potesse essere assorbito dal sistema parlamentare, una volta fatto entrare in esso: anche i partiti di sinistra, i più ferocemente avversi al fascismo e all’uomo che lo rappresentava, non immaginavano che esso potesse prosperare, in presenza di elezioni che vedevano le forze di sinistra aumentare il numero dei loro rappresentanti, per quanto ancora in maniera insufficiente. Mussolini stesso era consapevole, che a ricercare il consenso popolare mediante le elezioni, non poteva coltivare la prospettiva di venirne fuori vincente, se non cambiando e adeguando ai suoi obiettivi la legge elettorale. Per questo motivo elaborò la Legge Acerbo, e con essa poté vincere le elezioni, senza per questo avere di fatto una Camera, in cui ci fosse un unico partito: solo così la Camera poteva essere esautorata e resa perfettamente inutile. Proprio nell’immediato periodo successivo alle elezioni si consumò la trasformazione, da parte di Mussolini, dello Stato italiano da regno costituzionale a dittatura di fatto. Dobbiamo definirla così, perché in realtà, almeno formalmente venne mantenuto lo Statuto albertino e l’Italia rimaneva ancora una monarchia: il Capo dello Stato era il Re, non il Duce; ma il Capo del governo, pur nominato dal Re, gestiva il potere in modo assoluto e senza limiti particolari, se non quello di avere una figura superiore, il sovrano, che era a capo delle forze armate. Si potrebbe parlare di una sorta di diarchia, che comunque risultava vantaggiosa per il capo del governo. I partiti, minoritari inizialmente nel Parlamento, per essere poi del tutto aboliti, speravano di poter trovare nel sovrano un punto di appoggio, a garanzia, non solo formale, dello Statuto; ma dal Re non venne a loro alcun appoggio, se non nel momento più drammatico della storia italiana, quando con la guerra ormai persa, si doveva uscirne in maniera dignitosa. Leggi tutto “La marcia su Roma : Verso la dittatura”
La marcia su Roma : 28 ottobre 1922
IL FASCISMO AL GOVERNO:
FU VERA RIVOLUZIONE?
PRODROMI DI UNA DITTATURA
NEL DISCORSO ALLA CAMERA
NELLA LEGGE ELETTORALE
INTRODUZIONE:
MUSSOLINI, NON IL PNF, AL POTERE
La “marcia su Roma” si concluse con un compromesso fra Mussolini e le forze politiche dello Stato liberale. Episodio in sé modesto, anche come “colpo di stato”, essa non è considerata dagli storici una svolta di grande importanza nella storia dell’Italia contemporanea e dello stesso fascismo: il vecchio ordine non era stato distrutto e il nuovo governo presentato da Mussolini senza speciale ardore rivoluzionario, era simile al risultato di una tradizionale operazione trasformista di collaborazioni temporanee. (…) Piuttosto che una marcia su Roma i fascisti la consideravano simbolicamente una marcia contro Roma … (Gentile (I), p.323)
Fu un vero e proprio colpo di mano? quello che oggi si potrebbe definire un “golpe”? Il potere non venne raggiunto con una prova di forza, come poteva sembrare dalle parole roboanti, dette alla vigilia, e dall’ammassamento di uomini in armi, ma non inquadrati nell’esercito, e incitati a muoversi sulla capitale per una dimostrazione di piazza. Questa però non ci fu. E non ci fu da parte del futuro duce un atto “teatrale” per raggiungere l’obiettivo di assumere le responsabilità di governo. Gli venne, certo, affidato l’incarico di formarlo su esplicita richiesta da parte del Capo dello Stato, il quale non mancò di indicare alcune figure che dovevano entrare nella compagine governativa. Tutto ciò avveniva secondo le consuetudini costituzionali. Perciò non si può parlare di “nascita della dittatura”, in questa circostanza, anche se poi si fisserà questa data come l’inizio di un sistema che è certamente stato “dittatoriale”. Più che fermare l’attenzione sull’episodio in sé, che non ha nulla di clamoroso e neppure di drammatico, si potrebbe dire che ci fu l’avvicendamento da un governo all’altro, tenuto conto che il ministero Facta era già di fatto dimissionario e che la continua ricerca di uomini, disponibili ad assumere l’incarico, era rimasta infruttuosa, anche per i veti incrociati, e soprattutto perché si riteneva che si dovesse cercare un outsider, uno letteralmente fuori del sistema, in grado di evitare gli scontri e di impedirli, vista l’impasse pericolosa che aveva sullo sfondo pulsioni di natura rivoluzionaria. Ma qui la rivoluzione non si prospettava affatto da parte del fascismo, che veniva ritenuto certamente pericoloso e nel contempo si riteneva di poter assorbire, diversamente da quello che stava succedendo sul fronte della sinistra, dove i massimalismi potevano risultare debordanti e di fatto contenibili solo dai mezzi e dai metodi fascisti. Leggi tutto “La marcia su Roma : 28 ottobre 1922”